La Stampa 2 marzo 2008, Barbara Spinelli, 2 marzo 2008
Putin e la manna. La Stampa 2 marzo 2008. Difficile dare un nome, alla Russia che oggi sceglierà il suo nuovo Presidente dopo otto anni di Putin
Putin e la manna. La Stampa 2 marzo 2008. Difficile dare un nome, alla Russia che oggi sceglierà il suo nuovo Presidente dopo otto anni di Putin. una democrazia che molti definiscono mutilata, se non abolita: Dmitri Medvedev, il giovane giurista designato da Putin come delfino, non ha rivali perché l’opposizione oltre a spezzettarsi è stata estromessa, e perché molti dispositivi democratici hanno ricevuto colpi fatali: la libera critica della stampa, la giustizia indipendente, il federalismo contro l’accentramento (Putin abolì nel 2004 l’elezione diretta dei governatori). Secondo altri esperti, la Russia sarebbe ricaduta nel passato: una regressione che l’odierna manna petrolifera avrebbe dilatato, restituendo al paese una potenza magari passeggera ma pur sempre nociva. L’arma petrolifera sarebbe l’equivalente dell’atomica sovietica, o del grano russo di cui l’Europa aveva fame ai tempi dello zar: essa occulta i mali di chi la brandisce, incutendo paura e dipendenza. «Forse l’errore russo fu di flirtare con la libertà e decidere di cambiar pelle. La pelle buttata è l’unica che avevano», dice lo scrittore ucraino Andruchovyc. Altri temono ennesimi messianesimi politici: la riproposta di una Terza Roma, di una superiore civilizzazione fondata sulla simbiosi Stato-Chiesa, sarebbe la linea delle gerarchie ortodosse e avrebbe appoggi al Cremlino. la tesi degli scrittori Viktor Erofeev, Vladimir Sorokin. La svolta risalirebbe al 2007, quando le gerarchie dichiararono che il Regno di Dio era l’orizzonte (Frankfurter Allgemeine, 20-12-07). La fuga nell’autoritarismo e quella nel passato hanno un’unica origine - l’umiliazione della disfatta sovietica - e sarebbero la nemesi che fa eco a un’offesa caoticamente sofferta. Sofferta caoticamente da Eltsin. Inflitta caoticamente dai trionfatori della guerra fredda. Ma c’è una terza possibilità, cui fa accenno lo studioso Ivan Krastev, presidente del Centro di studi liberali a Sofia, quando sostiene che il Cremlino ha un’ambizione assai meno retrograda e difensiva di quanto sembri. Nella seconda parte del mandato, Putin ha teorizzato un modello giudicato necessario e vincente non solo in Russia, per fronteggiare la globalizzazione: il modello della democrazia sovrana, pensato per incantare il mondo e non semplicemente difendersene. Per incantare i vicini europei, e l’intera Unione. un modello nato in reazione alla babelica democrazia di Eltsin, consolidatosi dopo i movimenti ucraini del 2004. Movimenti che hanno sconvolto Putin e specialmente il suo ideologo, Vladislav Surkov. Il modello Surkov vuol rispondere a una duplice minaccia: le tentazioni populiste-rivoluzionarie della democrazia (Ucraina, Georgia), e la cosiddetta democrazia amministrata. Due soluzioni egualmente teleguidate, che consegnerebbero la sovranità a lontani incontrollati poteri. In apparenza la democrazia sovrana restaura il passato. In realtà sta ridivenendo, come la felicità di Saint-Just, un’idea nuova e stregante in tutta Europa. La democrazia con il suo pluralismo e i suoi poteri distinti affatica Stati ed élite, soprattutto durante i torbidi: sembra come denudarli, rallentarli. Non così la democrazia sovrana, che al posto della diversità di interessi mette la fusione fra governanti e governati, e antepone tale identificazione alla rappresentanza: le elezioni in quest’ottica non servono a rappresentare il popolo, bensì il potere. Di qui la statalizzazione dell’economia, rovina del liberalismo. Se governanti e governati si fondono nell’identità nazionale, ogni separazione laica vien screditata: tra Stato e economia, Stato-chiesa, Stato-magistratura, Stato-giornali e Tv. Il conflitto d’interessi è questione non italiana ma globale, altera i più svariati settori. Quanto alla lotta anti-oligarchi, annunciata da Putin nel 2000 e culminata nel 2003 nell’esproprio-arresto di Khodorkovski, capo dell’ente petrolifero Yukos, la menzogna è palese. Non gli oligarchi erano il bersaglio, ma la loro indipendenza. Sotto Putin gli oligarchi si sono moltiplicati immensamente, ma sono oligarchi legati al Cremlino (Medvedev, presidente di Gazprom, ne è esponente). Questo modello ha le sue seduzioni: ne vediamo tracce in Italia, in Francia. Abolire il classico conflitto fra destra e sinistra è la felicità nuova promessa agli stanchi della democrazia. Riacquista forza l’ideologia, atavica, del Noi: in Russia uno dei movimenti giovanili di Putin - nazionalisti messianici, anche naziskin - si chiama Nash, Noi. Non un noi inclusivo ma esclusivo, xenofobo. Il modello è attraente per le élite, anche in Europa. Xenofobia, identità governanti-governati, fastidio per la pluralità laboriosa di voci: tanti ne sono affascinati. L’influenza del modello russo sarà difficilmente ammessa, anche perché per l’Europa sarebbe una sconfitta: l’idea dell’Unione è basata sul superamento della democrazia sovrana. Nei suoi paesi le sovranità non sono assolute ma suddivise tra Europa, Stati, regioni. Resta la seduzione. D’altronde il modello sovrano-unilaterale è americano oltre che russo; la vera competizione moscovita non è con Washington ma con l’Europa. un’autentica «guerra ideologica sulla sovranità», afferma Krastev. La democrazia sovrana è il potere morbido, il softpower russo, e sottovalutarne la moderna malia sarebbe esiziale. Questa malia i vincitori della guerra fredda non la comprendono, e non stupisce. «I vincitori non sono curiosi», in questo Carl Schmitt fu profetico ed è vero che all’Occidente è mancata negli ultimi 18 anni (come ai vincitori del ”14-’18) l’attitudine a immedesimarsi nel vinto, a capirlo. Son intuiti gli imbrogli di Putin, non la fragilità che ne impregna la forza. Un unico fatto obnubila le menti: l’inattesa maestà russa, riacquisita grazie al petrolio. In un recente Libro Bianco, due oppositori analizzano questa falsa maestà: Boris Nemtsov e Vladimir Milov. un testo che denuncia l’occasione sprecata da Mosca, ansiosa di ridivenire dominatrice e rispettata. L’occasione era il petrolio e gas: un eldorado che ha arricchito nuovi oligarchi, enormemente, avvantaggiando il popolo solo in parte. Il petrolio a 100 dollari ha consentito il «sonno invernale» di Putin, trasformandosi in «anestetico potente» più che in opportunità. Non è stato usato per riparare i perduranti disastri: strade, sanità, pensioni, diseguaglianze, crimine. Né per correggere quello che Medvedev chiama il nichilismo giuridico dei Russi, il loro non-rapporto con la Legge, la familiarità con la corruzione. forse la più ammorbante delle occasioni mancate, è importante che Medvedev la disveli. Il lettore di Nemtsov scoprirà una potenza assetata di riscatto, ma non solida. La ritrovata potenza è quella di nuocere, non di edificare: una falsa potenza, alla lunga. Gli autori sono anzi convinti che a tal punto l’era petrolifera delle vacche grasse sia stata sciupata, che la sovranità ne uscirà a prezzi. Neppure la forza militare (missili, soldati motivati e ben pagati) è stata modernizzata. La corruzione divora presente e futuro, in questo come in altri campi. L’esercito ha sedato la Cecenia, dopo 100 mila morti: ma i torbidi si sono estesi al Caucaso, lambendo in primis Daghestan e Inguscezia: «Quel che è rimasto delle nostre forze armate non è in grado di resistere a attacchi di aggressori agguerriti. L’arsenale nucleare è rattrappito e se si continua così, a metà del prossimo decennio perderemo la capacità di dissuasione e quindi di sovranità» (Nemtsov-Milov, Putin: The Bottom Line - Putin: Il bilancio). Ma anche Europa e Occidente rischiano sorprese brutte. Esser stati vincitori non aiuta necessariamente a pensare. A forza di non esser curiosi - dunque di non far politica e non prepararsi - perderemo la battaglia culturale, senza sapere che cosa valeva la pena difendere e che cosa per stanchezza avremo smarrito. Barbara Spinelli