La Stampa 3 marzo 2008, Ivo Romano, 3 marzo 2008
23 anni di sconfitte. La Stampa 3 marzo 2008. Pasadena, appena fuori Los Angeles, adagiata lungo la West Coast statunitense
23 anni di sconfitte. La Stampa 3 marzo 2008. Pasadena, appena fuori Los Angeles, adagiata lungo la West Coast statunitense. Lì c’è un posto di autentici geni, veri e al contrario. Un luogo, due volti. Quello che più conta è da luminari della scienza, quello secondario da brocchi dello sport. Due modi differenti per essere famosi, in positivo e nel senso opposto. Si chiama California Institute of Technology, meglio conosciuta come Caltech, il diminutivo che l’ha resa celebre. E’ l’università per eccellenza in campo scientifico, punto d’incontro di brillanti studenti, eccellenti ricercatori, famosi professori. Ma è pure la dimostrazione che dalla vita non si può avere tutto. Se il quoziente d’intelligenza è elevato all’ennesima potenza, le capacità atletiche non lo sono altrettanto, solo per usare un eufemismo. Sarà pure che le autorità ben poco peso danno allo sport, come di rado avviene negli atenei americani. Ma il contrasto resta stridente: menti di livello mondiale, atleti da saga del ridicolo. Il basket come materia per somari, il parquet come teatro dell’assurdo. Perché quel che hanno fatto finora (e la serie non accenna ad arrestarsi) i Caltech Beavers è roba che nel Guinness potrebbe restare impressa molto a lungo. Martedì scorso s’è chiusa un’altra stagione, anche questa senza l’ombra di un successo (a fronte di 14 partite perse), vocabolo non contemplato nel dizionario della squadra. L’ultimo si perde nei meandri del tempo, per scovarlo c’è da tornare indietro addirittura al 1985. Da allora, niente di niente: 273 partite disputate, altrettante sconfitte, la più lunga serie negativa che si conosca nel basket a stelle e strisce. Non proprio dei mostri di bravura, come per molti di loro era ben chiaro già da tempo: 7 dei 15 atleti non avevano mai giocato a basket nell’high school (la scuola superiore), un dato più che eloquente. Con certi risultati, poi, non è che si possa sperare di stare in alto: i Beavers fanno cattiva mostra di sé nella Southern California Interscholastic Athletic Conference, in pratica la terza divisione del campionato universitario Ncaa, quello che poi fornisce materiale umano di primo piano alla favolosa Nba. E pensare che la stagione appena finita in archivio sembrava ancora foriera di buone nuove: una vittoria prima dell’avvio, naturalmente solo in precampionato, proprio come l’anno prima. Roba buona per un pizzico di sano umorismo, mai spento dall’infinita serie negativa ed espresso da Travis Haussler, uno dei protagonisti: «Abbiamo messo in fila due stagioni vincenti. Anzi, meglio correggersi: due stagioni con una vittoria». E mai in una gara ufficiale. Poi, la storia di sempre. Seppur con qualche timido segnale di progresso, che finisce per evidenziare il ridicolo anziché cancellarlo. Perché di fronte alla esilarante realtà poco conta che la media dello scarto nelle sconfitte sia stato di 29 punti a partita, mentre un anno fa era di 60, o che in ben due occasioni i Beavers abbiano costretto la rivale di turno al supplementare. L’ultima poteva essere la volta buona: 9 punti di vantaggio a metà gara, prima di subire la rimonta della University of La Verne e lasciar campo agli avversari per 80-74 nell’overtime (ancor più bruciante, un anno prima, era stata la sconfitta per soli 2 punti, 86-84, sempre al supplementare, contro Whittier). Fosse andata bene, gli allegri perdenti avrebbero dettato il lieto fine a chi s’era messo da tempo in testa di immortalare le loro imprese al contrario. Invece no, i titoli di coda del documentario Quantum Hoops, in uscita in primavera e ispirato alle gesta (si fa per dire) dei Beavers, scorreranno su immagini che si ripetono da 23 anni a questa parte. C’è fama e fama. Loro se la sono conquistata nel modo sbagliato. Altri, che tengono alta la bandiera di Caltech, hanno seguito la strada opposta. C’è chi finisce in dvd per il peggio e chi arriva in cima al mondo per il meglio. Da Caltech, ad esempio, è passato un tale di nome Albert Einstein, che sta alla scienza come Michael Jordan al basket. E in certi campi Caltech è come se fosse diventata campione mondiale un’infinità di volte, come nemmeno gli Usa della pallacanestro sarebbero capaci di fare: qualcosa come 31 premi Nobel a decretarne la grandezza, da quello per la fisica assegnato nel 1923 a Robert A. Millikan a quello per la chimica dato a Robert Grubbs nel 2005, passando anche per il nostro Renato Dulbecco, che a Pasadena aveva insegnato a lungo, prima di essere insignito, nel 1975, del prestigioso riconoscimento. E’ a loro che si ispirano gli studenti di Caltech. Ma una cosa è farlo negli studi, altra è farlo nello sport. Forse anche perché la full immersion tra libri e ricerca toglie spazio a qualsivoglia altra attività. E così i ragazzi di coach Roy Dow nella storia ci sono entrati, a dalla porta sbagliata. Perché forse a spulciare i dati di tutti i campionati di tutti gli sport di tutto il mondo qualcuno che abbia fatto peggio lo si trova. Non certo nel basket americano, però. A livello di Ncaa, il libro dei record consegna una striscia negativa durata 37 partite, con Prairie View A&M a detenere il poco ambito primato. Sul fronte professionistico, quello della Nba, numeri del genere sono impossibili: pare che nessuno abbia fatto peggio dei Cleveland Cavaliers, che a cavallo tra le stagioni 1981-82 e 1982-83 uscirono battuti da ben 24 partite di fila, serie iniziata il 12 marzo 1982 contro i Milwaukee Bucks (sconfitta per 119- 97) e chiusa il 10 novembre 1982 contro i Golden State Warriors (successo per 132-120). Roba da Guinness, ma per nulla paragonabile alla serie dei Caltech Beavers - 273 sconfitte consecutive - che dura dal lontano 1985. Roba frustrante, a sentire Yang Hai, uno di loro. Pensieri e parole di un panchinaro, riserva tra i peggiori. Ivo Romano