Corriere della Sera 2 marzo 2008, A. Ni., 2 marzo 2008
L’allarme del Signore di Herat. Corriere della Sera 2 marzo 2008. E’ un pezzo di storia vivente, la storia tragica degli ultimi trent’anni dell’Afghanistan: Ismahil Khan, il Signore di Herat, uno dei primi ufficiali dell’esercito filo-comunista ad ammutinarsi, l’«integralista più misogino dei talebani», l’«amministratore efficiente», il «filo- iraniano»
L’allarme del Signore di Herat. Corriere della Sera 2 marzo 2008. E’ un pezzo di storia vivente, la storia tragica degli ultimi trent’anni dell’Afghanistan: Ismahil Khan, il Signore di Herat, uno dei primi ufficiali dell’esercito filo-comunista ad ammutinarsi, l’«integralista più misogino dei talebani», l’«amministratore efficiente», il «filo- iraniano». Battaglie, vittorie, sconfitte, resurrezioni. La Guerra Santa, quella fratricida, l’avanzata dei talebani, la prigione, l’incredibile fuga con il figlio Mirawais prima ferito poi promosso ministro e quindi visto ammazzare per difendere il feudo di famiglia nel nuovo Afghanistan del presidente Karzai. L’assassino dovette agire con benedizioni eccellenti visto che quando, poco dopo, morì in un incidente stradale, Ismahil Khan commentò: «Non lo cercava il governo, l’ha trovato Allah». Oggi Ismahil Khan è ministro dell’Energia e dell’Acqua. E, sarà un caso, ma Herat è una delle sole cinque città afghane ad avere elettricità 24 ore su 24. Ismahil Khan fa parte dell’opposizione al presidente, eppure ha tanto potere che Karzai ha dovuto affidargli un ministero. La base della sua forza resta Herat, la città al confine con l’Iran dove un migliaio di italiani sono impegnati in una missione militare di assistenza alla ricostruzione. Ministro, Herat sta diventando sempre più pericolosa, gli attacchi agli italiani si moltiplicano. «I talebani hanno allargato la loro azione alla provincia di Farah. Si sono fermati per l’inverno, ma con la primavera punteranno sulla città. Gli italiani correranno molti rischi nei prossimi mesi». Come mai cresce la forza talebana? «Non c’è guerra senza soldi e loro hanno forti finanziamenti. Se a questo si somma la disoccupazione che aiuta il reclutamento e l’insufficienza di polizia ed esercito afghani a contrastarli si capisce perché avanzino». I talebani crescono grazie all’oppio o è l’oppio che cresce grazie ai talebani? «L’oppio è il risultato della distruzione del nostro sistema d’irrigazione e della povertà. I ribelli ne approfittano». Che rapporti ci sono con gli italiani? «Niente è perfetto a questo mondo». E’ una critica? «Le grandi istituzioni lavorano a grandi progetti. I soldati e i Prt – i gruppi di ricostruzione provinciale come quello guidato ad Herat dall’Italia – tamponano l’emergenza. L’impegno e i risultati sono buoni, ma il bisogno è tale che l’aiuto non è mai sufficiente». Come giudica i soldati? «Hanno agito bene. Anche durante alcune dimostrazioni piuttosto tese non hanno usato violenza. La gente da queste parti ha esperienza di armi e ha apprezzato. Con i talebani, però, lo ripeto, ci saranno problemi: autobombe, uomini esplosivi, ordigni sulle strade. I rischi aumenteranno. Invece degli italiani preferirei che a combattere ci fossero degli afghani. E’ una questione anche di numeri: uno straniero costa quanto 50 dei nostri. L’ho detto a Karzai: dobbiamo fare qualcosa per la sicurezza prima di primavera». Che cosa? «L’errore è stato disarmare i mujaheddin senza che polizia ed esercito avessero la forza sufficiente a difendere il Paese». E’ stata una scelta internazionale, non vede responsabilità nel governo di cui è ministro? «Il mullah Omar era padrone dell’80 per cento del Paese, si è solo ritirato, non è stato sconfitto. E’ naturale che sia ancora forte. Kabul ha fatto quel che ha potuto per preparare un esercito e dare lavoro». Siete accusati di inefficienza e corruzione. «In ogni gregge ci sono delle pecore nere. Ma lo Stato comincia a funzionare. Il problema è il punto di partenza: quest’inverno mille afghani sono morti perché non avevano da coprirsi. Si capiscono tante cose a pensarci». Persino a Kabul, la capitale, manca elettricità. Doveva essere un suo compito. «La luce arriverà l’autunno prossimo. Dovevamo ricostruire l’intera rete di elettrodotti. E abbiamo quasi finito. In otto mesi ci saranno i fili e, se troveremo i soldi, compreremo dall’estero i megawatt che ci servono». Non è quel che si dice uno sviluppo sostenibile. «L’Afghanistan può contare sull’energia idroelettrica e in futuro, siccome sappiamo di averne, sul gas. Intanto, però, nei prossimi 4 anni ci accontentiamo di un 60 per cento di produzione nazionale e il resto di import, grazie agli aiuti stranieri». Se avesse saputo come si sarebbe ridotto l’Afghanistan, avrebbe cominciato ugualmente la Guerra Santa contro i sovietici? «Avevo, credo, 27 anni. Oggi ne ho 58. Non avevo scelta. L’Islam chiama alla Jihad quando serve. Se domani gli americani si proclamassero padroni del Paese, sono sicuro che tutti gli afghani, anche quelli senza coperte per l’inverno, comincerebbero a combattere. Non potrebbero farne a meno. Io compreso». A. Ni.