La Stampa 27 febbraio 2008, Sandro Cappelletto, 27 febbraio 2008
L’anniversario e la memoria. La Stampa 27 febbraio 2008. In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria
L’anniversario e la memoria. La Stampa 27 febbraio 2008. In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria. In Beethoven è evidentissima, come conseguenza dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese e delle speranze straordinarie che esistevano in quel tempo. Di un profondo senso della gioia». Quanto entusiasmo in queste parole, quanta luce negli occhi; in tutta evidenza, mentre ne parla, il maestro sente dentro di sé la potenza, l’intatta emozione che quella musica gli procura. Speranza e gioia. E adesso? Siamo nel salotto d’ingresso della casa di Maurizio e Marilisa Pollini al centro di Milano, seduti accanto a una scatola di cioccolatini che dimagrisce in fretta. Alla domanda segue uno dei lunghi, vivi silenzi di Pollini, mentre l’idea che si sta formando cerca ancora le parole più adatte. Quarant’anni dopo il 1968, come fa, come può, un ragazzo che abbia i vent’anni che lei aveva allora, a conservare dentro di sè, a sentire vivi questi sentimenti? «Oggi i giovani dovrebbero essere molto più informati sulle vicende del recente passato del nostro paese. Esercitare la memoria, capire per poi eventualmente opporsi». Opporsi a che cosa? «All’omologazione. Alla convinzione che non sia possibile un’organizzazione economica diversa da quella in cui stiamo vivendo. Alla vittoria definitiva del culto del denaro e dell’apparente efficienza capitalista. Alla perdita della fantasia, dell’utopia e dunque anche della speranza; ma nella storia non vi è nulla di definitivo ed è prerogativa dei giovani immaginare il cambiamento». Quale il debito maggiore verso quegli anni? «La necessità che si avvertiva di pensare in modo autonomo. Di non prendere le certezze dei genitori come verità sicure una volta per tutte, di elaborare una visione autonoma del mondo. Un’attitudine molto legata alle esperienze artistiche di allora. Pur con tutti i riflussi che si sono susseguiti, questo cambio di mentalità è rimasto radicato nella società». Aveva un suo idolo? «Bertrand Russell, una figura oggi quasi dimenticata. Ci ha insegnato la libertà del pensiero, in una concezione democratica della società che lo metteva in collisione con l’ideologia marxista. Ha creato il Tribunale Russell contro i crimini di guerra dell’imperialismo americano. Poi, abbiamo purtroppo scoperto l’esistenza di molte altre realtà che avevano questo carattere oppressivo». Quando è finito, in Italia, lo spirito del ”68? «Con il delitto Moro, nel 1978. Enrico Berlinguer aveva visto giusto con la sua ipotesi del compromesso storico come unica forma di governo possibile in Italia. Un progetto ucciso dalla morte di Moro». Nel campo della creazione musicale, quali sono stati gli esiti più notevoli? «Sono stati molti i compositori italiani, penso naturalmente a Luigi Nono e Luciano Berio, che hanno portato avanti uno straordinario rinnovamento del linguaggio, con libertà rispetto agli schemi accademici, con una mentalità più aperta. Hanno cominciato, come all’estero Boulez e Stockhausen, a creare opere prima impensabili. E il rinnovamento artistico, come sempre succede, ha preceduto quello politico». I Concerti per lavoratori e studenti, l’urgenza di un pubblico nuovo, diverso. Finito tutto? «Settembre Musica, a Torino, prosegue una politica più aperta verso il pubblico. Indubbiamente quelle esperienze alla Scala, con Paolo Grassi, Claudio Abbado, il coinvolgimento dei consigli di fabbrica, tanti lavoratori che scoprivano il ”grande” teatro, hanno prodotto qualcosa di nuovo, che non poteva però proseguire senza un’adeguata evoluzione. Il rinnovamento poteva essere maggiore». Milano, 12 dicembre 1969, strage di Piazza Fontana. Era qui? «Sono corso in Piazza del Duomo, la reazione democratica della folla, la quantità e la determinazione di tutte quelle persone mi hanno fatto sentire che non ci sarebbe stata una svolta autoritaria. Però abbiamo rischiato un colpo di stato fascista, per allineare l’Italia alle dittature dei colonelli greci, di Franco in Spagna, di Salazar in Portogallo». Questa è la sua città da sempre. Ma non è più quella. «Milano è cambiata da quando il Partito Socialista ha finito di avere la sua influenza in città, travolto da Mani Pulite. Un’iniziativa ottima, intendiamoci, ma che nei fatti ha creato un vuoto politico riempito da figure e modalità opposte». Nel ”68 il nemico erano il padrone e la sua fabbrica, l’imperialismo, la cultura borghese. Oggi? «Il vuoto di memoria. Se il livello di vita in Europa continua a essere molto più disteso che in altre parti del mondo, molto è dovuto alle conquiste sociali del dopoguerra, fino agli anni Ottanta. Non c’è abbastanza coscienza di quanto la nostra vita democratica deve allo stato sociale, di quale pericolo rappresenti la precarietà». metà pomerigggio, sono passate due ore, il maestro ha voglia di tornare allo studio, di riprendere a suonare: la sua disciplina, da sempre. Accompagna l’ospite alla porta, chiede di rileggere l’intervista «perché queste sono cose importanti». Poi, sulla soglia, prima del congedo: «Sa qual è il vero rischio? Il PIL sarà sempre più alto, ma noi saremo tutti morti!». Sandro Cappelletto