La Repubblica 27 febbraio 2008, LUCA VILLORESI, 27 febbraio 2008
Dalla parte delle mucche. La Repubblica 27 febbraio 2008. L´aria è pulita. Il quadro pittoresco, adeguato alle aspettative: abeti, larici e mazzolin di fiori
Dalla parte delle mucche. La Repubblica 27 febbraio 2008. L´aria è pulita. Il quadro pittoresco, adeguato alle aspettative: abeti, larici e mazzolin di fiori. Anche il cognome - Rigoni Stern - sarebbe quello che tutti si aspettano quando c´è da parlare dell´altopiano di Asiago. Lui, però, non è Mario, lo scrittore che ha trasformato queste terre in un paesaggio letterario. Lui è Gianni, che di mestiere fa il forestale. Un tecnico, e pure di poche parole; ma in grado di tradurre quelle che per il pittore o per il turista sono solo le impressioni di un colpo d´occhio, in una sequenza di elementi concreti. Un forestale, per di più, è abituato a ragionare coi secoli. Guarda quell´erta di abeti, che sembra stare lì da sempre, incrollabile e immutabile. E la vede come un parto dei tempi moderni, ché un bosco piantato appena un´ottantina di anni fa, sulle cicatrici della Grande guerra, in fondo è solo un adolescente. Se si osserva il paesaggio con l´occhio di un forestale si filtrano le immagini con altre prospettive. Si indovinano cerchi ancora nascosti nel tronco degli abeti più alti; o si scopre che lì, rasoterra, nel suo piccolo, perfino l´erba dei prati nasconde qualche segreto. L´erba dei vicini, a sentire quelli dei Sette Comuni, è sempre meno verde della loro. Citano D´Annunzio: la «piccola Svizzera italiana». E anche qualche dato obiettivo, tipo il censimento delle specie presenti in un riquadro medio di prato. «Sull´altopiano arriviamo a un´ottantina di erbe diverse. Appena dall´altra parte della Valsugana scendiamo sulle quaranta. Il merito di tanto rigoglio, certo, va al clima e alla geologia; ma anche al lavoro degli uomini che, creati questi prati con il disboscamento, li hanno poi curati per secoli, tagliando il fieno e portando il bestiame a pascolare in montagna durante l´estate». Gianni Rigoni Stern, tra la Comunità montana e l´assessorato all´ambiente del Comune di Asiago, segue da anni questi boschi (eredità della Serenissima e dalla tradizione degli usi civici) e i pascoli dell´altopiano, un susseguirsi di spazi aperti, suddivisi tra un´ottantina di malghe. «Vedete quel bel verde, ricco e rasato, con tutte le piante che stanno alla stessa altezza... Beh, quel bel prato lo fa la bocca delle vacche. Se una malga è troppo carica, o se, al contrario, ha poche bestie al pascolo, l´erba peggiora drasticamente, bastano un paio d´anni». Nella cartolina asiaghese, come in ogni classico paesaggio d´alpeggio, non deve mancare un dettaglio: la mucca. Nelle foto più recenti, tuttavia, si scopre che lei, la mucca, nonostante la somiglianza, non è più la vecchia bruna alpina, ma una che le assomiglia: una super Brown, ottenuta da incroci con tori americani. La differenza è matematica. La vecchia bruna produceva 40, 50 quintali di latte; la super ne fa il doppio. Per produrre 50 litri di latte, però, servono sempre circa 70 litri di acqua e due quintali di erba. Se la vacca raddoppia la produzione, raddoppia il consumo di foraggio. Come dire che ci si è buttati sui mangimi secchi, trascurando la gestione del pascolo. Almeno la metà delle malghe asiaghesi, ormai, vende il latte all´ingrosso. E la sopravvivenza dei vecchi prati resta legata a quella dei vecchi formaggi, prodotti da pochi casari, circonfusi dall´aura dei ribelli. «Certo, ci vuole passione. I costi, in montagna, sono mediamente superiori del trenta per cento a quelli della pianura. E le norme europee, fatte per caseifici industriali, penalizzano ulteriormente la struttura più rustica della malga. I veri formaggi d´alpeggio, però, sono obiettivamente superiori. E sarebbe ora di pensare a un riconoscimento ufficiale della loro qualità. Per distinguerli dagli altri; ma anche per salvaguardare quello che in fondo è un "terroir" dell´erba». Ogni pianta ha il suo nome scientifico, universale. E, talvolta, una denominazione dialettale, un´identità locale che la eleva a elemento costituente di quel particolare paesaggio. Come pensare una primavera asiaghese senza il Taraxacus officinalis (la «salada» de «pissacan»!), che tinge di giallo le Rogazioni? O la fienaggione di settembre senza il bel nicolò (Crocus autumnalis)? Il punto di vista delle mucche in materia, peraltro, resta sostanzialmente semplice: scegliere le erbette migliori, partendo da quelle a foglia larga, per finire, al dessert, con le graminacee. Se le vacche mangiano troppo, o troppo poco, l´equilibrio si altera. Prima arrivano le erbe più coriacee, tipo Deschampsia. Poi gli arbusti. Un´invasione. «Prima che tutto degeneri bisogna intervenire. E lo sfalcio di un ettaro di pascolo ci costa dai cinque, seicento euro fino ai tremila». A rasare i prati dell´altopiano si occupavano da prima le pecore: nel Quattrocento se ne contavano 230 mila; oggi sono poco più di 5 mila. Poi è arrivata l´era della mucca. Il domani è incerto, anche perché Asiago è diventata la capitale della seconda casa e l´antico dialetto cimbro impazza nelle insegne delle immobiliari, ma ha qualche amnesia botanica. Questo bosco, dove ogni tanto si affaccia il cedrone, è un adulto, piantato ai tempi della storia di Tönle, quando l´osteria del Termine era ancora la frontiera tra l´Italia e l´Austria. Il confine si è ridimensionato: da una parte, adesso, c´è la provincia di Vicenza, dall´altra quella di Trento. Pure quest´ultima frontiera, tuttavia, sarebbe stata idealmente abrogata dal plebiscito con il quale, qualche mese or sono, l´altopiano dei Sette comuni ha chiesto di passare al trentino. E´ l´annosa questione delle patrie e dei loro limiti. Specchiata dalla strada che porta verso Trento, ora per una via più morbida (dal passo di Vezzena), ora più drastica (giù a capofitto per il Menador). Nel giro di pochi chilometri gli scenari cambiano radicalmente. E, ad affacciarsi nella valle dell´Adige, viene il sospetto che davvero il nascere un po´ più a Nord o un poco più a Sud, dal lato al sole o da quello in ombra, possa diventare un destino che influenza la rendita di una proprietà e il carattere degli uomini. Cambia il paesaggio. E, spostandosi di qualche chilometro ancora, cambiano i punti di vista, perché guardare il trentino dalla provincia di Vicenza, o da quella di Bolzano, fa una certa differenza. Prendi, ad esempio, la malga. «Un´istituzione specializzata, legata a una tradizione casearia tutta italiana, con le sue grandi concentrazioni di bestiame. Il maso sud tirolese, viceversa, è un´unità autosufficiente: l´allevamento degli animali si limita a pochi capi, cinque o sei, per garantire carne, latte, burro all´uso domestico». Il professor Giovanni Kezich dirige il museo degli usi e costumi della gente trentina. Siamo a San Michele all´Adige, al limite della provincia di Bolzano. Un confine evidente, non solo sul fronte del formaggio: «Si potrebbe partire dalla caccia, con gli italiani che sparano ai piumati, disdegnati dai tedeschi. Per finire alla stalla, separata o annessa alla casa. Ai cimiteri, che in Alto Adige sono sempre piazzati accanto alla chiesa. Al maso, col suo mito dell´autosufficienza: un modello esistenziale, una sorta di paesaggio interiore». Il cambio di prospettiva è stato studiato anche da due antropologi americani, Eric Wolf e John Cole (La frontiera nascosta, pubblicato dallo stesso museo di San Michele), rimasti a osservare, per quasi un decennio, la vita di due frazioncine poste una di fronte all´altra, in cima alla Val di Non: Tret, italiana, St. Felix tedesca. Per andare a piedi da Tret a St Felix (o viceversa, in ossequio al biliguismo) ci vuole una mezzoretta. Diciamo che dopo un quarto d´ora ci si ferma a metà strada, sul sentiero che Wolf e Cole hanno percorso mille volte avanti e indietro. Ecco il panorama: di qua e di là. Ecco le case italiane: tendono a raggrupparsi, a far paese. Un centro microurbano, con edifici che ospitano più di una famiglia, l´idea di una piazza, gli spazi organizzati a fasce: orti, campi, prati, bosco, pascolo. Ed ecco i masi chiusi: un modello giuridico vecchio di settecento anni (la casa e la terra sono una proprietà indivisibile, trasmessa a un unico erede, di regola il primogenito), che diventa un modo di stare sulla terra. Un´interdizione, di fatto, a nuovi insediamenti: in Alto Adige quasi non ci sono seconde case. E la rappresentazione di un microcosmo autosufficiente che tutto comprende, dal pascolo al frutteto, dall´orto al seminativo. Diverse le verdure dell´orto, il fieno, la damigiana di vino... Una frontiera, si direbbe. A volte nascosta. A volte esplicita, come quella attestata sulla sponda del torrentello che passa tra Tret e St. Felix: «Fischereirecht». Diritto di pesca. Mucche, pecore... anche le trote fanno il paesaggio. LUCA VILLORESI