La Repubblica 27 febbraio 2008, EMANUELA AUDISIO, 27 febbraio 2008
Un´Arca per i semi del mondo. La Repubblica 27 febbraio 2008. A nord di tutto, anche dall´avidità
Un´Arca per i semi del mondo. La Repubblica 27 febbraio 2008. A nord di tutto, anche dall´avidità. In capo al mondo, la sua ghiacciaia. L´ultima fermata prima del polo. Neve bianca, pochissima luce grigia, quasi buio. Arcipelago delle Svalbard, in mezzo al mare, schiaffeggiate dal vento. Spiagge ghiacciate, tremila orsi bianchi in libertà, obbligo di fucile, gradi che scivolano: meno, venti, meno trenta. Dipende dalla brezza dell´Artico che urla e scuoia in un attimo. Un posto lontano, irraggiungibile da terra, con una vecchia e ferrosa miniera di carbone. Archeologia industriale in uno scenario naturale. Cacciatori, spedizioni scientifiche, balene. Montagne, niente strada, solo un albero, moto-slitte, duemila abitanti. Nessuna flotta militare navale, per accordi internazionali. Longyearbyen, villaggio sull´Isola Spitsbergen. Pandori bianchi, con la neve al posto dello zucchero a velo. Pura Norvegia. Da oggi questo è il frigo del mondo, senza data di scadenza. La più grande banca dei semi dell´umanità. Una dispensa scavata nel permafrost, destinata a durare per millenni, e piena di biodiversità: patate, cipolle, orzo, grano, fagioli, carote, noccioline, mais, e tanto altro. Oltre due miliardi di semi. Nella terra dove non cresce niente, si conserva tutto, nella landa della sterilità sopravvive la fertilità del pianeta. Alla temperatura ideale, stabilizzata degli scienziati: diciotto sotto zero. Se il pomodoro verde verrà ucciso da una guerra o da una malattia, qui non morirà mai. L´hanno chiamata l´arca di Noè verde, perché salva le specie delle piante, non le fa scomparire nell´indifferenza. Ma non salpa, non è di legno, e a bordo non ha animali, ma sementi. Josè Manuel Barroso, presidente della commissione europea l´ha definito: «Un giardino dell´Eden congelato e ben protetto, perché per programmare il meglio, bisogna aspettarsi il peggio». In realtà è un tunnel in cemento armato di 140 metri scavato 120 metri sotto la montagna di Plaataberget, difeso da una porta di acciaio, illuminata d´inverno dalle fibre ottiche e d´estate dalla luce artica. Come in un film di James Bond, solo che lì sono i cattivi ad avere la base nascosta sotto la neve, qui invece i buoni. Il caveau è a prova di bomba nucleare, di catastrofe, di attacco terroristico. Costruito da Magnus Bredeli Tveiten può resistere ai missili e alla tempesta perfetta. E´ disegnato nella roccia con delle cavità così l´onda d´urto torna indietro. «Non siamo un target, ma pensare all´Apocalisse non fa male». Il tunnel porta a tre stanze spartane dove i semi in buste argentate sigillate sono in cassette nere di plastica su scaffali di ferro. Nessun problema se manca l´elettricità, si gela comunque. Ci sono voluti trent´anni per pensarlo e solo sei mesi per costruirlo con i soldi pubblici del governo norvegese, 6 milioni di euro. Durante la sua lavorazione è stato visitato da un orso, due volpe argentate e da un terremoto. Nessuno ha fatto danni. La sua manutenzione costerà 120 mila dollari l´anno. «Molto meno di quanto spende un museo dell´arte per organizzare mostre». Il Global Seed Vault è stato inaugurato ieri, con semplice e rigida solennità, con 268 mila campioni che contengono cento milioni e come primo grande evento per la conservazione del mondo. A meno venti non si possono fare lunghi discorsi. Wangari Maathai, keniana, grande protettrice degli alberi, premio Nobel per la pace nel 2004, imbacuccata peggio di Babbo Natale ha detto: «Non se riuscirò a spiegare al mio paese il freddo che fa qui, però se mi vedono vestita così forse capiranno. Questi semi così diversi sono l´eredità che noi lasciamo per non far scomparire l´agricoltura, perché ci possa essere cibo per tutti. Dobbiamo proteggerli e conservarli da ogni malvagità. Ecco, io deposito qui, e sono la prima, un campione di riso del Congo». Il progetto è un´assicurazione contro i guasti del mondo, la possibilità di salvare agricoltura, cibo, salute, ambiente. Se l´impatto di un asteroide sulla terra o un´epidemia, dovessero distruggere tutti i raccolti, questo progetto permetterà all´uomo di riprendere a seminare facendo affidamenti proprio su queste bustine. Ma anche senza disastri globali il Global Seed Vault aiuterà la terra a difendersi da una catastrofe più quotidiana. Quasi ogni giorno, infatti, per motivi vari, il nostro pianeta si vede privare di una o due specie vegetali. Le guerre uccidono molte forme di vita: durante le ostilità tra Ruanda e Uganda i raccolti dei due paesi sono stati distrutti, raggiunta la tregua è stato possibile reintrodurre alcune specie di fagioli che si trovano solo in quell´area grazie alle banche di semi. Causa conflitto anche in Iraq, Burundi e Afghanistan si sono perse molte specie, mentre nelle Filippine la colpa è dei forti tifoni. Non tutti i governi hanno acconsentito a mandare i semi: c´è anche diffidenza e sospetto, perché dare una mia cosa agli altri? L´accordo è stato firmato da 116 paesi. Pakistan e Kenya hanno già mandato le loro collezioni, mentre la Colombia è stata molta cauta e la sua polizia ha controllato l´invio per paura di un traffico di stupefacenti. Cary Fowler direttore del Global Crop Diversity, leader del progetto, illustra le perdite, dovute non solo alle guerre: «Dal 1903 negli Stati Uniti sono spartiti il 94% delle varietà dei fagioli, del cavolo, delle cipolle, il 92% della lattuga, il 93% delle noccioline, il 91% dei meloni. La risposta alla crescita della popolazione e alla necessità di avere più cibo è stata quella di tagliare le foreste e di avere più raccolti. Gli agricoltori hanno rimpiazzato le ricche varietà tradizionali con quelle più moderne, è stata una scelta logica, ma ha portato all´impoverimento della diversità. E´ stato un po´ come ha scritto Garrison Wilkes «prendere pietre dalla base per riparare il tetto». Dobbiamo capire che la migliore qualità oggi può non esserlo domani, a causa dei cambiamenti climatici. Noi abbiamo lavorato con un gruppo di ricerca internazionale sull´agricoltura (Cgiar), con 500 scienziati che hanno deciso le priorità. I ricercatori sono stati abbastanza riluttanti a dire quante varietà di riso, di fagioli e di frumento esistano al mondo. Però ci hanno dato alcune stime, riso: 200 mila; grano: 200 mila; fagioli: 30 mila; noccioline: 15 mila. Abbiamo bisogno della biodiversità altrimenti sarà difficile per l´agricoltura trovare un modo per dare da mangiare ai nove miliardi di persone che diventeremo in un futuro non lontano. Se non ci fossero le banche dei semi a conservare le qualità molti paesi avrebbero perso tante varietà». Nelle Svalbard questo pericolo non c´è. I semi delle 1.400 banche mondiali sono sotto costante controllo, quando e se invecchieranno, magari tra un secolo, verranno rimpiazzati. Il bunker ne potrà contenere quattro milioni e mezzo. Ognuno con la sua etichetta e il suo registro. Chi scrive ha depositato la cassetta numero 12: grano del Messico. E´ stata un´inaugurazione molto artica, dove più che le mani si battevano i denti. Piena di gote rosse, nasi che colavano, facce incappucciate. Jens Stoltenberg, primo ministro norvegese, ha ricevuto le chiavi del deposito. Mads Frigsta, 11 anni, solista del coro della cattedrale di Trondheim, ha cantato un motivo dei bambini: "Dormi, piccolo germoglio", mentre Mari Boine, seguita dalle percussioni intonava una musica tradizionale lappone e la cantante jazz camerunense, Coco Mbassi, avvolta in un montone, intonava una spirituale "Sisea". Il più fuori posto era Tatai Gipo, contadino filippino, con una tenera giacca a vento bianca, che diceva: «Ottenere il passaporto per venire fino a qui è stato difficile, perché io non avevo nemmeno il certificato di nascita, c´era la guerra nel 1944, e a President Roxas, dove abitavamo noi, i miei non hanno potuto registrarmi. Io coltivo riso, vivo in una baracca, e quando le piantine nella mia zona si sono ammalate, ho visto che ce n´era una, di un tipo diverso, che resisteva. Così l´ho piantata, ha dato subito una grande resa, e allora l´ho scambiato con gli altri agricoltori. Non so se questo deposito servirà, è al di fuori di ogni mia immaginazione, io ho l´abitudine di lavorare ogni giorno, non di sognare per l´eternità». Alla fine sembrava di stare in un racconto di Andersen. Cantavano tutti: dagli operai ai bambini dell´asilo, sempre più paonazzi. Chissà se un giorno qualcuno ascolterà la favola del terzo millennio: c´era una volta una montagna con una porta e tanti semi in una busta. E un pianeta malato di fame. Ma quella porta si aprì e tornarono le patate gialle, i pomodori rossi, la carote nere. E ora, a letto. Emanuela Audisio