La Repubblica 27 febbraio 2008, NATALIA ASPESI, 27 febbraio 2008
Olindo ti ho visto, sei stato tu. La Repubblica 27 febbraio 2008. LUI era lì, tra il fumo, il fuoco, le grida orribili, poi il silenzio ancora più spaventoso, le ombre agghiaccianti, gli sguardi della ferocia, il dolore insopportabile, l´odore di bruciato, di sangue, del suo sangue che sgorgava dalla gola tagliata
Olindo ti ho visto, sei stato tu. La Repubblica 27 febbraio 2008. LUI era lì, tra il fumo, il fuoco, le grida orribili, poi il silenzio ancora più spaventoso, le ombre agghiaccianti, gli sguardi della ferocia, il dolore insopportabile, l´odore di bruciato, di sangue, del suo sangue che sgorgava dalla gola tagliata. Lui era lì mentre il piccolo Youssef, 2 anni, moriva dissanguato e tre donne, Raffaella Castagna, 31 anni, la madre Paola Galli Castagna, 57 anni, e sua moglie, Valeria Cherubini Frigerio, 50 anni, si spegnevano con la testa fracassata da una sbarra di ferro, la gola aperta dalle coltellate e il fuoco che le aveva raggiunte. Doveva morire, come gli altri, invece per una malformazione congenita della carotide, è sopravvissuto al macello: è l´unico supertestimone della macabra strage di Erba e ieri era nell´aula della Corte d´Assise di Como a deporre contro gli imputati dei quattro omicidi e di un tentato omicidio, il suo. Quella Rosa e quell´Olindo, coppia presunta criminale, che dalla gabbia dove è rinchiuso il loro protagonismo vacuo e muto, fissano indifferenti quell´uomo fragile che solo il caso ha sottratto, secondo l´accusa, alla loro furia sterminatrice. Mario Frigerio ha 66 anni, prima della tragedia lavorava come autista in una ditta di alimentari: è magro, cammina a fatica, non muove il braccio sinistro, chiede che la sua deposizione non sia ripresa dalle telecamere. Ha una bella faccia gentile che esprime determinazione e forza: la sua voce è roca, a tratti inudibile, rovinata dal coltello del suo aggressore, le sue risposte sono concise, precise, senza tentennamenti. Nella lunga deposizione, quasi due ore, si commuoverà, senza lacrime, solo un paio di volte, e per pochi secondi: piangeranno invece a sentire il suo cupo e affaticato bisbigliare da cui è riuscito a cancellare l´emozione, i due figli, Elena e Francesco, si coprirà il volto, impallidendo, l´altro vedovo, il giovane Azouz seduto tra le guardie carcerarie. Anche Frigerio, uomo mite dalla semplice vita quieta, per trent´anni accanto alla moglie orribilmente perduta per sempre alle otto di sera dell´11 dicembre 2006, ha imparato ad odiare. Lui li odia, quei due che è certo siano gli assassini, i massacratori che l´hanno condannato alla vedovanza e alla solitudine: e quando i tre avvocati difensori proveranno a confonderlo, lui opporrà ai loro tentativi di farlo cadere in contraddizione, una gelida fermezza, un volto ostile: «Vergognatevi!» dirà loro, con tutta la forza del suo smarrimento. Mentre a Olindo che scuote la testa alle sue parole dice senza voce: «Inutile che dici di no, sei stato tu, disgraziato!». Lo interroga il pubblico ministero Massimo Astori su quella sera fatale, cominciata nello scorrere delle abitudini: «Siamo tornati dall´Esselunga verso un quarto alle 6, mia moglie ha messo a posto la spesa, verso le 7 abbiamo cenato come sempre, poi mi sono messo a guardare la televisione. Verso le 8 mia moglie si è preparata per andare col cane a fare il giretto dei bisogni. Mentre era pronta per uscire abbiamo sentito un urlo strano, di sofferenza, ma dopo c´è stato il silenzio assoluto. Dopo cinque minuti mia moglie ha deciso di uscire». C´era fumo sulle scale e allora è sceso anche il signor Frigerio: «La porta di Raffaella la vedevo bene, si è aperta e mi è apparsa questa persona, il fumo era denso ma si poteva vedere. Era una persona che ho riconosciuto, anche mia moglie l´ha visto. Era lui, il vicino di casa. Mi è parso di vedere anche la moglie dietro a Olindo, ma non ne sono sicurissimo». Frigerio li indica: «Li vedo in aula, sono loro, quei due delinquenti, li riconosco. Lui mi guardava con due occhi da assassino, uno sguardo che non riuscirò mai a dimenticare, che mi sorprese. Quando avevo visto che c´era lui mi ero tranquillizzato, mi sono avvicinato con fiducia, mi fissava dentro gli occhi, poi mi ha chiuso la porta in faccia. L´ha subito riaperta e mi ha tirato dentro, mi ha buttato a terra, mi ha preso per il collo, mi picchiava, sentivo un male terribile, Olindo era sopra di me, anche col peso mi teneva. Ho visto che tirava fuori qualcosa, era un coltello, mia moglie gridava no, no, lui mi ha tagliato la gola e mia moglie gridava aiuto, aiuto. Non mi capacitavo di un accanimento così, anche se lo conoscevo solo di vista. stato una belva! Poi se ne sono andati, c´era il fuoco, io non potevo muovermi, ho pensato che stavo per morire». un momento brutto per gli avvocati della difesa, Fabio Schimbri, Luisa Bordeaux e Enzo Pacia, impegnati a dimostrare l´innocenza dei loro due assistiti, malgrado la loro confessione, e quindi a cercare altri per ora fantomatici colpevoli, puntando ovviamente su eventuali extracomunitari di pelle scura. Smontare il superteste è per ora quasi impossibile, la sua sicurezza pare inattaccabile, rifiuta persino la pausa che il presidente della corte Alessandro Bianchi gli offre: «Io ho riconosciuto l´Olindo oltre ogni ragionevole dubbio e lo dirò per tutta la vita perché è la sacrosanta verità». il Pubblico Ministero a precedere le contestazioni dei difensori chiedendogli perché non indicò subito il nome del suo aggressore. «Perché sin da quando mi sono ripreso in ospedale ero sicurissimo, ma volevo capire come mai mi aveva fatto questo. Il suo nome non lo feci ma quando lo fecero i carabinieri, mi misi a piangere perché era lui». Gli avvocati contestano, fan domande complicate che innervosiscono il Presidente della Corte e fanno arrabbiare il pm, ma lasciano sul viso di Frigerio l´ombra del disprezzo: dice non so, non ricordo, e li guarda come fossero colpevoli anche loro della sua vita spezzata. NATALIA ASPESI