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 2008  febbraio 28 Giovedì calendario

Processo alla regina. La Repubblica 28 febbraio 2008. Scacco alla regina. Doveva essere questo, nelle intenzioni di colui che più di ogni altro lo ha voluto, l´esito del processo apertosi nell´ottobre scorso alle Royal Courts of Justice di Londra: dimostrare finalmente che la casa reale britannica, con Filippo, il principe consorte, nel ruolo di cospiratore-capo, mise in scena un finto incidente d´auto, la notte del 31 agosto 1997, per assassinare la principessa Diana e il suo fidanzato Dodi al Fayed, impedendo che i due si sposassero e che dal matrimonio nascesse il figlio che lady D già portava in grembo, dando un fratellastro musulmano all´altro figlio della principessa, William, il futuro re

Processo alla regina. La Repubblica 28 febbraio 2008. Scacco alla regina. Doveva essere questo, nelle intenzioni di colui che più di ogni altro lo ha voluto, l´esito del processo apertosi nell´ottobre scorso alle Royal Courts of Justice di Londra: dimostrare finalmente che la casa reale britannica, con Filippo, il principe consorte, nel ruolo di cospiratore-capo, mise in scena un finto incidente d´auto, la notte del 31 agosto 1997, per assassinare la principessa Diana e il suo fidanzato Dodi al Fayed, impedendo che i due si sposassero e che dal matrimonio nascesse il figlio che lady D già portava in grembo, dando un fratellastro musulmano all´altro figlio della principessa, William, il futuro re. Cinque mesi più tardi, il processo volge al termine con la massima probabilità, per non dire la certezza, che i giurati emetteranno una sentenza diametralmente opposta. Il merito, o la colpa, secondo quel che commenterà gridando ancora una volta al complotto Mohammed al Fayed, padre di Dodi e principale ispiratore del procedimento, sarà di un magistrato 71enne, Lord Scott Baker, giudice di Corte d´Appello, figlio di un giudice d´Alta Corte, che in quarant´anni di onorata carriera nelle corti di giustizia pensava di avere fatto abbastanza per lasciare traccia negli annali della «common law» e si preparava ad andare dignitosamente in pensione. Senonché, dopo avere amministrato delitti e castighi di ogni tipo, Lord Baker si è reso conto che il suo nome passerà alla storia per un processo in cui deve fare soltanto il «coroner», ossia certificare le circostanze della morte di un individuo, atto solitamente d´ordinaria amministrazione, dovuto prima di archiviare un decesso, se non tutto è perfettamente chiaro sulle cause. E dunque eccolo lì, ogni mattina da cinque mesi filati, seduto sul suo scranno, col parruccone bianco in testa, il mantello nero, lo sguardo severo dietro le spesse lenti, a condurre per mano una giuria popolare verso la soluzione di un giallo su cui milioni di persone in tutto il mondo continuano a interrogarsi a dieci anni dai fatti. I quesiti che il giudice Baker ha posto all´attenzione della giuria il primo giorno di udienze erano quattro, e solo l´ultimo rivela il dramma di cui si discute: «Voi siete chiamati a decidere», ha detto nel suo bell´accento upper class, «chi sono i deceduti, quando hanno incontrato la morte, dove l´hanno incontrata, e come». Tutto dipende da quel «come». Per darvi una risposta, il processo è già costato dieci milioni di sterline, quattordici milioni di euro, denaro del contribuente che, secondo le interrogazioni fioccate in parlamento, poteva essere speso meglio, o magari risparmiato. «Questo processo è un circo, una farsa, una perdita di tempo e di soldi», riassume il pensiero dei suoi colleghi George Foulkes, ex ministro laburista, membro della camera dei Lord, presidente della commissione intelligence, indignato che al Fayed padre, giunto il suo turno di testimoniare, abbia potuto usare un´aula di tribunale per lanciare accuse «completamente prive di prove» contro la famiglia reale («una famiglia di Dracula»), il principe Filippo («un nazista»), perfino Tony Blair («un complice», per il suo ruolo nel riappacificare il Paese con i Windsor). E oltre alla perdita di tempo e denaro c´è pure il rischio di compromettere la sicurezza nazionale: questa settimana, su richiesta di al Fayed, dieci agenti dei servizi segreti britannici depongono sulla possibilità che la famiglia reale abbia orchestrato una cospirazione per eliminare Diana e il suo boy friend. Le spie, se necessario, in genere parlano davanti ai deputati della commissione intelligence, senza che nulla trapeli fuori dalle mura di Westminster. Se qualsiasi paranoico che vede complotti dappertutto può portare una decina di 007 in tribunale, si scandalizzano i deputati, addio segretezza e servizi segreti. Mohammed al Fayed, naturalmente, non è un paranoico qualsiasi. E´ un padre che ha perduto un figlio, e nessuno si permette di contestare il suo dolore. Ed è anche un uomo molto ricco, con un patrimonio tra uno e cinque miliardi di euro, proprietario dei grandi magazzini Harrods di Londra, di una squadra di calcio (non eccelsa) della capitale, il Fulham, e di molto altro. Al Fayed senior ha già versato tre milioni di sterline, quattro milioni e mezzo di euro, nelle tasche di uno degli avvocati più famosi d´Inghilterra, Michael Mansfield, che ha messo in piedi una squadra di legali degna di un romanzo di Grisham per permettere al suo cliente di provare a dare scacco a Sua Maestà. «Capisco il dolore, ma un certo punto al Fayed dovrà prendere atto che si è trattato di un incidente», osserva Dari Taylor, deputata laburista, «qualcuno deve convincerlo a smetterla». Finora nessuno c´è riuscito. Inaugurate dalla regina Vittoria nel 1882, le Royal Courts of Justice sono un palazzone in stile gotico di pietra grigia, a due passi da Fleet street, la leggendaria via dell´inchiostro che una volta ospitava le redazioni dei giornali. Le strade di Londra, quaggiù, sono anguste. I pub del quartiere sono trai più vecchi della città. Sembra di tornare indietro, alla Londra di Dickens o di Sherlock Holmes. Ma in oltre cent´anni mai c´era stata tanta eccitazione attorno alle Corti di Giustizia. Schiere di paparazzi in agguato. Troupe televisive da tutto il pianeta. Cronisti in fila con curiosi all´ingresso. In certi giorni la ressa è tale che, sotto un tendone in un cortile interno, viene approntato un megaschermo per chi non riesce a entrare in aula a vedere lo spettacolo. Perché di questo in effetti si tratta: uno spettacolo. Un grande show. Uno show inutile? Ci sono già state due indagini giudiziarie sulla morte di Diana e Dodi: la prima della magistratura francese, la seconda di una commissione d´inchiesta britannica, affidata a Lord Stevens, ex capo di Scotland Yard. Entrambe sono giunte alla medesima conclusione: i due fidanzati morirono perché l´autista andava troppo forte e aveva bevuto troppo, perché loro non indossavano cinture di sicurezza, e perché la Mercedes, sbandando nel tunnel dell´Alma, a Parigi, finì contro una colonna anzichè una parete, altrimenti l´impatto sarebbe stato minore e quasi certamente sarebbero sopravissuti. Eppure quelle inchieste, condotte lontano dall´occhio del pubblico, non hanno messo a tacere chi crede nel complotto, a partire ovviamente da al Fayed. Il processo di Londra ha il vantaggio d´essere pubblico. E di essere gestito da un giudice che, con le sue domande pignole e taglienti, lascia intravedere l´ambizione di mettere la parola fine sulla morte più misteriosa dei nostri tempi. Giorno dopo giorno, Lord Baker ha dimostrato che esiste una risposta razionale a ogni dubbio sorto. La Mercedes andava al doppio della velocità consentita. L´autista aveva in corpo il triplo della dose di alcol consentita. E´ falso che i test sul suo livello di alcol furono sostituiti: lo provano tracce di un medicinale che prendeva da tempo. E´ falso che una luce laser lo accecò nell´istante fatale: forse solo i flash dei paparazzi. La Fiat Uno bianca che avrebbe tamponato la Mercedes non è stata trovata, ma nulla prova che avrebbe potuto essere la causa dell´incidente. Non ci sono prove che Diana era incinta, comunque prendeva la pillola. Non ci sono prove che stesse per sposare Dodi, al contrario sembra che non ci pensasse minimamente. E´ falso che fu imbalsamata per occultare una presunta gravidanza, avvenne per evitare che il corpo si sfigurasse prima che Carlo e i figli potessero vederlo. E così via. Alla fine, insomma, a restare vittima di uno «scacco matto» dovrebbe essere l´accusatore, al Fayed. Sarà la fine della storia, come spera il giudice Baker? Non scommetteteci. I fautori della teoria della cospirazione non sono tipi da arrendersi di fronte ai fatti. Enrico Franceschini