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 2008  febbraio 28 Giovedì calendario

Il racconto degli amichetti. La Stampa 28 febbraio 2008. Ciccio aveva la gamba sinistra rotta, e accanto al suo cadavere c’erano degli ossicini

Il racconto degli amichetti. La Stampa 28 febbraio 2008. Ciccio aveva la gamba sinistra rotta, e accanto al suo cadavere c’erano degli ossicini. C’era anche un mucchio di sangue. Salvatore forse aveva il femore incrinato. Li separavano 18 metri di buio, e li hanno separati anche molte ore: Francesco non è durato tanto. Salvatore è morto vicino a un davanzale e sopra sono state trovate le sue scarpe e la t-shirt. Sotto, erano accatastati uno sull’altro dei tufi come se avesse voluto salirli per arrivare a quella fessura. Il primo a cadere sarebbe stato Ciccio, il fratello più grande. Poi Salvatore gli sarebbe cascato sopra, e così avrebbe attutito l’impatto. Quando ha finito di vivere aveva lo sguardo rivolto verso l’unico raggio di luce che scendeva dentro quell’antro, uno spiraglio a forma di cono che sembrava ricongiungerli ancora alla vita esterna. Ma la verità, nella storia di Gravina, finisce dove comincia il mondo fantasioso dei bambini, una dimensione che si confonde nel sogno e nel gioco come se niente fosse realmente vero. C’è una foto, che ci fanno vedere, con degli scarabocchi fissati a stento su quelle pareti bitorzolute, come se uno dei due fratellini avesse voluto marchiare con i loro nomi quel sepolcro di tufi e ombre che li ricopriva. Non riusciamo a scorgere niente di più di quel che possiamo immaginare. Tutto ciò è vero o falso? Il fatto è che la storia che comincia a dipanarsi non è solo quella di un incidente, con il fratello più piccolo che sfida tutto per salvare il più grande, le ironie e le regole, persino la morte («li prendevamo in giro, perché ci sembravano poco coraggiosi», ricorda Marco, che oggi ha 16 anni. «Perché non scendete mai nella masseria delle cento stanze?»), ma è la foto di gruppo in un interno dei ragazzi di strada nella provincia d’Italia. Come dimostra pure il racconto del ragazzino di 11 anni che ha salvato Michele, il bambino caduto lunedì vicino ai cadaveri dei due fratelli. Lui dice che si era calato laggiù «con altri due amici. Eravamo finiti lì perché avevamo visto che c’erano quattro ragazzi, Michele e dei suoi compagni. Loro hanno cominciato a tirarci delle pietre e noi abbiamo risposto». Dice che ha visto Michele scappare, salire su per i gradini, e poi all’improvviso «è caduto e s’è messo a gridare». Due ragazzi sono scappati via: «Non vogliamo grane». I tre che sono rimasti hanno preso una scala: «abbiamo cercato di calarla dentro, ma era troppo profondo. Michele continuava a gridare e io ho provato a entrare nel pozzo. Nel buco ci sono dei gradini, delle parti in cui è possibile aggrapparsi. Sono sceso per un tratto fino a quando ho capito che non ce l’avrei mai fatta, perchè stavo per cascare anch’io. Quando sono uscito da lì, mi sono precipitato dalla madre di Michele. Lei ha chiamato i vigili del fuoco». Il suo racconto pare avvalorare la tesi dell’incidente: ci si soccorre anche se non si è fratelli, si tenta di scendere anche se ci si tira le pietre addosso, e si rischia di cadere e morire assieme, nonostante tutto. Come se questo segreto, questo regno della paura e della fantasia valesse più della vita. Lui è già tornato a scuola, adesso, e gli hanno fatto le feste. Capelli castano scuri corti, una frangetta sulla fronte, secco e nemmeno troppo piccolo per i suoi 11 anni. Spiega che sapevano tutti del pozzo e dei rischi che si correvano nella vecchia casa, ma che lo facevano tutti da sempre: «Anche Francesco e Salvatore li ho visti che entravano lì. Ma alla polizia non mi hanno dato retta». Marco ci ha fatto vedere come si entrava in questa masseria, il muro da scavalcare, un cancello chiuso e una discesa di sei metri d’erba gramigna dove scivolare in fondo a un cortile racchiuso fra mura cadenti. Indica un punto là sopra, «quella finestrina la vedi?, sali le scale, passi una porta, e nel secondo piano c’è il buco del cunicolo». Ci sono tre accessi a diversi livelli per arrivare nella cisterna. Marco fa vedere invece un altro ingresso dalla strada, che bisogna scavalcare. «Posti come questi ce ne sono altri», dice Marco. «Ma questo è il più pericoloso. Ciccio e Salvatore andavano negli altri, e io li prendevo in giro a scuola, perché mi sembravano un po’ paurosi». Poi alla fine hanno trovato anche loro il coraggio («Io li ho visti entrare», dice l’amico di Michele). A sentire pure altri ragazzi, quel 5 giugno non è stata la prima volta. Ciccio è caduto. Probabilmente era ancora giorno, sostiene l’avvocato Angela Aliani, il difensore del padre, perché Salvatore è morto cercando la luce. Però, è vero che sono rimasti delle ore lì sotto e che possono pure aver passato una notte e visto arrivare il giorno. Ciccio s’è rotto la gamba. E Salvatore ha cercato di raggiungerlo utilizzando delle rientranze nella muratura del cunicolo. Francesco era a mezzo metro da un varco che collega la fossa del pozzo alla cisterna. E’ stato trascinato per alcuni metri, dal fratello. E’ morto quasi subito, a faccia in giù, perdendo molto sangue. C’erano 7 gradi. E il buio è così nero da mettere orrore persino agli adulti. Il più piccolo, Salvatore, ha resistito da solo, al freddo, per tante ore, forse un giorno intero, con il coraggio di un bambino inventato da Niccolò Ammaniti. Stava a 15 metri, sotto un davanzale alto un metro e mezzo, in direzione di quel filo di luce. S’è mosso, s’è agitato, ha camminato e urlato. Su una parete ha lasciato graffi di disperazione e 5 dita impresse, come se avesse battuto la mano contro, per rabbia. S’è arreso, lasciandosi dormire, appoggiando dolcemente la guancia sulla sua mano. Così l’ha preso la morte. PIERANGELO SAPEGNO