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 2008  febbraio 28 Giovedì calendario

USA e getta. La Stampa 28 febbraio 2008. I primi a chiedere «come sta?» sono stati gli sponsor. Coca Cola, Visa, Mc Donalds, Adidas, le multinazionali che hanno appeso muri di pubblicità in tutta Pechino per fare di Yao Ming la faccia dei Giochi

USA e getta. La Stampa 28 febbraio 2008. I primi a chiedere «come sta?» sono stati gli sponsor. Coca Cola, Visa, Mc Donalds, Adidas, le multinazionali che hanno appeso muri di pubblicità in tutta Pechino per fare di Yao Ming la faccia dei Giochi. E lui rischia di non esserci. Infortunato, a 5 mesi dalle Olimpiadi, frattura da stress al piede sinistro, un’emergenza nazionale da affrontare in un momento già difficile. Le rogne per Pechino arrivano tutte dall’America: proteste sociali, critiche sul Darfur, richiami al boicottaggio, l’intera squadra Usa che non si fida del cibo cinese e adesso il gigante che scricchiola mentre se ne sta in Texas, a giocare con gli Houston Rockets. Per lui la stagione è finita e il governo cinese la prende come l’unica minuscola buona notizia. La nazionale di basket si ritroverà in ritiro l’8 marzo per studiare un modo di giocare senza il centro capace di spostare le medaglie. Da solo basta a dare alla Cina speranze di podio e l’intera nazione progetta o invoca un piano di recupero. Dai tifosi che hanno invaso internet per lasciare auguri e portare a casa notizie, ai medici che suggeriscono a Yao Ming di curarsi in patria, alla federazione che ha stabilito un ritmo di guarigione ideato a cicli, l’ultimo scade 20 giorni esatti prima dell’esordio. Sono tabelle e Yao per primo considera l’ipotesi che possano fallire: «Perdere questi Giochi sarebbe il più grande rimpianto della mia vita». Si sente colpevole, ha chiesto a più di un esperto «quanto questo danno fosse evitabile», lui, che per la presentazione delle divise olimpiche, un paio di mesi fa, aveva ammesso: «In America sono molto aggressivi, lo stile è più individualista meno di squadra, sei spinto a scendere in campo e a vedertela sempre uomo contro uomo». Filosofia che i cinesi avevano già allora interpretato come «pericolo». Davanti al panico reagiscono come sempre, con grande fiducia in quello che sarà e con un filo di propaganda incentrata sull’atleta che resta Liu Xiang. L’ostacolista, giusto ieri, è stato casualmente fotografato mentre si allena e distribuito in ogni giornale e tv. Lui piegato sulla sbarra, lui che prova il modo migliore per alzare la gamba sopra l’ostacolo, lui tutto concentrato mentre conta i passi. Più comunicati di serenità e telegrammi di sostegno al cestista. Ma è il marketing che segna il livello del dramma: icona imperfetta, si chiamano così i frontmen che escono di scena nel bel mezzo dell’evento e per quanto arido sembri è esattamente la posizione attuale di Yao, molto più di un fuoriclasse.  orgoglio nazionale, la prova che la Cina è fatta di uomini alti e forti che sanno battere la concorrenza, un eroe di Stato sempre protetto. Quando si è sposato e ha saltato un ritiro per il viaggio di nozze, lo hanno giusto sgridato, la stampa lo ha criticato e i dirigenti difeso anche se altri sono stati ripresi per molto meno. Lui è speciale, il prescelto di una razza intera a cui non assomiglia ma che rappresenta. Rischia di restare un poster, una gigantografia di 2 metri e 29, lontano dal campo e dai sogni. Il piano B, la tattica che il ct Bai Xilin cerca di inventare per sostituirlo negli schemi, non esiste. Se Yao dovrà vedere dalla tribuna la finale di basket alle Olimpiadi sarà costretta a farlo anche l’intera squadra cinese. GIULIA ZONCA