Eugenia Roccella, Libero 24/2/2008, 24 febbraio 2008
Il dottor Silvio Viale, grande sostenitore dell’aborto chimico con la pillola Ru486, e oggi probabile candidato radicale nelle liste del Pd, ha almeno un merito: non si nasconde dietro giri di parole, non ricorre ad eufemismi per accattivarsi l’opinione pubblica
Il dottor Silvio Viale, grande sostenitore dell’aborto chimico con la pillola Ru486, e oggi probabile candidato radicale nelle liste del Pd, ha almeno un merito: non si nasconde dietro giri di parole, non ricorre ad eufemismi per accattivarsi l’opinione pubblica. Nell’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera canta le lodi della pillola abortiva, da lui sperimentata all’ospedale Sant’Anna di Torino nel 2005. Una sperimentazione autorizzata da un ministro della Sanità di un governo del centrodestra, Sirchia, e ingloriosamente interrotta durante un governo di centrosinistra, dopo un’in dagine giudiziaria, e dopo che un consigliere regionale dei Comunisti italiani, Vincenzo Chieppa, aveva chiesto di rimuovere il dottor Viale dalla sperimentazione. Se quasi tutti, a volte con un pizzico di compunzione ipocrita, si affannano a dichiarare che l’aborto è un dramma, Viale è un’eccezione: qualche settimana fa ha spiegato che la diminuzione degli aborti ha «affievolito la coscienza e la memoria collettiva delle donne». Non sono più i bei tempi in cui gli aborti erano 230.000, come nel 1982: «Oggi solo una donna su tre, forse una su quattro, farà un’interruzione di gravidanza nell’arco della sua vita riproduttiva». Peccato, vero? L’interpreta zione che Viale dà della legge 194 è quanto mai elastica: sembra non ci siano limiti, cautele, regole da rispettare. Nella visione del futuro parlamentare l’embrione e il feto sono entità trascurabili, mentre le donne che abortiscono, perfettamente sicure di sé, sono liete di avere l’occasione di esercitare un diritto. Viale conosce così bene la legge sull’interruzione di gravidanza da essere accusato appunto di averla violata, in particolare per aver consentito alle donne che prendevano la pillola abortiva, di evitare il ricovero, e di espellere l’embrione fuori dall’ospe dale, da sole, tra i crampi e il sangue. Il problema però non è la sensibilità del nostro eroe alla questione dell’aborto, all’ambiguità dolorosa che sempre l’accompagna, ma la sua presenza nelle liste del Pd insieme a persone come Paola Binetti, e la stessa Livia Turco. Nella primavera scorsa, dopo il tragico caso avvenuto all’ospe dale Careggi di Firenze (un bimbo abortito dopo una diagnosi di malformazione rivelatasi sbagliata, e rimasto in vita per pochi giorni) ho lanciato dalla pagine del quotidiano "Avveni re" la proposta di istituire linee guida per la legge sull’aborto. L’idea era semplice: la legge 194 ha trent’anni, è ora di farle un "taglian do". Non si tratta di modificarla, ma di adeguarla, attraverso norme applicative, alla situazione attuale, e di mettere in pratica le parti sulla prevenzione, che sono rimaste per anni lettera morta. Un’ipotesi che poteva raccogliere consensi trasversali, come è infatti accaduto: nel centrodestra l’hanno fatto per esempio Volonté e Bondi, e poi, con grande convincimento e potenza di fuoco, Giuliano Ferrara, con la sua moratoria. Nel centrosinistra Paola Binetti ha aderito, e ha appena annunciato una mozione insieme a Livia Turco e Anna Finocchiaro su questa linea. La Binetti dichiara espressamente di voler mantenere l’uso eventuale della Ru486 (attualmente sotto esame del nostro ente di controllo dei farmaci) dentro i limiti e le garanzie imposte dalla legge 194, mentre Viale, come abbiamo ricordato, è indagato proprio per aver somministrato la pillola abortiva senza rispettare la legge. Il Pd si accinge dunque a ripetere lo schema già sperimentato dall’Ulivo e dal governo Prodi: includere tutto e il contrario di tutto, senza timore di contraddirsi, e soprattutto senza timore del ridicolo. *portavoce Family day