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 2007  dicembre 19 Mercoledì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 3 MARZO 2008

José Luis Rodrìguez Zapatero vs Mariano Rajoy. Si svolge oggi il secondo e ultimo faccia a faccia tra il premier socialista e il leader del partito popolare a caccia degli ultimi voti in vista delle elezioni spagnole di domenica prossima. Il primo round, andato in onda una settimana fa, è stato realizzato solo dopo una lunghissima, estenuante trattativa fra le delegazioni dei due partiti. Alessandro Oppes: «Tutto è stato sottoposto a una verifica attentissima: dai colori dello studio televisivo (che non richiamino quelli delle due forze politiche), alle luci, alla durata dei primi piani, fino a un accordo dell’ultima ora sull’altezza delle poltroncine: cinque centimetri in più quella di Zapatero per compensare la differenza di statura». [1]

I partiti hanno trattato fino al più trascurabile dettaglio una cinquantina di regole. Elisabetta Rosaspina: «La temperatura sotto le telecamere (21 gradi), perché il sudore denuncia nervosismo; i piani corti e quelli lunghi, la durata delle inquadrature sull’espressione di chi dei due sta subendo le staffilate dell’altro (4 secondi); il numero massimo di consiglieri, sette, per ciascuno dei due concorrenti. Arbitri professionisti di pallacanestro hanno cronometrato i round: tre minuti iniziali a testa, poi cinque blocchi a tema (economia e lavoro, politiche sociali, politica estera e sicurezza, politica istituzionale, obiettivi) di 15 minuti l’uno, con due minuti a testa per esporre le proprie ragioni e contestarsi vicendevolmente; infine, tre minuti a testa per le conclusioni». [2]

Zapatero si fa forte degli indiscutibili successi nella macroeconomia. Gianni Perrelli: «Una crescita costante fra il 3 e il 4 per cento che ha spianato il sorpasso sia pur controverso dell’Italia nel Pil pro capite; un surplus storico del 2 per cento nell’amministrazione pubblica; tre milioni di nuovi posti di lavoro; l’aumento del salario minimo da 600 a 800 euro mensili. Sempre sorridendo, il leader del partito socialista (Psoe) ha promesso che, se sarà rieletto, la Spagna (43 milioni di cittadini) supererà pure la Francia e la Germania, puntando a diventare la quinta o sesta economia del pianeta». [3]

La Spagna cresce ininterrottamente da vent’anni. Sergio Romano: «Il suo debito pubblico ammonta al 39,7% del Pil mentre quello dell’Italia era nel 2006 al 106,8% e scende con estenuante lentezza. Il suo tasso di disoccupazione (più del 20% dieci anni fa) è sceso, nonostante qualche recente peggioramento, a livelli italiani. La sua ”alta velocità” collega Madrid a Siviglia e collegherà ben presto Madrid a Barcellona. Gli investimenti privati nella sua economia superano di circa un terzo quelli italiani. Le sue spese nell’educazione e nella ricerca hanno scavalcato di qualche decimale le nostre». [4]

Secondo i sondaggi, i socialisti hanno un vantaggio che va da 1,5 a 3,5 punti percentuali. Josto Maffeo: «Tutto è ancora aperto, dicono gli esperti». Un politologo spagnolo: «Zapatero sta ancora in sella, ma deve stare attento a non scivolare dal sellino nella volata finale, che per il momento sta tirando». [5] La luna di miele fra Zapatero e gli spagnoli sembra finita. Michela Coricelli: «La sua gestione viene definita ”discreta” (così così) dal 41,2% degli intervistati, solo il 25,5% la approva come ”buona”, mentre il 17,9% la considera ”cattiva” e l’8% pessima». [6]

Rallentamento dell’economia, astensionismo dell’elettorato socialista, allarme per una realtà separatista sotto il pudico velo della difesa delle autonomie. Luigi La Spina: «Sono queste le incertezze che, quasi di colpo, hanno messo in dubbio una vittoria che sembrava scontata». [7] Nello scorso novembre l’indice di produzione industriale è caduto dello 0,6 per cento rispetto allo stesse mese del 2006. Gian Antonio Orighi: «Il tasso di morosità di privati e imprese è aumentato per il quinto mese consecutivo e viaggia sullo 0,8 per cento. L’edilizia, uno dei motori del boom spagnolo, è diminuita del 3,9 per cento rispetto a ottobre, la maggior caduta registrata nella Ue. L’inflazione vola al 4,3 per cento, il peggior dato dal ”95: 1,2 punti in più rispetto alla media Ue. E la disoccupazione ha rotto il trend positivo che durava da 3 anni e nel 2007 è cresciuta di 106 mila unità (8 per cento)». [8]

Negli ultimi 6-7 anni la Spagna si è trasformata in una specie di Florida europea, con gli stranieri che hanno comprato oltre 1 milione di abitazioni per risiedervi, con un importante apporto occupazionale nei servizi. Il turismo contribuisce per il 14 per cento al pil. [8] Problema: l’edilizia e il turismo sono molto sensibili alla congiuntura del mondo sviluppato. [9] Victor Perez-Diaz, autore de La lezione spagnola (Il Mulino): «Sull’economia spagnola siamo in stato di allerta, non ancora di allarme. A breve termine, vale a dire per i prossimi uno o due anni, i segnali sono di difficoltà. Mentre in prospettiva i problemi potrebbero essere molto più seri». [10]

Mentre l’elettorato del Pp registra partecipazioni al voto abbastanza uniformi, quello del Psoe è meno costante nella frequenza all’urna. La Spina: «Nel 2004 furono i dati delle affluenze ai seggi a svelare subito l’esito della consultazione. Se i dirigenti socialisti non riuscissero a mobilitare i loro simpatizzanti, per Zapatero la partita potrebbe diventare molto incerta». [7] La questione è stata sottolineata da un ”fuera de antena” alla fine di un’intervista tv sulla Cuatro che ha creato al premier qualche imbarazzo: «Credo che a noi convenga che ci sia tensione... Comincerò, a partire da questo fine settimana, a drammatizzare un pò. Ci conviene molto. Se no, la gente...», ha confidato al giornalista Iñaki Gabilondo. [11]

Il federalismo di Zapatero, un tempo indicato come esempio di buon governo, comincia a cigolare. Romano: «Soprattutto a Barcellona dove il sistema politico catalano non sa che cosa fare della grande autonomia conquistata in questi anni. Il problema basco è una piaga aperta che né Aznar né Zapatero sono riusciti a risolvere». [4] Non avendo ottenuto il Psoe la maggioranza assoluta dei seggi alle Cortes, in questi quattro anni il premier è stato costretto a un’alleanza con i partiti autonomisti che l’ha indotto a concedere poteri via via sempre più larghi alle regioni in cui si articola lo Stato federale spagnolo. La Spina: «In più, la trattativa con l’Eta, sotterranea ma recentemente ammessa in una lunghissima intervista al quotidiano El Mundo, è sfociata, con l’attentato del dicembre 2006, nella fine della tregua che era stata proclamata da quella organizzazione terroristica». [7]

Il 30 gennaio la Conferenza episcopale spagnola ha diffuso un decalogo con indicazioni dettagliate per orientare il voto dei cattolici. Rosaspina: «Dieci comandamenti per ricordarsi, per esempio, di appoggiare soltanto i partiti che difendono la famiglia tradizionale, che si oppongono all’eutanasia e non agevolano i divorzi, l’aborto, le coppie gay. La chiesa tifa per i politici che non abbiano intrattenuto, né direttamente né indirettamente, un dialogo con organizzazioni terroristiche. Il riferimento è alle fallite trattative del governo, nel 2005 e nel 2006, con esponenti dell’Eta». [12]

In questi 4 anni, la Chiesa spagnola è stata il vero partito d’opposizione. Maurizio Matteuzzi: «Secondo Juan José Tamayo, teologo ”dissidente”, scrittore e professore all’Università Carlos III di Madrid, la peculiarità della Spagna è di ”avere la chiesa più conservatrice e la società più secolarizzata d’Europa”. Un paese in cui ”l’embrione umano riceve una tutela legale minore di quella che si dà agli embrioni di certe specie animali”, parole del vescovo gesuita Juan Antonio Martínez Camino, portavoce della Cee, dopo l’approvazione della legge sulla riproduzione assistita. Per la chiesa spagnola e per il Vaticano Zapatero è il diavolo, ”un estremista radicale senza paragoni nel mondo”». [13]

Le turbolenze tra episcopato e governo erano cominciate sei o sette mesi dopo la vittoria socialista alle elezioni di marzo 2004, con il susseguirsi impetuoso (il ”bombardeo”, il bombardamento, si diceva a Madrid) delle riforme varate da Zapatero in materia di diritti civili. Sandro Viola: «Mettendo da parte le cautele che avevano guidato la generazione politica precedente, sinistra inclusa, nella fase della transizione post-franchista, il giovane capo del governo sembrava deciso a rifare il volto del suo paese. Matrimonio tra omosessuali con facoltà d’adozione, divorzio-lampo, procreazione assistita, limiti all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole». [14]

L’antagonismo tra le gerarchie ecclesiastiche e il governo di Madrid ha sfiorato i toni che s’erano sentiti alla metà degli anni Trenta del secolo scorso, quando il paese stava precipitando verso la guerra civile. Viola: «Oggi gli appelli dei vescovi sono meno esaltati, ma nella sostanza non tanto diversi. Per le gerarchie cattoliche, le riforme del governo Zapatero stanno infatti ”sfasciando la famiglia e la stessa democrazia”. Per il socialista Alfonso Guerra (dieci anni vice-presidente del governo con Felipe Gonzàlez) i cardinali e vescovi spagnoli somigliano ormai ”agli ayatollah di Teheran”». [14]

Nonostante tutto, Zapatero «ha paura solo di due cose: un marzo caratterizzato da un’epidemia di raffreddore e l’imponderabile...» (Ignacio Escolar, direttore del Publico). La Spina: «Nessuno osa parlarne apertamente. Tutti lo pensano con angoscia, ma il pericolo più grave, per il capo del governo, è legato proprio alla parola ”imponderabile”, a quell’ipotesi di una possibile nemesi storica: così come il gravissimo attentato dell’11 marzo 2004 alla stazione madrilena di Atocha determinò la sconfitta di Aznar, un altro atto di terrorismo, sia da parte degli islamici, sia da parte dell’Eta, prima del 9 marzo, potrebbe condannare Zapatero alla stessa sorte». [7]

Se a perdere sarà Zapatero, la sua carriera politica sarà conclusa e i socialisti andranno all’opposizione. Viola: «Niente di straordinario, dunque, visto che si tratterà del normale andirivieni del potere in una democrazia. Ma se a perdere saranno i popolari di Mariano Rajoy, a perdere con loro, e rovinosamente, sarà la Chiesa spagnola. La Chiesa d’un paese di antica, fastosa (anche se per lunghi tratti cupa) tradizione cattolica avrà perso credibilità, prestigio, ascendente sui suoi fedeli. Si ritroverà traballante, molto probabilmente senza sapere come risollevarsi da un colpo tanto grave». [14]