la Repubblica 29/2/2008; La Stampa 29/2/2008, 29 febbraio 2008
Articoli su Sanremo. VENERDI’ Bertè canta in manette la Repubblica, venerdì 29 febbraio La canzone copiata – più remake che plagio – è stata giustamente punita con la squalifica
Articoli su Sanremo. VENERDI’ Bertè canta in manette la Repubblica, venerdì 29 febbraio La canzone copiata – più remake che plagio – è stata giustamente punita con la squalifica. Ma bisogna pur riconoscere che senza il caso Berté questo Festival si sarebbe addormentato. Ieri, dopo la consueta giornata di polemiche e incertezze, la tormentata diva rock ha aperto fuori concorso la serata in manette, cantando con una Ivana Spagna bertizzata Musica e parole. Una in nero e bianco, l´altro in bianco e nero. «Sono le tende dell´albergo?», scherza Chiambretti. E poi: «La Berté ha un inedito di riserva, ´O sole mio». Grande colpo di teatro, e l´applauso è caloroso. «Lei, Spagna, voterà per Zapatero o per Zarrillo?», sdrammatizza Piero. E alla Berté: «E´ vero che ha cambiato il frigorifero perché era nano?». «Ma se non ho neanche una casa, sono una senzatetto», ribatte lei. «Sono venuta a Sanremo per starmene una settimana in albergo in santa pace. E per dimostrare che sono cresciuta». Al Festival, si sa, la realtà supera la fantasia. In mattinata il clima era tutt´altro che disteso. Enzo Mazza, presidente della Fimi, l´associazione delle major discografiche, protestava (con 24 ore di ritardo) contro la decisione del direttore artistico di far esibire la cantante. «Se vuol restare, canti un altro brano», ha detto. Un comunicato firmato da Fimi, Afi e Pmi annunciava, nell´incredulità generale, un ammutinamento degli artisti: «Il regolamento va rispettato, altrimenti chiunque potrebbe violarlo e avere il diritto di esibirsi ugualmente». Ma in realtà nessuno degli artisti in gara si è pronunciato contro la decisione della Rai, anche se Mazza ha cercato di mantenere il punto: «Alcune etichette discografiche sono infastidite dall´eccessiva esposizione mediatica riservata alla cantante e al suo brano fuori gara». «Mi sorprende che la categoria non percepisca la sensibilità del gesto di Baudo nei confronti di una persona che è stata tradita nella fiducia», ha detto il capostruttura di RaiUno, Giampiero Raveggi. Poi altri discografici si sono dissociati e Fimi, Afi e Pmi hanno accettato l´esibizione della Bertè. «Canti pure, ma che sia un caso unico». Alla fine si è deciso di far esibire la cantante un´ultima volta stasera, ma di escluderla dalla finalissima di domani. Per cercare di far fronte all´emorragia degli ascolti («Non crocifiggete quest´uomo che vi ha tolto "Porta a porta" per cinque giorni» ha scherzato Chiambretti riferendosi a Baudo), gli autori hanno sistemato in prime time i brani più efficaci della serata dei duetti. Vita tranquilla di Tricarico, resa ancora più intensa dalla presenza del Mago Forrest, che ha cercato di tradurre in immagini la malinconia dell´artista, si è confermata la canzone più originale di questa edizione. Parecchio più brillante la canzone di Mietta, cantata a cappella con i Neri Per Caso. Scelta di gran classe per Sergio Cammariere, che ha aggiunto al suo languido swing la voce della diva brasiliana Gal Costa. Frankie Hi Nrg Mc ha coinvolto nel suo rap Simone Cristicchi, vincitore della scorsa edizione del Festival. In coppia vanno meglio anche Gianluca Grignani con i Nomadi, Mauro Venuti coi Denovo, Eugenio Bennato con Pietra Montecorvino e Fabrizio Moro con Gaetano Curreri (quel che gli mancava per diventare Vasco). La Tatangelo ha scelto Michael Bolton, urlatore americano, per il suo duetto, che così è diventato, se possibile, più drammatico. Ci ha pensato Chiambretti a ristabilire l´equilibrio. «Colpo di scena, abbiamo la notizia», ha annunciato. «Il parrucchiere della Tatangelo non è gay». Silvia Fumarola D’Alessio e Del Noce la Repubblica, venerdì 29 febbraio La serata dei duetti aveva funzionato l´anno scorso, ovvio riproporla: i duetti si dividono in due categorie, quelli bellissimi e quelli bruttissimi. Detto questo, i duetti sono un´idea che fa saltare in aria, prendendola dal lato della musica, la liturgia del festival, pur richiamandosi a tradizione antica. I duetti si possono anche non fare, ma sono la dimostrazione che Sanremo può cambiare dal di dentro senza chiamare il curatore fallimentare e senza prendersi a cazzotti. Ci vogliono altre trenta idee equivalenti, e poi il festival cambia. In una normale azienda, alla fine del festival un dirigente addetto convocherebbe il gruppo di persone che ha pensato (a lungo), deciso e scritto gli spazi autoriali tra una canzone e l´altra, soprattutto quelli per le gag con la Guaccero e la Osvart. In una normale azienda quella persona accoglierebbe i suddetti con un´aria molto accigliata. Visione pressoché mistica, in apertura di serata: accanto a Del Noce non c´è più la Parietti ma Gigi D´Alessio. La differenza si nota, ma si nota soprattutto il fatto che D´Alessio abbia qualcosa a che fare con una celebre cantante in gara, favoritissima per la vittoria. Si attende per domani adeguato trattamento per Tricarico, che nel festival dei paradossi ha - incredibilmente - l´unica canzone che si fischietta il mattino dopo. Antonio Dipollina Jovanotti non firma la par condicio la Repubblica, venerdì 29 febbraio Se la fa ripetere due o tre volte, Jovanotti, questa storia del requiem per Sanremo e ogni volta sgrana gli occhi che brillano e ride la sua risata tranquilla. «Ma che morto! Sanremo è vecchio che non vuol dire morto: vuol dire vecchio. Ha figli nipoti e pronipoti, vuoi mettere la ricchezza. Prima era da solo, maestoso lassù, adesso è pieno di compagnia… Deve solo ritrovare il ritmo. A Sanremo se fai male si dimentica, se fai bene resta. l´unico evento tv che si fa storia subito. Ha un numero, una scadenza. Ogni anno fa il punto della situazione italiana: assorbe le tensioni e le paure, gli entusiasmi e le incertezze del paese. Tutti qui, giornalisti a centinaia, a tastare il polso: mica solo del Festival, no? una spugna dell´Italia». Infatti l´incertezza è notevole e la decadenza visibile, in Italia. «Ma no, molto dipende da come ce lo raccontiamo. Il paese è pieno di energie. Bisogna raccoglierle e ripartire». Ecco che sta già facendo politica. Ha firmato la liberatoria per l´Ariston? «Sono un adulto responsabile, non devo mica firmare un foglio per avere il controllo di quello che dico». Dunque assicura che, stasera quando salirà sul palco come super ospite non farà il comunista e non metterà in croce Baudo, già in sufficienti ambasce? «Vado a cantare. Ho sentito che si dice che avrei dovuto cantare Mi fido di te, scelta come colonna del Pd. Non la canto ma non perché mi abbiano chiesto di non farlo: ho i brani nuovi dell´album Safari, nessuno mi ha detto cosa fare». E comunque anche "io lo so che non sono solo quando sono solo", da Fango che canta stasera, si adatta a Veltroni… «Be´ - ride - la musica si adatta sempre a chi la ascolta. "Svegliarsi e alzarsi e smettere di lamentarsi" è un buon proposito per chiunque, no? Se c´è anche una piccola luce è lì che bisogna puntare. Vince sempre chi sceglie. Quando scegli, anche se fai una scelta sbagliata non sbagli. Bisogna avere una visione per andare avanti. come al Casinò: vinci se hai il coraggio di puntare tutto su un numero. Se continui a scegliere solo rosso o nero puoi andare avanti tutta la vita». Una visione per Sanremo. «Il suo simbolo è Volare: nel dopoguerra un´iniezione di energia, l´Italia che si rialza, riparte con un uomo del Sud la faccia solare il baffetto sveglio. Dylan diceva: amo i cantanti che sembra abbiano visto quello che io non ho visto. Ecco: dagli artisti ci si aspetta che vedano oltre. Che senso ha far vedere una che non balla un granché: fammi vedere un balletto bellissimo, no? Sei Sanremo, costa ma lo puoi fare: se metti in scena solo la normalità la tv diventa tutta un reality show». Chi vede "oltre", fra i cantanti in gara? «Tricarico, per me. Ma è questione di dove guardi. Anche Little Tony "vede" la musica italiana, quella che piaceva a mia madre, mi parla di un mondo di 200 mila serate nei paesi: ha una visione. Persino Cutugno: va sentito all´estero però. Se senti "L´Italiano" all´estero ti può succedere di commuoverti, in Italia meno. Loredana, lei sì che ha visto cose… il rock, è la nostra Britney Spears». Cosa pensa della sua esclusione? «Che la musica e il mondo che ci gira attorno viene dal basso, prima di essere cultura è un circo. Ci sta che qualcuno pensi di girare le carte e fare un trucco. possibile. Non penso a lei, penso ad altri». Crisi di ascolti. Non crede che l´idea di sommare il pubblico di Baudo a quello di Chiambretti sia un errore? Chi ama Baudo non capisce Chiambretti e cambia canale, chi ama Piero si annoia con Pippo e se ne va? Un po´ come fra laici e cattolici nel Pd, insomma: gli elettorati non si sommano, si elidono. « una tesi interessante questa delle somme che si elidono ma io credo che il problema di Sanremo non siano né Baudo né Chiambretti, mi divertono insieme, ma gli autori e la musica: è uno show con tempi che non funzionano. Bisogna rimettere al centro la competizione. Poi io non saprei condurre, non so come si faccia: a occhio punterei sulla grande qualità, e terrei insieme con coraggio. Vale anche per laici e cattolici nel Pd: è questo il nodo, non si può eludere. Chi li sa far convivere ha fatto la rivoluzione, ha vinto». Veltroni le ha chiesto di entrare in lista? «No, mi aveva chiesto di entrare nella Costituente ma le cose le deve fare chi le sa fare. A me piace che la politica sia un mestiere». Eppure le liste sono piene di candidati "simbolo" della società civile: la politica di mestiere è diventata casta. «Quando la politica considera gli elettori un pubblico diventa uno spettacolo. Questo purtroppo è già successo. Ora bisogna uscire da lì e se ne esce vincendo: è un crinale, devi usare tutti gli strumenti utili basta che tu abbia chiaro dove stai andando. Siamo sul crinale, camminiamo sul crinale. Anche qui: è importante puntare tutto sulla luce e bisogna averne una». La sua luce? «Passo un momento di vita molto intenso. Ho perso da poco mio fratello. stato un lutto grave, inutile che glielo spieghi. Però ho capito che avere di fronte qualcosa rispetto a cui non posso far niente, in un certo senso mi rilassa. un cammino inevitabile. Si può solo andare avanti. Diventi più grande, un po´ più vecchio. Un po´ più capo famiglia. Devi trovare il tuo numero su cui puntare tutto. Non ne esci, non vai da nessuna parte se non giochi su quello». Concita De Gregorio Obsolescenza e bellone la Repubblica, venerdì 29 febbraio In economia, la parola è stata codificata da molti anni. Si chiama obsolescenza. Una macchina è obsoleta quando funziona ancora, ma è meno efficiente di una più recente. Di solito, la prima è lenta, la seconda è veloce. La prima macchina è il Festival. La seconda è il Dopofestival. Le vallette impiegano un tempo infinito per scendere pochi scalini. Il Dopofestival, invece, le vallette non ce le ha. Ha due presentatori che, per lanciare un inserto comico, si voltano di scatto, come ossessi. E che inserti comici! "Vita da Cammariere" possiede geniale semplicità, mentre, nel Festival, i pezzi di film famosi ridoppiati si accasciano per obsolescenza. "Puah!", diceva Cèline, quando voleva scrollarsi di dosso tutte le sciocchezze del mondo. Si potrebbe obiettare che non è detto che la velocità sia sinonimo della qualità di un programma. vero. Ma è anche vero che, se non hai Eco che parla o Mina che canta, allora la rapidità aiuta a venirne fuori. A parte certi squarci di rara cafonaggine, come il balletto di "Giulietta e Romeo" o il duello erotico tra Di Tonno e Ponce, la qualità di cui parla Baudo è una qualità obsoleta, destinata a una generazione in via di estinzione anche per motivi anagrafici. un revival necrofilo. I balletti, col tenero obiettivo di scosciare le bellone, non aizzano più nessuno, superati dall´energia erotica dei videoclip. Le noterelle fragili e mignottesche delle canzoni sono indietro anni luce rispetto al panorama attuale della musica pop. Come è possibile che neanche un cantante giovane senta l´esigenza di ricorrere al computer? Ma oggi il vero ossimoro è: evento televisivo. E che Sanremo possa celebrarlo. Dal momento che l´evento, come una finale di coppa del mondo, esiste in sé. E la tv si limita a diffonderlo, non a inventarlo. Allora molto meglio Elio che, santificato da Berio come uno dei musicisti più interessanti del paese, si mette a cantare alle due di notte. Paolo Sorrentino Baudo: "Non volevo offendere gli italiani" la Repubblica, venerdì 29 febbraio SANREMO - «Pippo Baudo, con tutti i soldi che prende dalla Rai, aveva proprio bisogno di insultare gli italiani?», dichiara Gianfranco Fini al Tg2. «Non volevo offendere gli italiani. Mi dispiace moltissimo se sono stato equivocato». Pippo Baudo è in poltrona nel suo minuscolo camerino. Il day after, dopo lo sfogo sull´Italia di merda e l´appello alla qualità, ha un sapore amaro. Dice di non aver letto i giornali (chi ci crede?), che ha dormito fino a tardi e i titoli glieli hanno riferiti. «Ma non mi sento crocifisso». Travolto dal suo Festival, Baudo lo difende, «anche se lo so per primo che cinque serate sono troppe, che sarebbe meglio farne tre, ma se la convenzione ne prevede cinque... Le cose che ho detto sulla qualità le penso da sempre. C´è confusione nel paese, e non ho capito perché l´isola felice dovrebbe essere la tv che assorbe profumi e miasmi. Sanremo non dev´essere il Carnevale di Rio. Quattro canzoni non possono cambiare la vita della gente. Il clima è quello che è, penso anche ai malumori dei discografici, rispecchiano il paese. C´è nervosismo, il Festival muove interessi enormi, i discografici tornano a casa e non sanno se avranno ancora un posto di lavoro». Reazioni da parte della Rai? «Il direttore generale è stato molto carino. Gli altri… Dai dirigenti mi aspetto di tutto». Ma rifarebbe tutto uguale? «Qualcosa si potrebbe cambiare, ma cambiare in corsa è impossibile. Se dovessi di nuovo, una cura da cavallo». silvia fumarola Chiambretti: questa tv è finita la Repubblica, venerdì 29 febbraio Sbircia i dati su un foglio: «Che bello, non abbiamo perso neanche un telespettatore in questi giorni». Non parla del Festival, è chiaro, ha davanti gli ascolti de La7, la rete in cui va in onda il suo "Markette". L´allegria dura poco. Chiambretti è dimagrito tre chili in tre giorni. «Beh, insomma, avrà letto i giornali no? Siamo nella bufera. Neanche fosse scoppiata la Terza guerra mondiale», sbotta Piero Chiambretti, l´altra metà di Pippo. Qui si tappa un buco e si apre una voragine. Solo un miracolo potrebbe salvare la situazione in questa emergenza. «Per trovare una soluzione bisogna demolire tutto e rifare il Governo della televisione. Già, anche quello. Bisogna ripartire dalle radici, da Garibaldi. E il più pazzo di tutti sono io: va tutto a rotoli, ho ancora tutta la puntata da scrivere e invece sto qui a parlare con lei». Cosa può fare di più? La sua comicità è stata unanimemente applaudita, è l´unica chance che ha il Festival di non perdere altro pubblico. «Spero che lo salvi davvero. Se continua a precipitare si farà male. Non sono mai stato ottimista in vita mia, ma un risultato così disastroso, dico la verità, non me lo aspettavo». Come fa a conservare il buonumore? «Penso che un programma tv sia come una partita di calcio, ti alleni tutta la settimana poi perdi 2-0. Cosa dovrebbe fare allora il mio Torino?». Cambiare strategia? «Ma non si può fare in corsa. Vogliamo riportare la televisione verso i giovani? Bene, allora spegniamola e facciamo i figli. La tv che abbiamo sempre definito specchio rotto della realtà, giocattolo telematico, si è scassata. Raddrizzare il Festival non è possibile senza aggiustare il mezzo». Cosa producono allora queste riunioni fiume? «Cerchiamo di migliorare la qualità dell´impianto. La serata di ieri, con i duetti, è filata liscia. storicamente la migliore. Anche stasera, con i superospiti, abbiamo qualche chance in più». Quattro ore di programma sono troppe anche con le sue iniezioni di comicità? «In uno spettacolo fiume che si chiama "Festival della canzone", anche la musica ha qualche responsabilità. Trentaquattro brani macinati in due giorni sono una somministrazione pesante. chiaro che c´è bisogno di qualche palliativo, di un ansiolitico efficace. I duetti hanno aiutato a rendere la melassa più fluida». Melassa, dice bene. Quest´anno la musica, tranne poche eccezioni, è bruttissima. «Lo dice a me? Non sono mica il direttore artistico. Guardi, io sulle canzoni e sulle vallette non ho avuto voce in capitolo. Ma siamo sicuri che quelle scartate fossero migliori?». Allora vuol dire che se uno ha una bella canzone non la spreca a Sanremo. «Ma ormai è risaputo. Al Festival si viene a proporre la propria immagine più che il brano musicale. Se hai uno scandaletto alle spalle, tanto meglio. Il televoto ti premierà». A questo punto che altro vogliono da lei? Restano due serate. «Chiaro, che io dia un´accelerata allo spettacolo». Non dev´essere facile, con Del Noce in prima fila. Ha una faccia che non riesce a dissimulare il disappunto. come se avesse scritto in fronte: «Lo dicevo io che bisognava cambiare conduttore». «Mi dispiace soprattutto per Pippo, che in questo Festival ci ha messo più di me. crudele fucilare il viticoltore perché un anno il vino non viene buono. La bastonata è stata forte, il gruppo barcolla, ma tutti siamo d´accordo: la linea va difesa. Certo, non è facile, in questo clima, stimolare la parte comica. Ma a un certo punto, quando si avvicina l´ora della diretta, dimentico tutto. Fa parte del professionismo, è quello per cui mi pagano e mi pagano bene. Se così non fosse, se mi facessi condizionare dai "down" della giornata, non potrei fare questo lavoro, vorrebbe dire che chiunque potrebbe prendere il mio posto». La Rai non è stata molto generosa con lei. Mai un pubblico encomio per quei picchi d´ascolto durante i suoi interventi. «Che vuole che faccia? Metto il muso e mando tutto in tilt?». Avrà chiamato Del Noce… «…Sarebbe servito a qualcosa? (In realtà gli ha telefonato: il direttore si è profuso in lodi e ha promesso ampie menzioni, ndr). Sembrerà un controsenso, ma io sono contento, l´interesse intorno a me è altissimo». Avrebbe fatto meglio a declinare e tenersi la terza serata. «Anche in questo caso la Rai si è ben guardata dal far notare che questo Dopofestival ha perso 12 punti rispetto alla mia edizione. Ma questi son discorsi che si fanno alla fine… mi lasci intanto dire una cosa: tutti sono preoccupati per i tre milioni di telespettatori in fuga dal Festival. E agli otto che son rimasti chi ci pensa? Quanti giri deve fare Veltroni per averne altrettanti senza prendere la multa». Giuseppe Videtti *** Torna l’ombra di Bonolis La Stampa, venerdì 29 febbraio «Mi spiace atteggiarmi a Cassandra, però io l’avevo detto: avessi potuto fare a modo mio, oggi ci sarebbe un altro conduttore, e la situazione sarebbe diversa: una faccia nuova suscita più curiosità». Questa frase, il direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce la ripete con mestizia agli amici. E, com’è logico, oggi stesso verrà recisamente smentita dal popolare Noisette, che ribadirà la totale fiducia a Pippo Baudo. Provvediamo quindi in anticipo alla replica di rito («Confermo quanto ho scritto»), così diamo per fatta la rettifica, e ci portiamo avanti con il lavoro. Del Noce, che non manca mai di chiamarsi fuori sul futuro - «tanto sono a fine mandato...» - al futuro ci pensa. Bramerebbe assai di rinnovare la convenzione Rai col Comune spuntando una riduzione della durata del Festival, e si lascia sfuggire: «Credo che alla fine ci riusciremo». Speranza che trova un imprevisto puntello in una mezza battuta dell’assessore sanremese Varnero: «La questione dei cinque giorni? Beh, siamo alla vigilia del rinnovo, chiaro che non dobbiamo apparire remissivi...». Come dire: per ora facciamo la faccia feroce, poi si vedrà. Comunque il dopo-Baudo - rinviato lo scorso anno a furor di popolo, dopo che una fuga di notizie aveva sventato la congiura delnocesca per riportare Bonolis a Sanremo già nel 2008 - è cominciato. Pippo confermato nel 2009 è dato 10 a 1 dagli scommettitori. Poche chances, quindi. Torna in auge il solito Bonolis, con Carlo Conti in seconda istanza. E intanto, a bordo del Titanic ciascuno s’arrabatta per accaparrarsi un salvagente. Il fatto nuovo, rispetto al passato, è che si fugge con dignità, senza spingere troppo: cercando, semmai, di scindere le responsabilità. Ogni protagonista del fallimentare show compulsa con cura certosina e acribia critica le tavole della legge, incrociando i dati degli ascolti con il minutaggio delle «scalette», ciascuno sperando di cavarne la prova matematica che quando il Festival perde pubblico è colpa di qualcun altro. Ma da tanto studio emerge soltanto un dato certo: appena un cantante apre bocca e canta, centinaia di migliaia di telespettatori cambiano canale. In positivo, è ciò che dice Chiambretti: «I momenti di spettacolo funzionano». Prendiamo la serata di martedì: un picco iniziale - 9 milioni e mezzo di spettatori - con i «Commissari Rex»i: i cani vanno meglio della Guaccero, che tuttavia risolleva l’audience dopo la prima caduta, prodotta dall’esibizione del primo cantante (Mario Venuti, per la cronaca: ma i suoi colleghi non andranno meglio). In genere, quando sono in scena Baudo e Chiambretti gli spettatori tornano, e fuggono alle prime note della canzone. Piace il collegamento chiambrettiano dalla «Casa Bianca», mentre sul coté canzonettistico fanno bene solo i Duran Duran, oltre il 35%: meno però del musical Romeo e Giulietta. Il confronto dei dati offre un insolito picco d’ascolti per Lola Ponce e Giò Di Tonno: e proprio non ce lo spieghiamo. Ci spieghiamo fin troppo bene, invece, i record per la replica della piazzata fra Fegiz e Cutugno e per l’esibizione della Berté. Già, il caso-Berté: ovvero la summa dei peggiori caratteri italiani. Su una vicenda lineare (la canzone non è inedita, quindi da regolamento la cantante è squalificata) si innestano il voyeurismo (spiare in tivù il «caso umano»), il sentimentalismo (poveretta, riammettiamola come ospite), la fuga dalle responsabilità (sennò chi si prende la colpa, se si butta?), il complottismo (Baudo e Chiambretti sapevano e ci hanno marciato? Loro smentiscono e minacciano querele) e l’ipocrisia: tutti ripetono «vogliamo proteggerla», ma nessuno osa spiegare perché la vogliono proteggere. Peggio: lo dicono in privato, sciorinando diagnosi che competerebbero a uno psichiatra laureato; e in pubblico si intorcigliano in eufemismi strappalacrime. Alla fine, ecco il compromesso bizantino: ieri Berté ha cantato in apertura di Festival, e ricanterà stasera con i super-ospiti, anziché domani, quando saranno in gara i 19 big superstiti. In questo teatrino desolante, brillano per desolazione i discografici: il presidente Fimi, Mazza, blatera che «i cantanti protestano per il trattamente privilegiato della Berté e minacciano di farsi eliminare tutti!». Se interpelli un cantante a caso, casca dalle nuvole: «Chi è ”sto Mazza che parla a nome mio?». Intanto Mazza dice che la protesta è dei discografici, non dei cantanti: mentre i rappresentanti di altre due associazioni spiegano che loro vogliono il rispetto del regolamento - il che solo in Italia può essere oggetto di specifica richiesta. E Mazza precisa che è ciò che vuole pure lui. Segue sceneggiata degli scribi condita (in omaggio alla nostra tradizione di azzeccagarbugli) di termini pseudo-giuridici e latinorum d’accatto: aleggia persino un «maximum jus maxima iniuria». Ci manca «de minimis non curat praetor», e la farsa è completa. Gabriele Ferraris Pippo spiega: "Non ho offeso gli italiani" La Stampa, venerdì 29 febbraio Dopo la Caporetto dell’Auditel, intervistare Pippo Baudo è imbarazzante come chiedere a Napoleone se a Mosca faccia davvero così freddo, ma si sa che i giornalisti sono malvagi. Lui, invece, è buono e ci tiene a precisare (il suo entourage, a sua volta, precisa che di precisazioni si tratta e non di scuse) la piccola frase che ha scatenato grandi polemiche: «Secondo alcune interpretazioni, io avrei detto che l’Italia è un Paese di m... Non è vero. Io ho detto che andando avanti con questa televisione volgare rischiamo di diventare un Paese fatto appunto di quella materia. Non era un’offesa agli italiani. Se è stata interpretata così, mi dispiace». Così l’ha interpretata anche Gianfranco Fini, ieri sera al Tg2: «Baudo, con tutti i soldi che prende dalla Rai, aveva proprio bisogno di insultare gli italiani? Se la prenda con se stesso, piuttosto». Intanto l’ex superPippo, in un camerino lillipuziano dov’è accasciato su una poltrona come un Gulliver triste, pallido, il sorriso forzato, vuol mostrarsi sereno e ci riesce pure. L’uomo, e non solo quello di spettacolo, si vede nell’avversità. Chapeau. Insomma, come al solito hanno sbagliato i giornali. «Il mio discorso non si prestava a equivoci. Io ho fatto delle osservazioni generali e, del resto, non è che abbia aspettato questo Sanremo. Da tempo ripeto che certa televisione è deleteria per i valori di riferimento del nostro Paese. Siamo d’accordo: la tivù non dev’essere pedagogica. Ma neanche devastante». Ma Sanremo è sempre stato felice e cantante anche nei momenti più cupi. «E perché mai? Se in Italia c’è una confusione generale non capisco perché la tivù debba essere l’eccezione. Vedete, la televisione è una spugna che raccoglie quel che scorre nel Paese: i profumi ma anche i miasmi». Dovrebbe appunto rappresentare uno scacciapensieri per quest’Italia che pare ne abbia troppi. «Ma è difficile che ascoltando qualche canzone la gente si scrolli di dosso le preoccupazioni. La mattina deve sempre andare in ufficio e ogni mese arrivare al 27. Sanremo non può cambiare l’umore del Paese. Via, non diamoci quest’importanza». Con i discografici in pieno ammutinamento come va? «Bisogna capirli. Anche loro vivono un momento difficile, fatto di problemi di vendite, di fatturati, di esuberi. Molti non sanno se tornando da Sanremo troveranno ancora il loro posto di lavoro». la canzone dei Tiromancino. Ma oggi (ieri per chi legge, ndr) che effetto le ha fatto leggere i giornali? «Nessuno». Nessuno? «Nessuno. Perché non l’ho fatto. La vignetta di Giannelli sul Corriere che mi disegna crocifisso sulla ”t” di tivù me l’hanno raccontata. Ma io non mi sento crocifisso». Pensa già alla resurrezione? Per un uomo della sua esperienza colpiva, nella famosa conferenza-stampa scatologica, il fatto che la diagnosi fosse precisa ma la prognosi incerta. Come si rianima il festivalone? «Sa, è diffile fare a qualcuno la respirazione bocca a bocca ai margini del campo, quando la partita è ancora in corso. Puoi fare qualche correzione, non la rivoluzione». E dovesse condurre un altro Festival? «Quale cura non lo so, ma certamente da cavallo. Le mezze misure sono misure inutili. Se mi richiameranno, certo dovrò pensarci bene». Ma la cura potrebbe essere anche dimagrante? «Lo so anch’io che probabilmente cinque serate sono troppe. E tuttavia dobbiamo rispettare un impegno contrattuale con il Comune di Sanremo. E abbiamo un assessore che dice che se stringo di un quarto d’ora crolla la città...». I vertici Rai hanno assorbito la botta? «Il direttore generale è stato carino, mi ha telefonato. In generale, dai dirigenti Rai non mi aspetto mai grandi manifestazioni d’affetto». E da Del Noce? «In conferenza-stampa era d’accordo con tutto quel che dicevo». Rifarebbe tutto? «Alla luce dei risultati, sarebbe sciocco dire di sì. L’ostinazione non è intelligenza. Certo è difficile fare cambiamenti in corsa. Ci sono già troppe decisioni prese, accordi fatti, ospiti in arrivo». Ultima domanda: quel bel mazzo di rose rosse che ha sul tavolo chi gliel’ha mandato? «Il biglietto era anonimo». Anonino uomo o anonimo donna? «Una bella grafia. Femminile...». Alberto Mattioli Piero licenzia Pippo La Stampa, venerdì 29 febbraio E’ tutto un continuo scherzare sulle disgrazie del Festival. Pippo & Piero ammettono i problemi, poiché Sanremo rappresenta o no l’Italia? E dunque anche i suoi guai, «siamo un po’ come l’Unione». Chiambretti prima predice a Baudo la direzione artistica del 2009, poi invoca il nuovo che avanza, spunta Daniele Piombi, però inghiottito dal pavimento che neanche Don Giovanni. Insomma, c’è sarcasmo nell’aria, "licenziamento" in diretta, dicono i maligni. I buonisti rilevano invece solidarietà reciproca. Comunque sia, a inizio di serata, la voce stentorea fuori campo li aveva annunciati tutti e due, e tutti e due sono arrivati, Don Chisciotte e Sancho Panza del novello romanzo picaresco di Raiuno, Pippo Baudo giù di voce, e Piero Chiambretti, i dioscuri del Sanremo n. 58. Funestato dai bassi ascolti, ma sostenuto da una buona qualità sostanziale, nel genere «evento da tv generalista». Che però è passata di moda. Accerchiata da tematiche, Internet, dalla possibilità di rivederne i momenti più ghiotti in tempo reale su You Tube. E comunque, visto che il Festival dura una settimana, «per una settimana non va in onda Porta a porta - sostiene Chiambretti - e dunque ci dovete ringraziare». Difende Baudo: «E’ come la torre di Pisa, si piega ma non si rompe». E Baudo risponde a Bongiorno che lo ha accusato di calzare scarpe vecchie: «In onore di Mike mi sono messo quelle nuove», di vernice, luccicanti, ma ha fatto male, perché aveva ragione lui. I veri signori si presentano in società con le scarpe vecchie, e se proprio, e purtroppo, le hanno nuove, le fanno collaudare e anticare dal maggiordomo. Si può fare spettacolo con la musica. E con i cantanti che, in fondo, sono gente di spettacolo. Basterebbe crederci di più, stringere i tempi, rinunciare a due serate e ad alcune telepromozioni, che danno soldi ma spezzano la continuità, mortificano la qualità e fan cambiare canale, e forse il Festival potrebbe avere qualche speranza di evoluzione, se non di sopravvivenza. Ieri l’appuntamento era con i duetti. Ogni concorrente era accompagnato da un sodale, solitario o di gruppo, Mago Forrest e Neri per Caso, Simone Cristicchi e Belinda. Niente Pausini, Tiziano Ferro o Ramazzotti, però: e secondo i discografici, questo è il vero guaio del Festival. La parte canora si apre con il caso del giorno, la Bertè e il plagio, e tutto il piccolo mondo antico del Festival a chiedersi se sia stata una sorpresa autentica, ovvero se fosse tutto organizzato, un espediente per far parlare della rassegna. Chiambretti insiste, sarcastico: «Bertè ha già pronto un testo inedito, O sole mio». Baudo non raccoglie: «Loredana - dichiara austero - ci sta nel cuore, e la facciamo partecipare lo stesso». Cioè: si fa come voglio io. Ha ragione: le regole esistono per essere conosciute, e trasgredite. In coppia con la Bertè, si esibisce Ivana Spagna. «Donne: sull’orlo di una crisi di nervi», chiosa Sancho Panza. Ed eccole che cantano, vestite da torte, Loredana ammanettata. A ben altre donne si richiamano i due nel prosieguo della serata: alle suore di clausura del monastero delle Visitandine, a loro si rivolge Pier-Pippo quando ricorda le preghiere speciali, e claustrali, per Baudo che ne ha tanto bisogno. Come cantava la Vanoni, in tempi non sospetti: «Proviamo anche con Dio, non si sa mai». E a proposito del far spettacolo con la musica: a Chiambretti è stato affidato il compito di intervistare Marc Yu, pianista prodigio di 9 anni che ha suonato Il volo del calabrone di Rimski Korsakof, e Donna Rosa. «Finalmente ho trovato uno più piccolo di me»: basta poco, alla fine, per far felice un Pierino. Si confermano non memorabili Bianca Guaccero e Andrea Osvart, nonostante gli strascichi firmati Ferrè. Alessandra Comazzi Parla Chiambretti La Stampa, venerdì 29 febbraio La situazione non è buona. Sono in arrivo nella città fior di plotoni di psicologi e nuove proposte di psichiatri, più un gruppo sparuto di big buddisti; tutti intorno al malato che - secondo le migliori tradizioni - alla seconda/terza puntata dovrebbe morire. Alla quarta si riprende e alla quinta ritorna a vivere e lottare insieme a noi, chiudendo con la solita, sibillina frase: «Vedrete, l’anno prossimo ce la farò». Il ministero degli Interni, sollecitato dai dirigenti della Rai, ha mobilitato il Terzo Reggimento Alpini perché - ad estrema difesa del Festival nazional-pippolare - imponga il coprifuoco in tutto il Paese. Carrarmati, autoblindo e camionette pattuglieranno paesi e città d’Italia per affermare il regime televisivo, aiutati dal fatto che sindaci e prefetti disporranno il sequestro di ogni parabola e faranno chiudere discoteche, bar, cinema, teatri, cabaret, cantine off e pure i pied-à-terre. Privato di ogni alternativa, il popolo sarà così costretto a restare incollato al televisore, a tutela dell’audience festivaliera. Piero Chiambretti Smettete di gufare, non mi ammazzo La Stampa, venerdì 29 febbraio Sul palco è stata una esibizione tesa e un po’ provocatoria, con le manette ai polsi. Ma quando poi è scesa e si è staccata dall’abbraccio di Pippo Baudo, Loredana Bertè non è parsa per nulla rassegnata al destino di esclusa dalla gara. Per il resto della serata, rientrata in albergo, ha parlato di un complotto a suoi danni, chiedendo che qualcuno le faccia vedere questo famoso vinile della signora Ventura del 1988 dove la sua canzone portava un altro titolo e un altro testo: «Se no, non ci credo». E sono state lacrime vere quando le abbiamo annunciato che la sala stampa in seguito all’esclusione non la voterà per il premio della critica. Nel resto della giornata, invece, era stato silenzio ovattato e assoluto. Una guardia del corpo davanti alla porta della camera, il telefono staccato: «Perché io la tv qui non l’ho mai accesa, mai. E neanche i giornali leggo, e non ascolto la radio. Devo stare tranquilla, non farmi contaminare da niente», racconta seduta sulle lenzuola di lino rosso che si è portata da casa. Loredana Bertè ha passato così, isolata, in mezzo ai suoi amati costumi di scena, ai bauli e alle cappelliere, la lunga giornata di ieri che doveva servirle a digerire definitivamente la botta dell’esclusione dalla gara. Incassata a fatica, ma con l’irresistibile distrazione del duetto di ieri, che ha aperto la serata grazie a una felice idea di Superpippo: quel rap scandito a fine canzone, entrando oscura alle spalle di Spagna, lei lo ha accarezzato e rifinito ancora ieri pomeriggio, scrivendo febbrilmente sul suo taccuino a quadretti: «Guerre e guerre di religione/guerre nel nome del "Signore"... Cieli di piombo di malasorte/all’ombra vera della morte...». Il duetto e soprattutto il suo rap finale hanno finito per catturarla più dell’esecuzione in solitaria. Per qualche tempo aveva accarezzato l’idea di consumare questo momento insieme con l’amica di lunga data Asia Argento, che però alla fine si è tirata indietro. Così ha scelto Spagna: le ha spiegato e rispiegato l’allegoria del Bene e del Male della sua sfortunata canzone, dimenticata dopo vent’anni pure dagli autori. L’ha fatta entrare nel suo mondo, le ha disegnato pure il costume: «Devi rappresentare tutto l’eccesso, il superfluo del mondo. Devi essere carica di simboli», le spiegava ieri. Il Festival ha poi stabilito che Loredana si esibisca come ospite, stasera invece che sabato, alla fine della serata di Jovanotti e dei Pooh. Un premio di consolazione, visto che non potrà concorrere, essendo fuori gara, al premio della Critica cui teneva tanto, soprattutto perché è intitolato a sua sorella. «Ero venuta a Sanremo quasi solo per questo...». Con Spagna c’è il suo compagno, l’avvocato Ugo Cerutti, che con la Berté aveva militato nell’etichetta di Pacolli. Periodo non brillante, neanche quello. Ma almeno fino a domani, in team e con una protezione anche fisica intorno, la vita di Loredana cambia: niente serve, in questi momenti, quanto un conforto professionale. L’altra sera, dopo la prova in teatro, è andata perfino al ristorante con la coppia, fra pizza e spaghetti, evitando per una volta di consumare la solita Viennetta in solitaria davanti al televisore spento. E c’è il conforto di un paio di ragazzi che la seguono, con affetto palpabile, mentre va in scena l’isolamento programmato. Non solo telefono staccato in camera: lei, il cellulare lo ha buttato per sempre via, da quella notte in cui non rispose alla chiamata della sorella Mimì, e il giorno dopo Mimì non c’era più: «Mi sentivo qualcosa addosso quella sera, ero irrequieta, non ho voluto andare al concerto di Rifondazione dove mi aspettavano. Così il telefono squillava ma io non rispondevo, pensavo fossero loro. Invece...», racconta tirando fuori un’angoscia che non ha smesso di opprimerla in tutti questi lunghi anni. «Non mi ammazzo, io. La smettano, anche a Roma in quell’albergo a novembre mi davano per suicida. Io ero solo stanca, avevo preso un sonnifero, dormivo e non sentivo bussare alla porta». Dire che intorno non ci sia un po’ di gufaggio sarebbe una bugia: pochi si preoccupano della sua tenuta, molti vedono l’ombra di Tenco, ne ripropongono il percorso di depressione, interrogano i camerieri che (ahimé) parlano. Mentre infuriano le polemiche sugli ascolti, da ieri Loredana è diventata l’unica notizia del Festival, l’unico simbolo ingombrante della fatica a sopravvivere nel musicbusiness se non ci si crea intorno alte pareti di indifferenza, cinismo, prontezza di spirito a cavalcare la sorte con ogni mezzo. Marinella Venegoni Jovanotti: non sono un eroe La Stampa, venerdì 29 febbraio Nei sogni dell’organizzazione del Festival questa dovrebbe essere la sera che risolleva gli ascolti. Popstar capaci di riempire palazzetti e stadi sono chiamati in Riviera a salvar baracca, burattini e uno spettacolo agée. Giorgia, Fiorella Mannoia, Gianni Morandi, i Pooh e Jovanotti presenteranno un omaggio al Festival di un quarto d’ora l’uno. Tre, forse quattro canzoni a testa, Giorgia interpreterà Se stasera sono qui di Luigi Tenco, Mannoia Quello che le donne non dicono, Gianni Morandi si lancerà in una versione di O que serà (à flor de pele) di Chico Buarque de Hollanda. Lorenzo Jovanotti Cherubini farà sicuramente ascoltare Fango tanto che con lui è arrivato a Sanremo anche Ben Harper che lo accompagnerà nell’esibizione live come nel cd. Jova come si trova nei panni di salvatore della patria? Ha seguito quanto è successo sino ad oggi? Cosa pensa della querelle Bertè? E della Fimi che vorrebbe abolire la gara? «Ma cosa volete che faccia - dice subito - Sono qui per celebrare la musica e non per mettermi a fare il supereroe. Che faccio, indosso la maglietta da Superman e volo sull’Ariston? Innanzitutto quando Pippo mi ha chiamato non c’era da salvare nulla. Si immaginava il solito Festivalone dai forti ascolti, un’ospitata per far ascoltare alcune canzoni dal nuovo Safari che va benissimo e di cui sono molto orgoglioso e invece... Un bel casino! Suvvia però, non sarei così catastrofico. Per la prima puntata i tempi televisivi sono andati a catafascio e i troppi intermezzi hanno creato confusione, la gente non ha fatto in tempo ad archiviare i nomi dei cantanti, le canzoni. Vedrei bene una scaletta con gruppi di quattro artisti uno via l’altro, un break e poi altri quattro. Pochi orpelli. La competizione tra i cantanti è il sale del Festival e non rinuncerei mai alla gara! Comunque anche se siamo qui a discutere milioni di persone si sono messe davanti al televisore e non mi fossilizzerei sulle cifre. Con i nuovi media il Festival lo si può rivedere il giorno dopo sul satellite, You Tube, su Raiclick e chissà in quante altre forme e modi. Tutti i quotidiani dedicano alla trasmissione tre o quattro pagine, i settimanali sono già pronti con le foto e i reportage, le radio trasmetteranno per mesi questi pezzi. Il Festival è vivissimo, altro che»! Del Carrozzone Lorenzo è convinto che la gente ricorderà solo le cose belle perchè, magicamente, quelle brutte gli italiani se le dimenticano, le accantonano in un angolo della memoria. «Quando penso alle vecchie edizioni vengono in mente scene tipo Peter Gabriel che si lancia con la liana sul pubblico, Springsteen che suona The ghost of Tom Joad in acustico, Vasco Rossi con Vita spericolata, Zucchero, Ramazzotti, quelle cose lì». Il rapper paragona Sanremo «a un nonno con figli, nipoti, discendenti e tante avventure da raccontare. Sente il peso del tempo ma è ancora arzillo». Sulla lettera fatta firmare agli artisti con cui si impegnano a non parlare di politica davanti alle telecamere violando così la par-condicio preelettorale, l’artista spiega: «Non vedo perché firmare. Nel 2000 feci un appello all’allora premier D’Alema affinchè si prodigasse per eliminare il debito dei paesi poveri nei confronti dei paesi ricchi commettendo un’imprudenza. Parlavo al Premier, non agli elettori, non lo farei mai. Sono ligio nei confronti delle leggi». Sull’esclusione di Loredana Bertè nessun dubbio. «Nella vita ci sono delle regole sennò ognuno farebbe a modo suo. Anche quando gioco con mia figlia Teresa a dama o ai Risiko seguiamo delle regole, ma Pippo deve portare a casa il Festival e se non mette dentro la Bertè sono guai»! Sul Contro-Festival di Baccini e Povia esclusi dalla commissione di quest’anno le idee sono molto chiare. «Non ha senso. Non ti hanno preso e allora vieni qui per remare contro? Ma dai!» Luca Dondoni Il tesoretto Rai è tutta pubblicità L Stampa, venerdì 29 febbraio Il Festival è e rimane il forziere istituzionale della Rai. Ma non solo 40 milioni di euro, come ammetteva Fabrizio Del Noce. La settimana della canzone, stando ai listini della concessionaria di pubblicità, ne vale oltre 62. E nel battere cassa ci vanno giù pesante i promotori. Un esempio: la prima telepromozione di domani sera, durata due minuti, costa da sola più di un milione di euro mentre quella per l’incontro Spagna-Italia del 26 marzo, che è lunga la metà, viene messa in vendita ad appena 240 mila (e per la Champions League si arriva a 250). Ma non basta. Uno spot «notturno» di 30 secondi nel corso di Porta a Porta ne costa 12 mila ma se ci sono Baudo e il Festival a mezzanotte il prezzo dei pubblicitari sale in modo stratosferico tra 75 e i 160 mila. I conti in tasca alla pubblicità, (a detta di molti complice determinante del calo degli ascolti), non lasciano dubbi. Il Festival è un affarone e alla Sipra, che cura le campagne spot della Rai, vengono i brividi quando Baudo tuona di voler tornare a tre sole serate, che vorrebbe dire rischiare di fare le nozze con i fichi secchi. Facciamo un po’ di conti, ammettendo che arrivano dai listini e non dal «venduto», e al netto degli sconti. Telepromozioni. Il pacchetto per le cinque serate vale 16 milioni 740 mila euro. Per il Dopofestival condotto da Lucilla Agosti sono altri 600 mila. Poi ci sono le «vetrine» da 4 secondi in apertura a chiusura trasmissione del genere «Il Festival è offerto da...: e nel portafoglio-Rai ne cadono altri 210 mila. Festival & spot: sono previsti 5 break pubblicitari. Il costo è riferito a 30 secondi: la prima fascia spazia dai 150 mila ai 180 mila, la seconda dai 140 ai 185 e cosi via fino ad arrivare alla quinta, e parliamo di mezzanotte e mezza, quando mezzo minutino costa 33 mila euro e arriva a 80 mila per la finalissima. E dunque si passa alle addizioni. Trenta secondi fruttano in pubblicità la bellezza di 2 milioni 962 mila euro. Tenendo conto il tetto del 12% di affollamento orario previsto alla legge e facendo qualche calcolo, ma per difetto, in ogni break si possono piazzare tra 12 a 14 inserzioni da 30 secondi l’una. Ed ecco, più o meno, i 40 milioni di euro ai quali facevano probabilmente riferimento i vertici Rai ad inizio settimana. Ma ci siamo dimenticati il resto del pacchetto Festival: 30 secondi al Dopofestival altri 18 mila euro, e poi la grande novità dell’anno, il Festival su Rai International. Altri spottini da 30 secondi dove con pochissima fantasia i pubblicitari hanno semplicemente tolto letteralmente uno «zero» ai prezzi della diretta. Il totale dei break da 30 secondi è di 290 mila euro che, affollamento pubblicitario alla mano, possono diventare altri quattro milioni di euro. L’ultima addizione? Il totale è di 62 milioni e 268 mila euro. No, mancano ancora Radiouno e Radiodue con spot di 30 secondi da 3 mila euro l’uno. Robetta, ma cumula. Alla fine sono un sacco di soldi. Il vero tesoro della Rai a cui il Festival non costa proprio nulla, se non il rischio delle brutte figure. Giulio Gavino *** Corriere della Sera, venerdì 29 febbraio SANREMO – Momenti difficili al Festival, qualche giallo. Ma Pippo Baudo è un professionista navigato e ieri è andato in onda, per la terza serata, come se nulla fosse. entrato mano nella mano con Chiambretti. «Non mettete in croce quest’uomo’ ha gridato Piero ”, io sono lo scudo crociato e lo difendo: Pippo è un monumento storico». Piero ha poi scherzato tutta la sera su un possibile prossimo «licenziamento» di Baudo. Ma lui, Baudo, ha preferito iniziare subito spiegando il caso Bertè, la sua esclusione dalla gara, e la decisione – nonostante l’iniziale contrarietà dei discografici – di farla cantare comunque, fuori gara. La serata è filata liscia, arricchita dai duetti. Un po’ meno la giornata. I bassi ascolti delle prime due serate da digerire, le critiche, i giornali e le tv che rilanciano la sua invettiva di mercoledì mattina. Amarezza e rabbia ha provato Baudo ieri. Soprattutto per «l’interpretazione» della sua dichiarazione: «Non era un’offesa agli italiani, mi dispiace moltissimo che sia stata capita così». Il suo discorso contro la cattiva tv che imbarbarisce il pubblico e porterebbe a «un’Italia di merda » ha colpito, perché forse i toni erano inusuali. Parole forti sì, ma non offensive verso il pubblico. Piuttosto uno sfogo. E tiene a chiarire: «Era solo una riflessione – che peraltro faccio da tempo – sulla deriva della tv, che non deve essere pedagogica ma neppure devastante. Del resto la tv è come una spugna che assorbe quel che c’è nel Paese». Un’invettiva stigmatizzata ieri al Tg2, da Gianfranco Fini: «Alimento una polemica: Baudo, con i soldi che prende dalla Rai, che bisogno aveva di prendersela con gli italiani? Se la prenda con se stesso». Ieri sera poco prima di andare in onda, nel suo camerino, piccolo, troppo sobrio ma impreziosito da un mazzo di rose rosse («una fan anonima, non c’è firma, ma so che è una donna che me le manda»), un po’ stanco, provato – dopo aver chiarito l’equivoco – parla di questo Festival così difficile, parla del futuro. Perché Sanremo Baudo ce l’ha nel dna e per lui è una sofferenza vederlo appassire. Ci soffre più lui della Rai. Una Rai che ha con lui, da sempre, un rapporto conflittuale. In questo momento difficile, Baudo confida che «il direttore generale Cappon è stato carino. Ma non mi aspetto pacche sulle spalle da parte della Rai. Li conosco tutti da anni, dai dirigenti Rai mi aspetto di tutto». Forse allude a Fabrizio Del Noce con il quale, è noto, i rapporti non sono buoni. Ma su Del Noce, Baudo non vuole soffermarsi. Vi siete parlati? Risposte vaghe. Ci sono ombre. Ed ecco il giallo: perché il direttore di Raiuno era a Roma ieri? Questioni urgenti da discutere? Formalmente questa volta Del Noce ha difeso pubblicamente l’operato di Baudo e Chiambretti. Ma tutti sapevano, Baudo per primo, che era solo un atto istituzionale. Non c’è complicità. Del resto il direttore di Raiuno avrebbe voluto Bonolis quest’anno sul palco del Teatro Ariston, e questo Baudo non l’ha dimenticato. Tra l’altro il Secolo XIX ha scritto, riferendosi a Del Noce: «Non lo posso scaricare adesso (Baudo), neanche se lo volessi». seguita una smentita Rai, poi una contro- smentita sempre della Rai. Del Noce in nottata dice al Corriere: «Non ho mai detto quella frase. Non ha senso cambiare il conduttore a metà Festival». Non è guerra tra i due ma certo non c’è dialogo. E allora l’anno prossimo chi condurrà il Festival? Girano tante voci, tutte vaghe. Certo ora è presto. E poi ci sono le elezioni, Del Noce non sembra preoccuparsi troppo del Festival 2009. Baudo sì: «Se sarò richiamato ci penserò. Questa esperienza mi è servita molto. Certo cambierei molte cose. ’ vero cinque serate sono troppe, ma è la convenzione che le prevede. Avete visto come reagisce l’assessore quando si parla di questo?». Eh, già il comune di Sanremo non vuole mollare la presa. E onestamente, cinque serate da gestire, per obbligo, sarebbero complicate per tutti. Ma forse questa volta siamo davvero alla vigilia della svolta, se perfino uno come Baudo – che del gigantismo dell’evento aveva fatto il proprio must – ora ammette: «Il Festival ha bisogno di una grande cura dimagrante, una cura da cavallo». Adesso è tardi? «Sì certo, non puoi fare un bocca a bocca a bordo campo. In corsa è difficile, ci sono impegni presi, ospiti assicurati, numero di cantanti stabilito. Non si può. Ma qualche piccolo aggiustamento in corsa, sì». Se tornasse indietro rifarebbe tutto uguale? Pausa di silenzio. «Qualche correzione la apporterei. L’ostinazione non è sintomo di intelligenza». Maria Volpe I duetti non fanno miracoli Corriere della Sera, venerdì 29 febbraio IN CALO - La seconda serata del festival martedì scorso aveva raccolto nella prima parte 8 milioni e 271 mila telespettatori con il 29.72% di share e nella seconda il 37.48% con 4 milioni 925 mila; la media era stata del 32.33% con 6 milioni 500 mila. I risultati restano inferiori a quelli degli ultimi anni: nel 2007, in particolare, la terza serata del festival di Pippo Baudo e Michelle Hunziker, sempre dedicata ai duetti, aveva ottenuto 11 milioni 352 mila (41.38%) nella prima parte e 6 milioni 512 mila (45.77%) nella seconda (con una media ponderata del 42.88%). Dati analoghi a quelli di martedì sono riscontrabili nell’edizione Ventura-Renis del 2004, quando il terzo appuntamento con il festival fece registrare una media del 29.28% (8 milioni 707 mila con il 29.38% nella prima parte e 4 milioni 848 mila con il 29.04% nella seconda). Bertè in manette Corriere della Sera, venerdì 29 febbraio SANREMO - Nella serata dei duetti, Loredana Bertè ha cantato il suo brano, Musica e parole, ammanettata. Un modo per protestare per la squalifica dal festival per il plagio. Accanto a lei Ivana Spagna. Le polemiche sul brano copiato da Tullio De Piscopo (e le minacce dei discografici) hanno tenuto banco per tutta la giornata di «silenzio». Alla fine alla Bertè era stato concesso di esibirsi fuori gara sia stasera che sabato. Alla fine dell’esibizione un altro piccolo fuori programma: su un foglio la cantante aveva scritto gli ultimi versi del brano, una sorta di invocazione a difesa dei bambini. La Bertè non sarà ammesa anche tra le possibili vincitrici del premio della critica, intitolato alla sorella, Mia Martini. «VOLEVO UN PREMIO NORMALE» - «Pensavo de veni’ a Sanremo a famme una vacanza e invece è successo...», si è sfogata Loredana dopo il duetto con Spagna. «Volevo un Festival normale e un premio normale in gara», ha aggiunto, riferendosi a quello dedicato alla sorella scomparsa. Immediatamente Pippo Baudo l’ha abbracciata e rassicurata: «Non è successo niente», ha detto il presentatore. Erano arrivati molti applausi dal pubblico dell’Ariston quando Baudo aveva spiegato il caso e illustrato la decisione di far esibire comunque la cantante, pur esclusa dalla gara. «Lascia perdere Pippo - ha scherzato Chiambretti - c’è giá un altro caso: abbiamo scoperto che il truccatore della canzone della Tatangelo non è gay». «GRAZIE AL FESTIVAL NON C’E’ VESPA» - L’apertura della puntata ha visto Pippo Baudo entrare assieme a Piero Chiambretti, che ha esordito cosi: «Questo festival avrà tanti difetti ma almeno una cosa positiva ce l’ha. Andando in onda 5 volte in una settimana non fa andare in onda Porta a porta». Chiambretti è stato poi protagonista di una gustosa gag con Pippo: prima gli ha annunciato che sarebbbe stato lui il direttore artistico anche nell’edizione del prossimo anno; poi lo ha celebrato con un striscione, sul quale era scritto «forza pippo»; infine lo ha impacchettato nella tela al grido di «ci vuole linfa nuova!». Ma dal caos è venuto fuori Daniele Piombi, altro conduttore «vecchio stile». I GIOVANI - Sarà incoronato venerdì notte il vincitore dei giovani e i più quotati, stando al giudizio degli esperti, sono Giua e Valerio Sanzotta. Classe 1982 e praticamentee di casa visto che è nata a Rapallo, Giua ha già vinto Castrocaro e il Mantova Musica Festival: a Sanremo canta «Tanto non vengo». Valerio Sanzotta, l’intellettuale con l’armonica che corre con «Novecento», ha ottenuto un dottorato di ricerca in filologia classica e si ispira alla musica tradizionale americana. Tra gli ospiti, oltre a Jovanotti ci saranno anche Giorgia, Jovanotti, Fiorella Mannoia, Gianni Morandi e i Pooh. *** Il piccolo genio del pianoforte, Marc Yu, 9 anni (Afp)BABY PIANISTA - Tra gli ospiti, molta curiosità per il piccolo genio del pianoforte: Marc Yu, 9 anni. Che ha stabilito il record del più giovane artista mai salito sul palco a Sanremo. Il pianista-fenomeno sino-americano che si è esibito, tra gli applausi del pubblico dell’Ariston, nella prima parte della terza serata della kermesse musicale. «Pur non essendo il direttore artistico del festival - ha detto Piero Chiambretti - l’ho fortemente voluto, e lo abbiamo rincorso per il mondo». Il piccolo Yu, che suona il piano dall’età di 2 anni, ha eseguito «Il volo del calabrone» di Korsakov e poi si è prestato all’ormai consueto siparietto, interpretando, accompagnato da Pippo Baudo alla fisarmonica, un breve spezzone di «Donna Rosa».