Moreno Pisto - Riders n.01 settembre 2008, 1 settembre 2008
Marco
Interivista a Marco Bortolami. Capitano della nazionale di rugby italiana. Cosa saranno mai i 68 chili della Polini XP per uno che ne pesa 112? Eppure la piccola enduro si fa valere e Marco Bortolami, per tenerla sotto braccio, deve richiamare all’ordine tutti i muscoli, compresi quelli del collo, che si gonfiano in modo disumano. Lui si giustifica così: «Non aveva appigli e il suo peso è sbilanciato in avanti». Vero. Giustificazione accolta. Il momento più buffo, però, arriva poco dopo, quando si tratta di guidarla. Perché non fa in tempo a montare in sella a motore acceso che, puntualmente, la motina si spegne. Al quarto tentativo andato a vuoto la domanda sorge spontanea. Ma è difettosa lei o cosa…? «Sono abituato a guidare BMW. Forse, con questo giocattolino, sono io che non sono capace». Per fortuna che alla fine riesce a domarla e a farci qualche giro. E per fortuna che la stessa frase - «sono io che non sono capace» - non gliela sentirete ripetere durante i mondiali di rugby, dal 7 settembre in Francia. Anzi, mentre leggerete questo articolo lui, quasi sicuramente, non potrà neanche parlare: con buone probabilità avrà il petto compresso fra le cosce di un neozelandese o le costole schiacciate tra le spalle di due energumeni scozzesi. Per farvela breve, insomma, mentre leggerete questo articolo se la starà passando molto peggio di voi. Marco Bortolami, 27 anni e 50 punti di sutura sul volto, a giocare a rugby non solo è capace ma lo è talmente da diventare capitano in una squadra inglese (il Gloucester) e il più giovane capitano nella storia della Nazionale italiana. Il motivo si intuisce subito: Bortolami parla chiaro, sempre. Anche quando tocchiamo argomenti che poco hanno a che fare con la sfera strettamente professionale, come la passione per le moto, la politica. L’omosessualità. Ormai siete diventati così famosi che siete anche delle icone gay… «Sono contrario al fatto che il rugby venga associato a queste cose. Molte trasmissioni e giornali lo hanno fatto, ma arrivare a eccessi del genere non piace né a me né agli altri». Eccessi? «Vederci come icone gay è eccessivo. Tutto è nato dal calendario dello Stade Français, che viene acquistato per il 90 per cento da uomini (in cui i fratelli Mauro e Mirco Bergamasco sono ritratti praticamente nudi). Ma bisogna stare molto attenti in che modo andiamo a stimolare l’attenzione della gente». Non le sembra discriminante? «Lo è continuare a ripetere che siamo icone gay. un modo per ribadire le differenze. Che male ci sarebbe a esserlo, se l’omosessualità fosse accettata da tutto e da tutti? Molto probabilmente nessuno. Invece si continua a dirlo con il sorrisino, e a trattare l’omosessualità come qualcosa di scandaloso». Sgombriamo il campo dai fraintendimenti. «Non ho mai avuto né sentito di colleghi gay. Comunque, anche questo, ci fa capire quanto il modo di trattare il rugby, in Italia, sia ancora immaturo». Cioè? «Si pensa soprattutto ai suoi aspetti più glamour. Invece andrebbe promosso nelle scuole per le sue componenti di lealtà, di rispetto e sacrificio. Nel rugby è impossibile barare. Nel rugby ci sono valori che qualsiasi ragazzo, sia che diventi un campione oppure no, se li ritroverà nella vita di tutti i giorni». Facciamo un appello al ministro dello Sport Giovanna Melandri? «Non solo a lei. Una o due ore di educazione fisica al giorno sono poche. E come mai all’estero è normale continuare a fare sport ad alti livelli riuscendo a laurearsi e in Italia no?». A proposito: il capitano come la pensa politicamente? «Sono sempre stato di destra, ma adesso ho cambiato opinione». Detto da un padovano come lei non è male. «Dopo cinque anni di centrodestra è giusto lasciar governare il centrosinistra. E vedere se è in grado di fornire un’alternativa valida o no». Lei è stato due anni in Francia, uno in Inghilterra: differenze? «In questi Paesi manca la ”cultura” del compromesso. Spero che con il rinnovamento della classe dirigente anche l’Italia cambi mentalità». Walter Veltroni o Gianfranco Fini? «Veltroni mi ricorda Tony Blair, l’ex primo ministro inglese. Lo appoggerei». E tra Yamaha e Ducati chi sceglie? «Sono stato ospite del box Yamaha al GP del Mugello e con me sono stati molto gentili. Ma preferisco la Ducati. bello vedere un team italiano al top. Anche noi abbiamo la stessa voglia di emergere e di competere alla pari con i più grandi, come All Blacks e Inghilterra. Lo dimostreremo in questi Mondiali: l’obiettivo è raggiungere i quarti di finale. E scommetto che ce la faremo. Decisiva sarà l’ultima sfida del girone qualificatorio contro la Scozia, il 29 settembre». Marco Melandri o Loris Capirossi? «Melandri. Ci siamo conosciuti per caso in aeroporto. Ora siamo amici, ci sentiamo spesso. Lui è patitissimo di rugby, io di moto e in particolare di MotoGP». Da dove arriva questa passione? «Mi affascinano i motori, non a caso sono iscritto alla facoltà di Ingeneria Meccanica. Tendenzialmente preferisco moto da strada, ma le mie dimensioni non mi permettono di guidarle così facilmente». Quale si comprerebbe? «L’ideale, per me, sarebbe stata la BMW 1150 GS Adventure. Non ho ancora la patente, ma l’ho già guidata clandestinamente. Prima o poi, comunque, mi toglierò lo sfizio di comprarmene una simile. Adesso c’è la 1200. Magari, se arriviamo ai quarti mi faccio un regalo». Intanto ha provato la pit bike... « stato divertente. Appena davo gas la ruota anteriore si alzava da terra. Anche se, a dirla tutta, i problemi li ho avuti soprattutto nella partenza…».