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 2008  febbraio 24 Domenica calendario

Perché pregare per la salvezza di Israele. Il Sole 24 ore 24 febbraio 2008 Caro monsignor Ravasi, ci mancava anche l’Oremus et pro Iudaeis del Venerdì Santo per complicare la già fragile tela del dialogo interreligioso

Perché pregare per la salvezza di Israele. Il Sole 24 ore 24 febbraio 2008 Caro monsignor Ravasi, ci mancava anche l’Oremus et pro Iudaeis del Venerdì Santo per complicare la già fragile tela del dialogo interreligioso. Leggo, dunque, che Benedetto XVI vorrebbe che noi pregassimo perché – e cito tutto il testo – «Dio e il Signore nostro illumini i cuori degli Ebrei perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini. Onnipotente sempiterno Dio, che vuoi che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, una volta entrate tutte le genti nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvato». Ecco un bel programma missionario di conversione. Ma non so con quanto entusiasmo gli Ebrei s’affretteranno ad accoglierlo. Anzi, lo so già, visti i comunicati dell’Assemblea dei rabbini d’Italia e di quelli di altre nazioni e le imbarazzate risposte dei vari esponenti cattolici dialoganti. Mi piacerebbe un suo commento non tanto alla vicenda in sé, che mi sembra chiara, quanto piuttosto alla legittimità di questo testo, anche per vedere come riesce a cavarsela, considerata la sua attuale posizione ecclesiastica. Mauro Pedroni - Tortona Certo, riusciamo a capire le reazioni delle comunità ebraiche che, tra l’altro, in questi ultimi tempi sono state sottoposte a tensioni di ogni genere (pensiamo alla vicenda della Fiera del Libro di Torino o all’infame e lugubre operazione della lista dei 162 docenti ebrei). L’Oremus et pro Iudaeis in questione merita, però, una serie di considerazioni più pacate. Innanzitutto si tratta di un intervento su un testo già codificato e tradizionale, legato appunto a un Messale già esistente, approvato dal beato Giovanni XXIII nel 1962. Ora, è noto che i testi ufficiali cristallizzati non possono facilmente essere rielaborati: si pensi, ad esempio, all’uso nel culto sinagogale dell’antica e gloriosa preghiera delle Shemoneh Esreh, le «Diciotto Benedizioni», che però comprende nella dodicesima formula un attacco veemente contro i minîm, gli «eretici» (e nell’antichità si pensava anche ai cristiani). In secondo luogo bisogna ricordare che l’uso di questo Messale nella Chiesa è molto ristretto, come è stato indicato dal motu proprio di Benedetto XVI del luglio scorso. Il prossimo Venerdì Santo, nella quasi totalità delle chiese del mondo, si pregherà, infatti, così per gli Ebrei: «Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio Onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione». Terza osservazione. La trentina di parole latine fondamentali del testo dell’Oremus, proposto per quel Messale preesistente all’attuale promulgato da Paolo VI nel 1970, è costituita esclusivamente da citazioni neotestamentarie che esprimono la professione di fede apostolica ecclesiale in «Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini» (1 Timoteo 4, 10) e la speranza che «tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (2, 4). In questa immensa folla San Paolo nella «Lettera ai Romani» attende con passione che, una volta «entrate tutte le genti, anche tutto Israele sia salvato» sulla scia delle promesse profetiche (11, 25-27). Lo sguardo è rivolto alla pienezza dei tempi, all’escatologia quindi, ed è la speranza cristiana di aver accanto nella comunità dei credenti in Cristo anche il popolo della Prima Alleanza, quell’olivo genuino sul quale è stato innestato l’olivo selvatico dei pagani divenuti cristiani, per usare una celebre e paradossale immagine paolina. Non bisogna dimenticare che San Giovanni giunge al punto di registrare questa frase di Gesù: «La salvezza viene dai Giudei» (4, 22), popolo dell’elezione e della stessa origine storica di Cristo. Ultima annotazione. Quella espressa dalla preghiera in questione è ovviamente la visione cristiana ed è la speranza della Chiesa che prega. Non è una proposta programmatica di adesione teorica né una strategia missionaria di conversione. l’atteggiamento di un’invocazione orante nella quale si auspica anche a persone vicine e care una realtà che si ritiene preziosa. Come scriveva Julien Green, «è sempre legittimo augurare all’altro ciò che è per te un bene o una gioia: se pensi di offrire un vero dono, non frenare la tua mano». Certo, questo deve avvenire sempre nel rispetto della libertà e dei diversi percorsi che l’altro segue; tuttavia rimane segno di affetto augurare e pregare perché il fratello possa avere quello che tu consideri come un bene, una sorgente di vita e di luce. In questa prospettiva anche l’Oremus citato deve confermare il dialogo, nell’armonia delle diversità, tra Chiesa ed Ebraismo. Gianfranco Ravasi