Il Messaggero 24 febbraio 2008, ROBERTO GERVASO, 24 febbraio 2008
Sullo schermo sfido i potenti. Il Messaggero 24 febbraio 2008. CARLO Pedersoli, in arte Bud Spencer, ha l’aspetto, e l’afflato, del santone e del profeta
Sullo schermo sfido i potenti. Il Messaggero 24 febbraio 2008. CARLO Pedersoli, in arte Bud Spencer, ha l’aspetto, e l’afflato, del santone e del profeta. Alieno da pose e pretese, è un vecchio saggio che non solo conosce la vita, ma l’ha anche capita. Ha fatto di tutto e in tutto ha avuto successo. Campione di nuoto, pilota di aerei ed elicotteri, attore è con Sophia Loren, Pavarotti e il Papa l’italiano più popolare nel mondo. Parla di Aristotele e di Platone e ne cita i passi più famosi. Quasiché i due filosofi greci fossero suoi vecchi e inseparabili amici. Carlo è un uomo colto, amabile e mansueto. Alla fine della lunga intervista e della ghiotta cena, servita dal cameriere-cuoco Stalin, avrei voluto chiedere al santone-profeta Pedersoli una benedizione. Non l’ho fatto. Gliela chiederò un’altra volta. Chi è Bud Spencer? Un personaggio. Ma anche un attore. Nato per caso. Come, per caso? Fino al 1967 avevo fatto altro. Altro che cosa? Il campione di nuoto. Il primo italiano a scendere sotto il minuto nei cento ”stile libero”. E nel 1967? Il regista Giuseppe Colizzi, vecchio amico, mi offrì una parte nel film spaghetti-western ”Dio perdona… io no!”. Perché scelse proprio lei? Per il mio fisico. Fisico da attore. No: da lottatore. Come Carlo Pedersoli è diventato Bud Spencer? La birra Budweiser era la mia preferita. Spencer Tracy l’attore più amato. Un abbinamento eccentrico. Ma io sono eccentrico. Nella vita ho fatto di tutto. Nato nella città del Vesuvio, cosa c’è in lei di napoletano? In me tutto è napoletano. Nessuno è più napoletano di me. Quando lasciò Napoli? Nel 1940, a undici anni. E a Roma quando approdò? Finite le medie e le superiori. E m’iscrissi alla facoltà di chimica. Restò a lungo nell’Urbe? Dopo pochi mesi abbandonai gli studi universitari e mi trasferii con la famiglia in Sud America. E qui come sbarcava il lunario? A Rio de Janeiro feci l’operaio in una catena di montaggio; a Buenos Aires, il bibliotecario; a Montevideo il segretario all’Ambasciata italiana. Quando tornò in l’Italia? Nel 1948. Galeotta la passione per il nuoto. A chiamarmi fu un noto club. Approfittai del rientro per riprendere gli studi universitari. Sempre chimica? No: giurisprudenza. Nuotatore, ha mietuto molti allori? Nel 1952, alle Olimpiadi di Helsinki, mi classificai quinto nella semifinale dei cento stile libero e con la squadra di pallanuoto vinsi la medaglia di bronzo. Quattro anni dopo, partecipai alle Olimpiadi di Melbourne. E come si piazzò? Undicesimo. Sempre nei cento stile libero. E poi? Nel 1957, una grande svolta. Piantai tutto – nuoto, università, bella vita, belle donne – e andai in Sudamerica alla ricerca di me stesso. E trovò se stesso? Sì. Cosa fece? Lavorai per nove mesi alla costruzione di una strada che collegava Panama a Buenos Aires. E dopo? In una società automobilistica di Caracas. Quando rientrò in Italia? Nel 1960. E qui? Sposai Maria, figlia del produttore Peppino Amato, e composi canzoni napoletane. Solo napoletane? No: anche la colonna sonora del film ”Cleopatra”. Finché – come le ho detto - Colizzi mi scritturò con Terence Hill, italianissimo come me (si chiama Mario Girotti), per lo spaghetti-western ”Dio perdona… io no!” Cosa la univa a Terence Hill? Niente. O, piuttosto, la diversità, le antitesi. Cioè? Fisico a parte, lui faceva l’attore dall’età di quindici anni. E lei? Io – gliel’ho detto – non ero un attore, ma un personaggio. Quanti film avete fatto insieme? In quarant’anni, sedici. E lei da solo, come protagonista? Più di cento. Perché avete ”divorziato”? A un certo punto, ognuno prese la sua strada. Siete rimasti amici? Amicissimi. L’altra sera è venuto a cena da me. Lei ha mai avuto controfigure? Mai. Perché? Non si trovavano e non ne avevo bisogno. Perché lei e Terence piacevate tanto? Per l’antagonismo amichevole fra di noi. Lei, in particolare, perché conquistava il pubblico? Perché mi ribellavo ai soprusi e li vendicavo. E lo spettatore? S’identificava con me. Cosa vedeva in lei? Il paladino che ha il coraggio di sfidare il potente di turno. Non solo… Che altro? Lo spettatore in sala si sentiva più intelligente di me. Perché? Aveva l’impressione di capire prima di me, nel ruolo che interpretavo, ogni mia mossa. Quali torti, sullo schermo, Bud Spencer vendica più volentieri? Tutto. Anche le quisquilie. E senza parlare: solo con l’azione. Fra parentesi, lo sa quante parole deve conoscere un cowboy? Quante? Non più di venticinque. Il suo linguaggio è gestuale. Parla con la pistola e dorme sulla sella del cavallo. C’è un film che non rifarebbe? No. Li rifarei tutti. Perché i film con Terence Hill impinguavano tanto i botteghini? Per almeno due motivi. Il primo? Personaggi come i nostri erano una novità assoluta. Il secondo? Non lanciavano messaggi. Niente impegno. Il nostro unico impegno era divertire, rilassare per un’ora e mezzo il pubblico. Dove hanno avuto, e hanno – riproposti in tivù – più successo? Dovunque. In Germania sono l’attore più conosciuto e amato. I suoi film più famosi? Oltre a ”Dio perdona… io no!”, ”Lo chiamavano Trinità”, ”Anche gli angeli mangiano fagioli” (questo, in coppia con Giuliano Gemma). E tanti altri. Diciamo, un po’ tutti. Rivede i suoi film? Sì. Va al cinema? Mai. I grandi registi del cinema italiano? Fellini ed Olmi, con cui ho girato, in un ruolo drammatico, ”Cantando dietro i paraventi”. Federico ed Ermanno: due geni. E Totò? Un altro genio. Della parola e del gesto. E Sordi? Chi ha incarnato il tipo del romano meglio di lui? E Benigni? Un talento straordinario. Si arrabbia spesso? Non mi arrabbio mai. Sono sempre stato un uomo mite e paziente. Cosa le fa perdere più facilmente le staffe? Mia moglie che mi rimbecca. Nella vita, più ne ha date o più ne ha prese? Né date né prese. Dimentica? Tutto. Batte spesso i pugni sul tavolo? Mai: ogni tanto urlo. Con la voce che mi ritrovo… E sui tavoli altrui, i pugni li ha mai picchiati? E perché avrei dovuto? Gliel’ho detto: sono un uomo mite e paziente. A chi incute più paura? Nel cinema, Bud Spencer la incute a tutti. E Carlo Pedersoli nella vita? A nessuno. I politici italiani li manderebbe più volentieri al tappeto o al diavolo? Non si può fare di ogni erba un fascio. Nel ”Palazzo” ci sono fior di galantuomini. Che trattamento riserverebbe ai pacifisti? Gli consiglierei di andar in guerra. Perché? Perché non hanno capito che la vita è una lotta continua su tanti fronti. Meglio un buonista o un teppista? Un teppista. La violenza è forza o debolezza? Debolezza. Cos’è stata, e cos’è, per lei, sua moglie Maria? Maria è la mia sola, grande certezza. In casa, chi comanda? Secondo lei? Chi? Mia moglie. Perché, a casa sua? In lei c’è più Ercole o Maciste? Né questo né quello. Zorro o Guglielmo Tell? Robin Hood. ROBERTO GERVASO