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 2008  febbraio 22 Venerdì calendario

LA SHARIA IN INGHILTERRA

Corriere della Sera 22 febbraio 2008.
Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, ha definito «inevitabile» l’introduzione di «parti» della legge islamica nel sistema giuridico inglese.
La domanda che le pongo è se la sharia è la codificazione, anche se in un’ottica religiosa, di usi e costumi di un popolo, usi e costumi precedenti alla sua introduzione; oppure se è la traduzione in codici di legge di una dottrina religiosa che sovrasta e modifica le tradizioni del popolo stesso.
Nel primo caso la tesi sostenuta dall’arcivescovo di Canterbury, anche se «rivoluzionaria», sarebbe accettabile nell’ottica laica della civiltà occidentale. Si tratterebbe infatti di armonizzare diversi codici civili e penali in un’ottica di convivenza. In fin dei conti quello che si è fatto ponendosi come obiettivo di unificare le leggi all’interno dell’Europa o quello che si vuol fare opponendosi alla pena di morte. Fermo restando, purtroppo, il problema della sacralità che gli islamici integralisti attribuiscono alla sharia che porrebbe in futuro il problema della sua applicazione integrale. Nel secondo caso la tesi dell’arcivescovo sarebbe invece improponibile: equivarrebbe a rinnegare duemila anni di storia adattando le leggi di una civiltà laica alle regole religiose di una civiltà fideistica.
Roberto Bellia
paradosso44@ yahoo.it Caro Bellia,
Non esiste un «codice della sharia». Nella parte iniziale della conferenza pronunciata alle Royal Courts of Justice (l’intero testo è riprodotto nel sito ufficiale della Chiesa anglicana) l’arcivescovo di Canterbury ricorda che la sharia è l’attualizzazione nella storia umana dei principi universali del Corano ed è quindi una pratica, soggetta a interpretazioni diverse, a seconda dei luoghi e dei tempi. Esiste naturalmente chi cerca di irrigidirne i contenuti e di sacralizzarli. Ma questo è un fenomeno tipico di tutte le grandi religioni. Ricordo che Vittorio Dan Segre, un giorno, ha definito l’ebraismo, molto acutamente, una ortopraxia vale a dire un insieme di comportamenti «corretti», precisamente e minuziosamente definiti.
Le idee di Williams sono state giudicate sulla base di un’intervista che l’arcivescovo ha rilasciato alla Bbc prima della sua conferenza e sono state in parte fraintese. L’arcivescovo non vuole che gli islamici si costituiscano in un corpo separato e si amministrino secondo i loro principi giuridico-religiosi. Conosce i rischi del dispotismo confessionale. Sa che occorre impedire ai leader delle comunità di tiranneggiare i fedeli privandoli della protezione giuridica che il sistema legale britannico garantisce a tutti. Ma dichiara esplicitamente di non amare il concetto francese e cinese di cittadinanza, secondo cui la religione è, tutt’al più, un individuale problema di coscienza. La sua posizione, quindi, è simile a quella adottata dai maggiori esponenti religiosi francesi (l’arcivescovo di Parigi, il Grande rabbino e l’imam della moschea della capitale) quando, all’epoca della Commissione Stasi, presero posizione contro l’interdizione del velo nelle scuole della Repubblica. Erano leader di confessioni concorrenti, ma ritennero di avere un interesse comune: la difesa della religione contro certi eccessi dello Stato laico. A me sembrò che la Commissione Stasi avesse ragione, ma fui molto favorevolmente colpito da un paradosso: dopo essere state, nei loro reciproci rapporti, intolleranti, le tre grandi religioni monoteiste diventavano, per meglio difendersi, tolleranti.
Williams non avanza proposte specifiche, ma ricorda che in Gran Bretagna esistono già tribunali religiosi ebraici e un Consiglio islamico della sharia. E si chiede perché i musulmani non dovrebbero essere autorizzati a scegliere le norme con cui desiderano risolvere problemi di diritto matrimoniale e il regolamento di certe transazioni finanziarie. Ciò non significa che ogni musulmano debba accettare questa giurisdizione parallela; ma lo Stato dovrà approvare leggi che riconoscano la validità delle sentenze quando esse concernono persone che abbiano liberamente accettato di sottoporsi a quel giudizio e non siano in contraddizione con i principi del sistema giuridico britannico. Del resto molti Paesi, fra cui l’Italia, riconoscono ai medici il diritto di sottrarsi a procedure sanitarie (l’aborto ad esempio) che offendono i loro principi religiosi. Naturalmente nel caso dei musulmani occorrerà tutelare i diritti delle donne.
Alcuni giornali britannici (fra cui il Times eil Financial Times)
hanno duramente criticato le proposte di Williams. Ma la discussione aperta dal suo intervento è destinata a continuare. Forse Giuliano Amato e Luigi Scotti, attuale ministro della Giustizia dopo le dimissioni di Mastella, dovrebbero lasciare l’idea dell’arcivescovo di Canterbury sul tavolo che verrà occupato dai loro successori.
Sergio Romano