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 2008  febbraio 22 Venerdì calendario

ERRORE NON RINVIABILE

Corriere della Sera 22 febbraio 2008.
In Europa è nato un nuovo Stato dipendente, ma non era più rinviabile l’errore con il quale l’Italia ha riconosciuto ieri la sua indipendenza. Non lo era perché il Kosovo è già da tempo sull’orlo della guerra inter-etnica e rischiava di esplodere, perché la linea scelta dal governo evita una frattura con i nostri principali alleati.
Non lo era anche perché sul campo l’Italia ha duemila militari che saranno presto affiancati da una missione civile.
E tuttavia l’ineluttabilità non cancella l’errore. Ogni pezzo di Europa che si allinea alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza kosovara contribuisce a creare nei Balcani una situazione non meno incendiaria di quella precedente, e al tempo stesso espone l’intera Ue a un pericolo di boomerang che renderebbe per sempre aleatorio il progetto di una politica estera comune.
Non crediamo che l’esempio del Kosovo possa contagiare più di tanto i baschi, i catalani o gli scozzesi. Esagerate sono anche le fosche previsioni di Vladimir Putin, che nell’immediato non risponderà con le stesse armi in Abkhazia o in Ossezia del sud. Ma il vulnus al diritto internazionale rimane malgrado certe acrobatiche interpretazioni delle risoluzioni Onu, il precedente è stato creato, ed è quasi comico pensare che definendo il Kosovo «un caso unico» si possa davvero bloccare chi domani volesse imitarlo.
Il potenziale destabilizzante dell’indipendenza kosovara, del resto, ha la sua prima linea negli stessi Balcani. Nella minoranza serba che a Mitrovica e dintorni potrebbe scegliere una contro-secessione.
In Bosnia, dove la Repubblica Srpska potrebbe mandare all’aria gli accordi di Dayton. In Macedonia, dove la forte componente schipetara è sensibile al sogno della «Grande Albania». E beninteso in quella Serbia che verso i kosovari ha molte colpe ma alla quale ieri Prodi e D’Alema hanno confermato la nostra amicizia. Non preoccupano le reazioni istintive di Kostunica e Tadic (il richiamo dell’ambasciatore è un gesto simbolico, e non durerà molto). Ma ben più inquietante risulta la benzina versata sul fuoco del nazionalismo serbo, nella anti-storica illusione – alimentata anche dall’Italia’ che Belgrado potesse barattare la sovranità sul Kosovo con una agevolata marcia di avvicinamento alla Ue.
L’Europa che voleva attrarre la regione strategica dei Balcani occidentali si trova così costretta a remare controcorrente, e a sperare – più che mai dopo l’assalto alle ambasciate di Belgrado – che nulla di troppo grave accada. Ma si trova anche a dover pagare un conto salatissimo, e a diventare garante, assieme ai 16.000 uomini della Nato, del progresso di un non-Stato indipendente. Pristina dovrà attenersi alle linee guida del «piano Athissari» che disegnano un protettorato Ue al posto di quello Onu. Il Kosovo non potrà entrare nelle organizzazioni internazionali. E la sua economia, segnata da una disoccupazione al 50 per cento, vive di traffici illegali più che di attività produttive (secondo l’Interpol transita di lì l’80 per cento dell’eroina che giunge in Europa) .
L’ineluttabilità di un riconoscimento tanto rischioso, allora, costringe a guardare indietro. A quando, nella primavera del ’99, l’Europa abdicò lasciando fare agli Usa. E ai nove anni seguenti, che videro l’Europa distratta e passiva mentre il calderone kosovaro ribolliva. Forse, in quegli anni, sarebbe stato ancora possibile lavorare su una formula di autonomia spinta, o avere il coraggio di puntare sulla spartizione.
Invece l’accelerata indipendentista di Bush, nel giugno scorso, ha semplicemente scoperto giochi già fatti che avrebbero fatalmente diviso gli europei e accresciuto a dismisura i loro oneri.
Gli Usa, che non hanno mai fatto segreto delle loro intenzioni, escono vincitori dalla prima delle prove che il Kosovo ci imporrà.
Ne trae vantaggio malgrado le sue proteste anche la Russia, che mette un grosso piede in Serbia, tiene in riserva le carte da giocare nel Caucaso e si erge a tutore del diritto internazionale. Sconfitta è l’Europa, come sempre quando si trova schiacciata tra Usa e Russia. Se davvero il Trattato di Lisbona deve dare nuovo impulso alla politica estera comune, arrendersi a un’inevitabilità che si doveva prevenire non è un buon inizio.
Franco venturini