Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 23 Sabato calendario

La teoria del gocciolamento non ha funzionato. Avvenire 23 febbraio 2008. «Guardando le variabili ma­croeconomiche, il Perù mo­stra un’accelerata velocità, soprattutto grazie alla domanda inter­na

La teoria del gocciolamento non ha funzionato. Avvenire 23 febbraio 2008. «Guardando le variabili ma­croeconomiche, il Perù mo­stra un’accelerata velocità, soprattutto grazie alla domanda inter­na. Ma il discorso cambia con le varia­bili socioeconomiche: in quest’ambito c’è ancora lentezza. Se parliamo di in­cremento della spesa sociale per miglio­rare le condizioni dei più poveri, i risultati non sono ancora visibili’. Per l’eco­nomista Enrique Vásquez, professore dell’Università del Pacifico del Perù, de­dicato da anni allo studio della povertà, il Perù si muove a due velocità. Perché due ritmi così dif­ferenti? Il problema è che la spesa sociale ha ancora dei li­velli di efficienza ed equità piuttosto bas­si. L’educazione, la sanità, i programmi sociali non sono ancora generatori di op­portunità affinché anche i poveri possa­no risentire della crescita. Per anni in Perù si è parlato della fa­mosa teoria del trickle-down, del goc­ciolamento: gli effetti della crescita sa­rebbero dovuti arrivare anche alle clas­si più deboli. Un’ipotesi del tutto fallita? Esistono due Perù, uno urbano e uno ru­rale. Nei nuclei urbani si concentra il 72% della popolazione. Direi che qui c’è già qualche indizio evidente di gocciola- mento, anche se non in tutte le città. Ma il problema riguarda le zone più rurali, come Ayacucho, Puno, e le regioni della selva. Lì non è arrivato quasi niente. In Perù il 45% della popolazione è po­vera. Statistiche e medie poco signi­ficative, considerando le enormi dif­ferenze interne. Servono ricette di­verse? Sì. Il Perù ha tante facce differenti, o­gnuna con i suoi proble­mi. Penso che il primo problema che il paese dovrebbe risolvere è quello della povertà e­strema. Una volta mi­gliorato il capitale uma­no, dovrebbe dedicarsi al problema della povertà in generale, soprattutto nel­le aree rurali. Il governo ha lanciato nu­merosi programmi socia­li: contro la denutrizione, contro l’estre­ma povertà, per aiutare le famiglie più bisognose. Ma c’è una certa confusione di sigle, di iniziative. Cosa ne pensa? Il Perù dovrebbe essere avviato verso un progetto di riforme sociali che furono i­niziate un anno fa. Purtroppo hanno per­so vitalità. Ci sono vari ostacoli, non si capisce chi, come e perché fanno una determinata cosa. C’è una burocratizza­zione eccessiva. Ogni istituzione fa quel­lo che vuole, anche se questo significa sovrapposizione di interventi. Michela Coricelli