Corriere della Sera 28/2/2008; la Repubblica 28/2/2008; La Stampa 28/2/2008, 28 febbraio 2008
Articoli su Sanremo. GIOVEDI’ Io Pippo e la tv violenta Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio il giornalista rissoso che ha fatto registrare, con la replica chiambrettiana del suo alterco con Toto Cutugno, il record di ascolti della seconda serata
Articoli su Sanremo. GIOVEDI’ Io Pippo e la tv violenta Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio il giornalista rissoso che ha fatto registrare, con la replica chiambrettiana del suo alterco con Toto Cutugno, il record di ascolti della seconda serata. Da questo responso dell’Auditel Pippo Baudo ha tratto conclusioni amare: la gente si è abituata a una televisione violenta, diseducativa, spazzatura. E ancora: mentre lui ha puntato su un festival di qualità che quella stessa gente – abituata a programmi triviali e dozzinali – non segue più. Decenni fa, di fronte alle nostre critiche, Baudo e Maffucci usavano gli ascolti (enormi), che superavano i 15 milioni di spettatori, come una clava. Canzoni brutte? Lungaggini eccessive? Il giorno dopo le critiche venivano liquidate con il kalashnikov degli indici d’ascolto. Per la serie «i numeri ci danno ragione». Ora che scende a picco, l’Auditel piace meno a Pippo. Che tuttavia, dopo aver scomunicato in conferenza stampa la rissa al Dopofestival («Allora scazzottiamoci e prendiamoci a pesci in faccia, ma così fottiamo il pubblico e avremo un’Italia di merda») l’ha puntualmente replicata (avendo poi dall’Auditel la conferma che nella tv di oggi «il delitto paga»). Di fronte a un calo di ascolti così vistoso, caro Pippo, le ragioni si contano sulle dita di almeno tre mani. Nessun cast canoro, nessuna superstar straniera, nessuna formula magica può inchiodare la gente davanti alla tv per quasi quatto ore (dopofestival esclusi) per cinque giorni spalmati sull’arco di sei. Tutti i quotidiani hanno ormai diversi percorsi di lettura che vanno dai 10 minuti alle due ore. Sanremo non si è adeguata alla penuria di tempo, alla fretta della gente. Non esiste Sanremo in sintesi. Chi è interessato alle canzoni (e sono i più) se ne frega del contorno, dei balletti, delle vallette e degli attori con film in promozione. Non è corretto costringere chi è interessato alle canzoni a tirare l’una di notte per vedersi tutti gli artisti in gara. Il gigantismo di Sanremo lo hai inventato tu, Pippo, negli anni Ottanta. Altri tempi – senza Sky e senza Internet, senza YouTube e senza iPod. Da anni i critici musicali denunciano lo scollamento di Sanremo dal variegato mondo della musica che la gente ascolta. E la risposta è sempre stata: «Sanremo è una grande festa che riguarda tutta la platea televisiva e non solo gli amanti della musica ». Sarà. ma adesso anche questa platea sta facendo le valigie, è diventata infedele e fa zapping col satellite salvo essere richiamata per qualche istante, dal modesto botto di un giornalista e un cantante che litigano. Per chi ama la buona musica il rimpianto per le edizioni brevi e intense resta molto forte. In molti programmi elettorali si promette la potatura delle istituzioni (ministeri, Senato, ecc). Anche Sanremo deve «potarsi». O almeno lasciare al pubblico la possibilità di ascoltare le canzoni senza altre zavorre. Mario Luzzatto Fegiz Flop e parolacce Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio SANREMO – «L’evento ormai non esiste più, esiste solo se c’è l’aspetto scandalistico. Se avessi litigato con Chiambretti, se avessimo fatto quello che è successo a Miss Italia, il pubblico si sarebbe acceso. Quindi sputiamoci in faccia, scazzottiamoci. Ma così lo imbarbariamo il pubblico, lo fottiamo. Così avremo un’Italia di merda». La frase è testuale e le parolacce sono necessarie per rendere con veridicità la rabbia e l’ira che albergano in Pippo Baudo. Anche gli ascolti di martedì, seconda serata del Festival di Sanremo, non sono stati buoni: la media tra la prima e la seconda parte è stata del 32.33% di share con 6 milioni 500 mila spettatori. Che significa 568 mila spettatori in meno rispetto a lunedì, ma significa soprattutto che rispetto alla seconda serata dell’anno scorso si sono persi per strada circa 14 punti di share. Insomma Baudo sperava in una lievitazione degli ascolti nella seconda serata, invece ha dovuto fare i conti con un ulteriore calo. E, come se non bastasse, ieri, pure il caso Bertè: cominciato con un sospetto di plagio, finito con una esclusione della cantante e pure con voci (smentite) di «combine». E così alla conferenza stampa di ieri mattina, i volti erano tirati. Teso il direttore di Raiuno Del Noce, cui va dato atto di aver comunque difeso gli artisti; teso Baudo che si è lasciato andare a esternazioni verbali poco eleganti, alternate a momenti di seria autocritica e riflessione generale sulla televisione e il mondo dello spettacolo; teso anche Chiambretti, il più abile a mascherare grazie all’ironia (recitava il rosario mentre venivano letti i dati d’ascolto) anche se pure lui ha avuto momenti di tensione. Certo è duro vedere il proprio lavoro «processato» e non seguito dal pubblico televisivo come si vorrebbe, ma è del tutto evidente che numeri così inadeguati all’«Evento» meritino una riflessione. Baudo ci prova: «Il pubblico si è abituato a una certa qualità televisiva. Quando offri qualcosa di diverso ma questo non viene capito, significa che c’è una diversa ricezione da parte del pubblico. Noi paghiamo la conseguenza di una certa tv che ha via via abbassato il livello. Arbore dice che bisogna buttarsi sulla qualità, ma il rischio è perdere la quantità. vero, è un dilemma serio. La qualità televisiva è una responsabilità di tutti noi, una crociata da percorrere». Insomma Pippo dà una lettura culturale del problema: il gioco al ribasso di certi programmi avrebbe abbassato il livello di interesse del pubblico. Che ormai abituato alla rissa, non cerca altro. Ammette però che i numeri dell’attuale Festival – 5 giorni, 4 ore di show ogni sera, 20 big e 14 giovani – siano un problema serio da prendere in considerazione. E che tutto si possa ridimensionare e asciugare: «Ho guardato la curva degli ascolti: fino alle 23 teniamo benissimo, poi c’è un abbandono fisiologico». Conclude, un po’ amaro, conscio che forse un’epoca si sta chiudendo: «Va riscritto il Festival, trovando altre soluzioni. Io sì, mi assumo tutte le responsabilità anche se ritengo di aver fatto un lavoro dignitoso». Alla sua riflessione segue un dibattito acceso, specie con Enzo Mazza, presidente Fimi (Federazione discografici) che propone la riduzione a tre serate, la gara solo per i giovani e una sorta di vetrina per i big. Decisamente contrari Baudo e Del Noce: «Se si trasformasse il festival in Amici o in Castrocaro, nel giro di un po’ di tempo sparirebbero tutte queste trasmissioni». Il direttore di Raiuno fa notare che anche la notte degli Oscar ha avuto un grande calo d’ascolti in America, come se ormai le ragioni degli ascolti attorno a un grande evento siano davvero insondabili, quasi una alchimia. E profetizza pure che «se Sanremo sparisse, l’Italia lo rimpiangerebbe ». Ognuno dice la sua. Si parla di eliminare del tutto il Festival, di cambiare sede («Basta con Sanremo, facciamolo da un’altra parte»), ci si mette pure l’assessore: «Cinque sere o niente» (con tutti i soldi che incassa il Comune, si capisce bene che le autorità locali non mollino la gallina dalle uova d’oro). Insomma tutti hanno la loro ricetta per salvare (o affossare) il Festival. Chiambretti, che ha alternato leggerezza a fastidio, elogia Pippo che «si è trasformato in Popper», ribadisce che la loro coppia funziona eccome: «Noi non ci separiamo come Pippo e Katia, non gli chiederò gli alimenti, saremo sempre insieme». Quanto è preziosa l’ironia in questi frangenti. Maria Volpe Caro pippo non arrabbiarti Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio Ma no, Pippo: non arrabbiarti, non devi perdere le staffe. Non è il caso di preoccuparsi per gli ascolti del Festival. Per due motivi. Primo: io continuo a dire da tempo che ormai c’è grandissima concorrenza, anche da parte di Sky. Secondo: dobbiamo metterci in testa che ormai tutte le trasmissioni di grande successo non fanno più gli ascolti d’un tempo. Oggi quando si arriva a 9 o 10 milioni c’è da leccarsi le dita. L’ascolto salirà nelle prossime serate, ne sono sicuro. Ma ribadisco, l’importante è fare una bella trasmissione. Pippo non devi dire le parolacce: se hai fatto un buon lavoro, devi essere contento. E lo stesso Chiambretti. Siete stati bravissimi: secondo me qualche volta avete ecceduto con le battute, ma siete spiritosi. Avete costituito una nuova coppia in concorrenza a me e Fiorello. Potete fare bene... Io credo che ci sarà sempre il Festival di Sanremo, come il giro d’Italia. Non morirà mai. E’ una grande manifestazione. Certo, non è più un affare di Stato come un tempo. Allora lo si aspettava per settimane. Oggi no. Ma non c’è nulla da temere. Solo un vero appunto: Baudo, ma dove hai comprato quello smoking? Che cos’è? E poi dovevi comprare un paio di scarpe nuove, quelle lì non andavano mica bene. Senza cattiveria, naturalmente. Mike Bongiorno Bertè eliminata Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio SANREMO – Bertè eliminata. «Musica e parole», la canzone che Loredana ha portato a questo Festival, non è inedita. la cover di un brano dell’88 intitolato «L’ultimo segreto»: stessa musica, parole (solo in parte) diverse. Così la Rai ha deciso di escludere il pezzo dalla gara, causa «identità del tema musicale ». Ma l’azienda, si legge in una nota ufficiale, «raccogliendo l’invito del direttore artistico, ha deciso di consentire, comunque fuori gara, l’esibizione dell’artista ». Niente competizione, quindi. Però Baudo ha voluto salvare il duetto di questa sera con Ivana Spagna (hanno provato ieri in tarda serata) e la performance nella finale di sabato. «Se l’avessimo rispedita a Milano sarebbe stata una sconfitta per la sua vita», ha detto Pippo, riferendosi implicitamente alla fragilità caratteriale della cantante. stato lui nel tardo pomeriggio a comunicarle la notizia, dopo che l’ufficio legale della Rai aveva fatto verifiche alla Siae e alla Discoteca nazionale di Stato. Reazione? «Si è disperata. molto scossa. E mi ha detto di sentirsi ingannata dagli autori e dal suo editore». Eh sì, perché la canzone è firmata da Alberto Radius, ex chitarrista della Formula 3, e Oscar Avogadro. Gli stessi del pezzo del 1988. E anche la casa discografica, la Nar di Milano, è la stessa: «Non ricordavo. La mia buona fede è fuori discussione», si difende l’amministratore Mario Limongelli. «Ho fatto fuoco e fiamme per portare quella canzone a Sanremo... Non ne so nulla, farò delle verifiche nei miei archivi», aggiunge Radius. Ora tutti rischiano una causa civile e penale dalla Rai per aver firmato una dichiarazione che garantiva la novità del brano. A far esplodere il caso è stata Ornella Ventura, l’interprete originale. «Stavo guardando il festival e sono rimasta paralizzata. Mi dà fastidio essere presa in giro. Limongelli mi portava nelle radio a fare promozione al disco e Radius ha fatto chitarre e cori di quella canzone. Come fanno a non ricordare? Magari lo hanno fatto apposta per creare il caso». E lo spettro della combine viene agitato anche da un lancio dell’Agenzia Agi secondo cui conduttori e Rai sapevano tutto. Ad alimentare i sospetti, il siparietto durante la diretta di martedì con Baudo e la Bertè che discutevano sulla paternità della canzone. La Rai ha smentito, Baudo e Chiambretti minacciano querele. Parla anche Tullio De Piscopo, all’epoca produttore del disco: «Queste cose fanno male alla musica e a chi lavora seriamente. Ma metto la mano sul fuoco: Loredana non ne sapeva nulla». Non si tratta del primo caso di esclusione dal Festival. Nell’87 era capitato a Patty Pravo con «Pigramente signora», plagio di «To the Morning» di Dan Fogelberg. Nell’ 89 fu la volta di Jo Squillo perché «Me gusta il movimento» era stata eseguita a un concerto, quindi non più inedita come vorrebbe il regolamento. Nel ’96 l’ultimo caso: «Bello amore» della Vanoni perché la melodia era identica a quella di un altro brano. Ma potrebbe essercene un altro: «Colpo di fulmine» di Lola Ponce e Giò Di Tonno firmato dalla Nannini è molto simile a un altro brano di Gianna. lei stessa ad autodenunciarsi al Corriere: «La frase melodica "perdutamente mia" è identica a un’altra mia canzone, ma non dico quale. Non l’ho fatto apposta». Fuori due? Andrea Laffranchi Enigmatica Loredana Bertè martedì sera mentre canta «Musica e parole» all’Ariston Le onde A sinistra, le «forme d’onda» elaborate dal «Corriere.it» delle due canzoni messe a confronto: la traccia superiore si riferisce al brano dell’88, mentre quella inferiore è relativa al pezzo cantato dalla Bertè Andrea Laffranchi I luoghi comuni della satira Corriere della Sera, giovedì 28 febbraio SANREMO – Nella giornata che doveva essere di pausa e che invece è stata devastata dalle polemiche sui cali di ascolto, la Mina spietata e un po’ streghesca di Lucia Ocone appare comunque, dopo due ore di trucco su una sedia da barbiere nel camerino del Casinò, sotto le mani di Lorenzo, un trentenne che da bambino amava i mostri. Lorenzo le ha applicato i denti posticci (dieci ore di lavorazione preventiva), le protesi del naso, i capelli, il trucco lunghissimo. Adesso Lucia, l’imitatrice che ha cominciato studiando Stanislavskij, è pronta. La sua Mina questa volta ha avuto un colpo di genio e si è fatta emula di Gustave Flaubert, illuminando il palcoscenico del Dopofestival (l’unico non funestato dal calo di ascolti) con un suo personale Dizionario dei luoghi comuni, metafora di Sanremo, del Festival e della giornata. La prima sera, ispirata dai versi della canzone di Anna Tatangelo dedicata all’amico gay (Dimmi che male c’è/Se ami un altro come te/L’amore non ha sesso) non ce l’ha fatta più e con perfida calma ha emesso il verdetto: « Ma che brava la Tatangelo che ha fatto la canzone sui gay sensibili. Quasi quasi l’anno prossimo faccio un disco sui negri che hanno il ritmo nel sangue». Proprio così, negri e non neri, molto politicamente scorretto, in una inedita contaminazione del luogo comune. E ha continuato le sue incursioni nell’ovvio «con il latte che è ricco di calcio e non esistono più le mezze stagioni ». E peccato che, sempre alla voce gay, lei e gli autori avevano scartato: «Sono sensibili. Creativi. Bravi ad arredare case. Sono colorati». Una piccolo siparietto di banalità contemporanee che non a caso prendono ispirazione dal repertorio di testi più rappresentativo della scena italiana, Sanremo. «Ma Tatangelo nel campo non ha rivali, se li è mangiati tutti» dice mentre prepara il nuovo copione di Mina insieme a uno degli autori, Ennio Meloni. E subito fra loro parte il ping pong su altri possibili battute, a cavallo fra signora mia e la signorina snob: «I barboni, la loro è una scelta di vita. Il bianco come lo guardi si sporca. Il parquet è bello ma si graffia subito. Il blu lo metti su tutto. Venezia è bella ma non ci vivrei. Le cose fatte a mano sono quelle più resistenti. Voglio un uomo che mi faccia ridere (e finisce con uno con 50 miliardi in banca)». Quel che ha dato fastidio, a lei e a Mina, è l’aria di commiserazione che serpeggia nei versi di Tatangelo, «anche loro vogliono amare, poverini… Io mangio pane e gay da una vita, non mi va». Lei è gay? «No, ma ho molti amici che lo sono». Lo sa che anche il cardinale Ersilio Tonini è intervenuto nelle polemiche per dire: «I gay sono creature che vanno rispettate»? «Come dire un po’ povere bestiole… Pure lui come la Tatangelo, con toni di commiserazione». Archiviati alla stessa cartella dell’ovvio il cardinale e la bella favorita, che si trucca come una signora, continuiamo con il catalogo sanremese. «Tipo: comunque vada sarà un successo! Ma se sgarri…». O tipo: perché Sanremo è Sanremo? «Certo, anche questo è luogo comune». Ma il Festival continuerà ancora a essere l’ombelico del mondo italico, dopo questa sofferenza di ascolti che sembra annunciare una profonda distrazione di pubblico, come lo stesso Baudo va proferendo? « E’ vero che non ci sono più gli ascoltoni di una volta, ma penso che il festival resisterà, è l’unico Evento rimasto. Coltiviamolo, come l’orticello di Zampaglione ». Il riferimento è a un’altra perfidia della sua Mina, che consigliava al leader dei Tiromancino di prendersi «un bel pezzetto di terra, un po’ zucchine, un po’ patate o anche tutto a peperoni. Basta che non canti più». Maria Luisa Agnese **** Il tramonto del Baudo furiosus la Repubblica, giovedì 28 febbraio A essere catastrofici viene la tentazione di usare per quest´ultimo Sanremo la parola fine: fine di Pippo Baudo, fine del Festival, fine di ciò che sembrava senza fine. Perché di fronte alla caduta degli ascolti, visto che "solo" poco più di un telespettatore su tre ha guardato la rassegna canora, la trappola della depressione televisiva è in agguato. Difatti Baudo ci è cascato, e davanti ai dati dell´Auditel è esploso in un´aspra critica della civiltà contemporanea e "dell´homo televisivus". Non serve a nulla curare la qualità, ha detto, per un paese di cacca ci vogliono sputi in faccia e scazzottate. E giù il muso lungo del bravo conduttore incompreso. Chissà se il re e leader del baudismo ha la coscienza di avere ribadito la legge entropica della televisione: quella secondo cui per elevare il numero di spettatori si deve abbassare la qualità. Tuttavia la sapienza televisiva di Baudo dovrebbe anche avergli ricordato che in fondo, per ogni Festival, ieri come oggi, "oportet ut scandala eveniant": motto evangelico per dire che scandali e scandaletti hanno sempre innalzato lo share, fin dai giorni avventurati in cui Mina faceva "blll..." con le dita nel ritornello irridente di Le mille bolle blu, Peppino Gagliardi si presentò con la corona del rosario fra le mani, Loredana Berté, sempre lei, si mise un pancione finto per simulare una gravidanza isterica vera, oppure Patsy Kensit lasciò cadere la spallina scoprendo il seno. E così via, lunga è l´aneddotica festivaliera. Plagi, litigi, polemiche, rivalità. Sicché non conviene proprio esibire la faccia compunta e lamentarsi del mondo che non apprezza la qualità dello spettacolo, ossia del destino cinico baro. Anzi, forse ci potrebbe essere da parte degli ideatori, del presentissimo direttore di Raiuno Del Noce, degli autori, di Baudo e Chiambretti, un piccolo rimorso per non avere aizzato nessuna competizione, per non avere suscitato nessuna polemicuzza, insomma per avere allestito un Festival che sembra Domenica In con le canzoni, tutta una bonaccia televisiva da preabbiocco. Quanto alla qualità vantata da Baudo e Del Noce, poi: ci sarebbe da discutere. Anche facendo la tara, e sapendo che per paradigma nella percezione collettiva il Festival precedente era sempre un po´ meglio, sulle canzoni la critica sembra unanime nel giudicarle di una fiacchezza disarmante. D´altronde, non è colpa di Baudo se le grandi voci non vengono a Sanremo e le seconde file deludono. Quanto allo show in sé, gli esegeti più sfiziosi potranno valutare quanto funzioni l´amalgama fra Chiambretti, il Pierino insolente, e Baudo, il cerimoniere ufficiale. Ma sono minuzie ermeneutiche: "storicamente", il rilancio di Sanremo è avvenuto quando il Festival è stato trasformato in evento televisivo. Con Michail Gorbaciov, il premio Nobel Dulbecco, Fabio Fazio, il dramma di Tony Renis e Adriano Celentano convocato per salvare la baracca. Ma poi ci si è abituati. Ci si abitua a tutto, volete che non ci si abitui alle tragedie inutili di Sanremo? Piuttosto, c´era da stupirsi che più o meno metà degli spettatori passasse quasi una settimana nell´adorazione del totem rivierasco. Come se il Festival mantenesse un suo carisma misterioso, una capacità attrattiva inspiegabile: se adesso comincia a declinare, non è il caso di stupirsi. Se molti cantanti sembrano provenienti un festival degli sconosciuti, o dalla classifica degli invenduti, a sua volta lo spettacolo è macchinoso, iperbole di se stesso, festival dei festival, e quindi macchina celibe, show senza contenuti, proiezione del nulla nell´etere. Sicché ha ragione Baudo, e alla lettera: servirebbe uno scandalo e una provocazione al giorno. Ma scandali e provocazioni appartengono ormai ad altri generi televisivi, ai grandi fratelli, alle isole dei famosi, ai reality show più protervi, o ai talk show più canonici. Punteggiano i palinsesti televisivi, sono la normalità quotidiana del trash. Hanno mitridatizzato gli spettatori. E Baudo, che come protagonista della tv è un pioniere, l´aveva capito: ha puntato per contrasto sulla tranquillità, la normalità, la serena prevedibilità. Ma la nostra normalità televisiva è fatta di mostri, di freak, di enormi panzane, di risse furibonde. E quindi alla fine Baudo non ha fatto un Festival di Sanremo, ha fatto una rassegnata imitazione di uno Zecchino d´oro per adulti. Eppure il Festival non è ancora morto, figurarsi: magari negli ultimi giorni l´auditel si impennerà, per paradosso grazie a tutti coloro che si sintonizzeranno per assistere al decesso in diretta. O per seguire l´ennesimo caso Bertè, con il caso della canzone auto-plagiata, che qualcuno addirittura sospetta montato ad arte. Solo che Sanremo si è ridimensionato: non è più consigliabile definirlo "specchio della nazione". Il Festival si rispecchia solo nel Festival. Detto con tutto il realismo, anzi tutto il fatalismo possibile: magari l´anno prossimo, misteriosamente, gli indici d´ascolto saliranno. Oppure scenderanno ancora. Cose della vita, cose che accadono. Sanremo è diventato normale: ma come tutti sanno, in tv la normalità può uccidere. Edmondo Berselli Festival Titanic la Repubblica, giovedì 28 febbraio Sempre più giù, ascolti in picchiata: le preghiere di Pippo Baudo non sono state esaudite. Il festival scende a quota 8 milioni 261 mila spettatori (29.62%) nella prima parte (uno meno di lunedì, tre rispetto all´anno scorso); 4 milioni 925 mila nella seconda (37.47%). La media è 6 milioni e mezzo di spettatori (32.33% di share), dato peggiore di sempre, poco più di un qualsiasi varietà. Non per infierire, ma anche il Dopofestival col suo 30,37%, perde più di dieci punti rispetto al 2007. Il festival Titanic affonda, mentre l´orchestra continua a suonare. La conferenza stampa diventa un reality horror di tre ore, dalle preghiere alle parolacce. Chiambretti entra recitando il rosario («Santa Maria mater Dei…») ma la tensione sale e quando l´inviato del Sole 24 ore osserva, pacatamente, che forse Sanremo non ha più senso, lo insulta: «Lei è un imbecille». Poi le scuse: «Siamo assediati». Baudo si sente con la coscienza a posto, l´iceberg dal palco dell´Ariston non si avvistava, difende la qualità: «Se avessi litigato con Piero avremmo avuto ascolti alti. Tant´è vero che la clip della lite tra Toto Cutugno e il giornalista del Corriere al Dopofestival ha avuto un ascolto altissimo. Quindi litighiamo, sputiamoci in faccia e avremo il pubblico! Ma così il pubblico lo fottiamo, lo imbarbariamo e avremo un´Italia di merda.... Il calo di ascolti è una responsabilità che ci riguarda tutti, la qualità è una crociata. L´evento ormai non esiste più, esiste solo lo scandalo. Basta!». Il presidente dei discografici Enzo Mazza urla dal fondo della sala: «Te l´avevo detto che non avrebbero più guardato Sanremo». Baudo lo vorrebbe divorare: «Dillo: quale sarebbe la vostra proposta?». «Ridurre a tre le serate e abolire la gara per i Big, riservandola solo ai Giovani» risponde Mazza. Baudo: «Come posso accettare una proposta del genere quando la convenzione col comune di Sanremo prevede cinque serate? Sarebbe una rivoluzione copernicana all´interno di un accordo che deve essere rispettato. Con tre serate trasformiamo Sanremo in Castrocaro». Mazza: «E allora non rinnovate la convenzione, c´è un obbligo di legge di fare Sanremo?». Già: ce l´ordina il medico? Forse se lo sta chiedendo anche il direttore di RaiUno Fabrizio Del Noce. « facile mettersi a sparare sul festival in queste condizioni» spiega «ma se la Rai non trasmettesse più Sanremo, ci sarebbero proteste, la gente lo rimpiangerebbe. Nulla è insostituibile, ma buttare la croce addosso a Sanremo liquidandolo sarebbe ingeneroso. Questo poi è un buon festival, avrei capito un´oscillazione di qualche punto, invece il calo è forte, molto superiore alle attese… Anche la notte degli Oscar ha toccato gli ascolti più bassi dal ´74 a oggi. Chissà, esistono strane aggregazioni che portano il pubblico a seguire un anno un evento e l´anno dopo no». Incerto il futuro del festival, stretto tra le richieste dei discografici e le pretese del Comune: solo il marchio Sanremo vale 7 milioni e mezzo di euro, che la Rai deve acquisire per evitare il passaggio a Mediaset. Del Noce voleva cambiare conduttore già l´anno scorso, ora da direttore di RaiUno con un piede già fuori dal palazzo di Viale Mazzini, si schiera con Baudo, gli dà piena fiducia. Ma il tempo stringe, un successore va trovato. Fiorello farebbe Sanremo solo alle proprie condizioni: quattro serate alla radio, una in tv, ma così salterebbe la convenzione. In lista ci sono Carlo Conti, Bonolis, Maria De Filippi porterebbe i giovani ma è fuori target per il pubblico âgé di RaiUno, Fabio Fazio a Sanremo c´è già stato due volte. Per sparigliare, Christian De Sica o Gerry Scotti. La nave affonda, Baudo cerca un perché che non trova, ha seguito la sua rotta: «Forse il festival va riscritto, ma non possiamo rimproverarci niente, abbiamo lavorato in armonia e onestà. Ormai il pubblico si è abituato a un abbassamento generale della qualità. Come ha detto Giorgio Bocca: abbiamo inventato l´italiano medio per giustificare le nostre mediocrità». Chiambretti è al suo fianco: «Pippo non lo lascio, non farò come Katia Ricciarelli. Staremo insieme a guardare film di qualità fino alle quattro di mattina». Sivia Fumarola Loredana ultima diva la Repubblica, giovedì 28 febbraio La vittima sacrificale del festival morente dà le spalle alla porta. Tiene la fronte appoggiata alla vetrata che guarda il mare, quinto piano: un precipizio irresistibile. una silhouette in controluce: gambe lunghe e perfette, un mantello nero fatto di capelli. Sul comodino la foto di Mia Martini, sua sorella. Tutto attorno, nella stanza d´albergo dove vive barricata e sola, i resti di giornate e notti insonni: la sedia sventrata che le è servita per cucirsi il cappuccio, le stoffe gli aghi i fili con cui si confeziona gli abiti da sola, il frigo nuovo che ha mandato a comprare perché quello dell´hotel «faceva schifo, era nano». In terra cestini pieni di ghiaccio per le bottiglie: il ghiaccio è sciolto. «Sono tutti schifosi. Schifosi», dice a bassa voce. un momento di quiete, ma non dura. «Io questo cavolo di nastro ce l´ho da trent´anni e ho le prove, i testimoni. L´ho trovato in un cassetto, se l´erano dimenticato tutti. Ho fatto un testo che è una bomba. La verità è che la mia Musica e parole fa paura a tutti, ecco cos´è». Urla, adesso, con la sua voce leggendaria e roca. Una combine, dice qualcuno. Tutti sapevano che la sua canzone non fosse inedita, tra i potenti: hanno creato il caso ad arte per fare un po´ di scandalo. Hanno fatto rumore sulla sua pelle. Il suo autista, da fuori, fa cenno di sì con la testa. La cameriera del piano dice «se fosse stata Celentano non glielo avrebbero fatto, se ne approfittano perché è fragile». Le portano un mazzo di fiori: il ragazzo, prima di bussare alla porta, si fa il segno della croce. La vestale della decadenza di Sanremo, il simbolo incarnato di una gloria che non torna, è esclusa dal Festival. Loredana Berté è accusata di plagio, la più infame delle accuse: la canzone (con il titolo Ultimo segreto) è già stata interpretata da Ornella Ventura, non proprio una celebrità ma non è questo che conta. Conta che la macchina burocratica è già in moto dalle tre del pomeriggio e sono le quattro quando il capostruttura Raveggi, il direttore di Rai Uno Del Noce e Baudo concordano la soluzione in triangolo telefonico: esclusa dalla gara, resta in rassegna come ospite. Le assegneranno un non previsto premio alla carriera: come se la sua, di carriera, fosse già finita. Un omaggio di solito postumo. Una soluzione molto italiana, di compromesso, pietosa e comoda. Non era questo che lei voleva. Le fa schifo il compromesso. Le fa schifo tutto quel che è fuori da questa stanza. Anche questa stanza che non riesce a somigliarle: niente le somiglia. «Io voglio il premio della critica. Non mi frega niente della gara. Voglio il suo premio». Il suo, quello di Mia. Lei vuole diventare sua sorella. Vuole scambiarsi di posto, vuole riparare il destino, vuole che il tempo faccia marcia indietro. Prende la foto di Mia, la bacia e piange. « morta la sorella sbagliata». Scende in terrazza a cantare coi Finley "L´esercito del surf" di Catherine Spaak: noi siamo i giovani, i giovani più giovani. Parla di Tenco, per ore. Ne parla da sola e col cameriere ormai amico: resta qui, ti faccio sentire la mia canzone in anteprima, gli ha detto l´altro giorno. E poi: «Pensano tutti che mi voglia ammazzare ma io non mi ammazzo, sai. Anche quella volta a Roma che dicevano che mi volevo suicidare: cazzate. Avevo fatto tardi avevo preso qualcosa per dormire e mi ero messa i tappi alle orecchie. Non li ho nemmeno sentiti entrare in stanza. Quando li ho visti ho detto ma che? Siamo su Scherzi a parte…». Ride, butta la testa indietro. Lei naturalmente della canzone di Alberto Radius non sapeva nulla. Lei è oltre, vive in un altro mondo fatto di altre cose. I ricordi, i fantasmi. Nessuno intorno, la notte che si mangia tutto. Non è una signora: se manca l´acqua calda tira i piatti addosso, dice che la musica è arte e degli artisti bisogna avere rispetto perché sono gente che soffre. Lei quando ha fame manda l´autista a comprarle la Viennetta gelato a Savona, perché «di certo quelle di Sanremo sono avvelenate». Tenco, Tenco. Qui muore tutto, a Sanremo si muore. Concita De Gregorio Radius la Repubblica, giovedì 28 febbraio L´autore della stessa musica per due brani inediti, caso unico nella storia della discografia mondiale, si chiama Alberto Radius, ha 68 anni, ed è ancora un eccellente chitarrista. Alla fine degli anni 60 fu tra i fondatori della Formula Tre. Primo successo: Questo folle sentimento, scritto per loro da Battisti. Oggi Radius gestisce un suo studio di registrazione a Milano. L´editore del brano della Berté sarebbe lo stesso di quello di vent´anni fa. Lei non poteva non sapere. «Non ricordo di aver fatto cantare questo pezzo a nessun altro. Anzi, non mi ricordavo proprio di averlo composto. Devo andare a cercare tra le mie cose. Nell´88 poi c´era ancora il vinile e io non ho più i dischi, non ho più neanche l´impianto stereo. Lo scorso settembre Loredana mi ha portato questa cassetta su cui era scritto "fare testo", dicendomi che gliela avevo data io 20 anni fa. L´ho ascoltata e c´era la mia voce su un testo fittizio, io proprio non me la ricordavo. Mi ha detto che il suo testo era pronto, e allora ci siamo preparati per modificarlo e presentare la canzone al Festival. Neanche Oscar Avogadro (l´altro autore ndr) si ricordava di aver già scritto un testo per una canzone già edita». Risultato: la canzone non è più in gara. «Non riesco a farmi una ragione di quanto succede, in cinquant´anni di musica non ho mai avuto problemi, sono stato sempre corretto, e ora mi ritrovo nella merda, sono incazzato nero. Tra l´altro Loredana mi ha mandato a quel paese: diceva che le avevo rovinato il disco e la voce. Non la vedo da un mese: se fossi stato in torto, visto come sono ora i nostri rapporti, glielo avrei confessato, avrei evitato il rischio». Ha sentito Baudo, cosa le ha detto? «Mi ha rimproverato, ora sono preoccupato di aver tagliato i ponti con lui. Ma io ho fatto 340 dischi, come potevo ricordare quella canzone? La mia colpa è di non aver ricordato. Non so come venirne fuori». Carlo Moretti **** Lo schermo a pezzi La Stampa, giovedì 28 febbraio Dopo lunga e sofferta malattia, si è spenta ieri poco serenamente a Sanremo la tv generalista, quella capace di riunire intorno al focolare catodico una nazione intera, anche solo per parlarne male. A certificare il decesso è stato il sommo sacerdote Pippo Baudo, con toni concitati e drammatici, in questo caso adeguati alla straordinarietà del fenomeno, che non è la semplice crisi d’ascolti di una rassegna di canzonette, ma la scomparsa del modello «democristiano» di cultura già entrato in crisi nella scuola: l’idea di un’educazione e di un divertimento uguali per tutti, splendida in teoria, ma che in concreto ha abbassato l’asticella del sapere e del piacere, producendo ignoranza e noia. Ad appassire sulla Riviera dei Fiori sono due fra gli ultimi feticci del secolo scorso: l’Evento Unico di massa e la comunità nazionale. Trattasi di una rivoluzione, sociale e mediatica, con la quale abbiamo già dovuto fare i conti noi della carta stampata. Nessun giornale, nessun romanzo, nessun film e - adesso possiamo dirlo - nessun programma televisivo può ancora avere la pretesa di rivolgersi a una massa indifferenziata di persone. Lo spezzatino ha preso il posto dell’arrosto e non esiste chef in grado di ripristinare l’antico menu. I tentativi di giustificare il crollo di Sanremo con motivazioni meno epocali di questa suonano persino commoventi nella loro inadeguatezza. Qualcuno sostiene che lo spettacolo canoro non attrae pubblico perché sul palco ci sono troppi vecchi. Semmai è vero il contrario: senza Toto Cutugno e Little Tony, che tengono ancorati gli anziani, la fuga dal video avrebbe già assunto i caratteri dell’esodo. Perciò si illude chi pensa di rilanciare l’evento ingaggiando i cantanti che piacciono agli under 50: costoro, infatti, hanno girato per sempre le spalle a trasmissioni del genere, come ha capito a sue spese Piero Chiambretti, le cui battute fosforescenti fanno scompisciare quelli della mia generazione, che non guardano più il Festival, mentre lasciano interdetti gli anziani che continuano a guardarlo. Per qualcun altro la ricetta salvifica consiste nel ridimensionare il carrozzone, accorciando la durata e il numero delle serate. Nessun dubbio che un Sanremo superconcentrato come un dado rallenterebbe la sua fine. Però non riuscirebbe a invertire la tendenza, che è ineluttabile. Infine c’è chi, come Baudo, è convinto che ad aver determinato questa situazione sia l’involgarimento dell’offerta televisiva e, di conseguenza, del Paese. Ieri lo ha urlato in conferenza stampa: «Se io e Chiambretti ci sputassimo addosso, gli ascolti crescerebbero, ma così il pubblico noi lo imbarbariamo, lo fottiamo e abbiamo un’Italia di merda». Non è vero nemmeno questo. Se Baudo e Chiambretti si sputassero addosso gli ascolti crescerebbero, ma per trenta secondi. Poi si ritufferebbero negli abissi. Ormai nemmeno la volgarità garantisce audience, come dimostra il declino del Grande Fratello e degli altri reality show. La rissa, l’insulto, il gesto volgare sono le scosse elettriche che scuotono il cadavere dal «rigor mortis», ma è un’illusione momentanea: sempre di un cadavere si tratta. Il Grande Fratello è stato l’ultimo evento capace di trasformarsi in fenomeno di costume, incrociando l’interesse - anche solo pettegolo - di una comunità variegata. La formula della tv guardona e delle eliminazioni popolari (le famigerate nomination) venne adottata con successo dal Festival di Bonolis, l’ultimo a sfondare l’Auditel, nell’ormai giurassico 2005. Ma in questi ultimi tre anni il mondo dei media è cambiato più che nei precedenti sessanta: si sono diffusi i mille canali di Sky e della piattaforma digitale. Soprattutto è esplosa You Tube, la tv sul computer: è lì che, se proprio voglio farmi del male, posso andarmi a vedere la scena del litigio fra Toto Cutugno e Luzzatto Fegiz al Dopofestival, o il bacio in bocca fra Baudo e la squalificata Bertè. E posso andarmele a vedere gratis, quando e quante volte mi pare, smistandole poi attraverso internet agli interlocutori delle mie nicchie di riferimento: il forum dei tifosi della mia squadra del cuore, il blog degli amici del parmigiano reggiano, il sito dei fanatici di film ugandesi degli Anni 70 e gli altri milioni di rivoli comunitari in cui si è frantumato il mondo dei media. Ancora pochi anni fa, se a una cena dicevi: avete visto giovedì sera da Santoro... sapevi di ottenere una reazione: di disgusto, magari, ma informata. Ora anche Santoro, anche il Festival, e fra un po’ anche la Nazionale, rappresentano l’interesse di comunità specifiche, e alle cene diventa sempre più difficile trovare un argomento comune di conversazione. un male? No. un cambio. E come tutti i cambi di stagione va dominato per indirizzarlo al bene. Un’impresa impossibile finché ci si ostinerà a negarlo o a rimpiangere un’epoca che ci commuove nel ricordo, ma che se tornasse non ci piacerebbe più. Non abbiamo un’Italia di m. Abbiamo mille Italie, alcune di m. e altre che invece chiedono spettacoli di qualità. Però li vogliono, appunto, di qualità, come dimostra il successo di Fabio Fazio e dello stesso Baudo extrafestivaliero. Altrimenti preferiscono fare altro. Perché Sanremo è Sanremo, ma noi per fortuna siamo noi. Alle cinque arriva Baudo in stanza, esce una vecchia amica giornalista a cui Berté ha riraccontato da capo la storia del nastro nel cassetto: io te l´avevo detto, te lo ricordi? Baudo è paterno, la tratta come una bambina. Lei urla che si sente da fuori. La signora in maglia leopardo della suite vicina si affaccia a vedere che c´è. Adesso le esce quella vocina da ninna nanna che non sembra neanche sua: «Gli autori mi hanno ingannata, non ci sono ombre te lo giuro», dice a Pippo. Girano, nei corridoi, discografici e avvocati sommamente aggressivi, gente di soldi e di male maniere. Entra Spagna, la cantante che stasera duetterà con lei: un angelo e un diavolo, in scena. Una bionda di burro, l´altra nera di buio. Poi escono tutti e torna di nuovo sola, come sempre. Fuori dalla porta resta solo il cameriere del piano: «L´altro giorno prima di andare in scena mi ha chiamato e mi ha detto "guarda un po´ questo cappuccio, deve sembrare quello di un monaco del Trecento, secondo te è floscio?". Allora abbiamo preso la sedia e ci abbiamo fatto l´imbottitura, mi ha detto "sei un mito". Poi mi ha messo le cuffie in testa e mi ha fatto sentire le sua canzone, bellissima». Anni fa da questo albergo era stata allontanata come "ospite indesiderato". Ora è il Festival che l´allontana: concorrente indesiderato. C´è sempre una luce a segnalare quanto sia fitta l´ombra. Ma tanto lei brilla in un posto così inaccessibile che a mandarla via non ci arriva nessuno. Massimo Gramellini Il pubblico tv La Stampa, giovedì 28 febbraio «This is the end, beautiful friend, this is the end, my only friend, the end». Sanremo. Ancora a Sanremo. Voleva una missione, e ad espiazione dei suoi peccati gliene avevano affidata una. Il Festival. Quella missione, Pippo Baudo l’ha fallita. Dopo il crollo del debutto, sotto la soglia psicologica dei 10 milioni di spettatori, la seconda serata precipita a 8 milioni 261 mila, share 29,62. Ballarò è all’11,78 per cento, Fede con uno speciale su Gravina al 10. E poi milioni di telespettatori dispersi in mille reti, satelliti, digitali terrestri, nicchie infinitesimali. Il crollo della televisione del Novecento. La televisione-focolare, che unisce famiglie e Nazioni. La televisione come l’abbiamo vista, pensata, conosciuta in tutta la nostra vita. Apocalipse now. Va detto, a onor del vero, che non si cercano facili capri espiatori. Anche perché sarebbero difficili da individuare. Il direttore Del Noce ripete che «è un buon Festival, e non c’è una particolare controprogrammazione, quindi...». Quindi niente. Controprogrammazione è parola insensata, nel sistema televisivo di oggi. La controprogrammazione è il sistema. Il sondaggista Pagnoncelli stila il certificato di morte: parla di un pubblico distratto e pessimista, e della nuova «dieta mediatica», di un’ormai diversa «fruizione della tivù». E’ finita. La festa mai cominciata assume, in questo mercoledì delle salme, le tinte fosche della caduta degli dei. Fuori, nelle vie di Sanremo, davanti all’Ariston, si stende come un sudario un silenzio terrificante. C’è meno gente degli anni passati, persino i disperati curiosi del Festival, i peones che calavano in Riviera per «vedere i cantanti» stavolta sono pochi, con l’aria incerta di chi ha sbagliato posto e ora. La folla è un animale crudele e intuitivo, fiuta l’insuccesso e se ne ritrae con orrore. Bianca Guaccero tace, meditando sulla propria personale tragedia nella tragedia generale. Martedì ha debuttato, è stata brava, poteva essere la rivelazione del giorno. Ma la notizia oggi è un’altra e lei nessuno se la fila, il crollo del Festival è il crollo dei suoi orizzonti di gloria. Domani, chi la ricorderà? Persino Chiambretti, che sulle prime tenta di sdrammatizzare fingendo preci e giaculatorie mentre lo staff Rai snocciolava tetro le cifre della debacle, dopo due ore di inane dibattito perde le staffe e apostrofa un giornalista con un «ma sta’ zitto, imbecille», di cui subito si pente, si scusa, fa ammenda pubblica e privata. Triste, solitario y final, s’erge Baudo nell’autunno della vita e del Festival. Trova parole nobili, rivendica la dignità del lavoro suo e della squadra; il tentativo di alzare la qualità del programma. E - forse per la prima volta - non accetta le scelte del pubblico. Si ribella all’imbarbarimento di una tivù sempre più corriva e volgare: «Per fare ascolti, si cercano gli scandali». Fino all’invettiva finale: «Inseguendo la tivù senza qualità, avremo un’Italia senza qualità, un’Italia di merda!». Stasera, la controprova. Lo scandalo adesso c’è: Loredana Berté irregolare e infelice, eliminata perché la canzone non è inedita, epperò riammessa fuori gara, è storia perfetta per gli istinti ferini della folla assetata di lacrime e sangue. Se, per videospiare il caso umano, gli ascolti si rianimeranno, Baudo avrà avuto ragione. Qualsiasi cosa ciò significhi. Gabriele Ferraris Questa rivoluzione che non c’è La Stampa, giovedì 28 febbraio Renzo Arbore ci ha riflettuto. E non da solo. Ha chiamato a raccolta i suoi amici di sempre, si è messo davanti alla televisione e con il suo gruppo d’ascolto qualificato non si è perso un minuto del Festival di Sanremo, prima e seconda serata. E in diretta ha assistito alla morte della già asfittica formula generalista. Quello che però il gruppo si domanda, all’indomani del tour de force, è perché il tentativo, se pur timido, di svecchiamento sia stato così tanto penalizzato dai numeri. Arbore, i dati del Festival parlano chiaro. Che cosa pensa possa essere successo? «Ho trovato Chiambretti in ottima forma e Baudo che si è fatto piacevolmente dissacrare. Ma il pubblico ha detto di no per un insieme di motivi». Proviamo ad elencarli? «Piero è un fantastico battutista ma le sue arguzie, che io adoro, possono non arrivare alla comprensione del pubblico che compone lo zoccolo duro di Raiuno. Alcuni ospiti erano di altissimo livello ma risultavano avulsi dal contesto, rallentavano, creando noia. Il varietà, i balletti, le spiritosaggini, gli sketch, non erano efficaci pur se di ottima fattura. Troppa pubblicità e troppo lunga. Il pubblico vuole una messa cantata che qui non c’è». La musica, quella si salva? «Certo, ma questi cantanti per la maggior parte non sono conosciuti dal grande pubblico e anche il tema impegnato che l’anno scorso ha dato due canzoni sul podio è stato a forza rimesso al centro ma senza successo. Magari una canzone alla ”Paranza” ci sarebbe stata bene. Avrebbe alleggerito, infatti sono piaciuti molto i Frank Head. Parliamoci chiaro, la gente non arriva a fine mese e vuole leggerezza facile». Allora ha ragione Baudo quando dice che il pubblico gradisce solo la tv spazzatura e che paga solo la schifezza in termini d’ascolto? «E’ un mio cavallo di battaglia da anni, infatti mentre non credo affatto nell’Auditel, spero nel Qualitel. Non a caso, il punto più alto d’ascolto del DopoFestival è stata la lite Fegiz-Cutugno, in un contesto molto carino in cui addirittura stonava. La posta è sempre più alta. Le domeniche pomeriggio sono una lite continua, tutte un colpo di scena. In questo le trasmissioni politiche la fanno da padrone. La gara eliminata da Sanremo è approdata agli approfondimenti che hanno dalla loro una fortissima potenza verbale. La gente vuole l’hard, che significa cosa forti a tutti i costi, anche d’impatto emotivo enorme. Il soft familiare di Sanremo, pur se poco convenzionale, perde». Lei però fa una tv di qualità con grandi ascolti, come Fazio, come Benigni. Questo che vuol dire? «Noi facciamo ascolti per un’audience elitaria. Oltretutto i dieci milioni di Benigni si riferiscono alla trasmissione su Dante ma con l’introduzione di satira politica e Fiorello fa la doppia lettura, come me. Bisogna distinguere tra spettatore e spettatore e mettere in forse l’equazione che vuole la maggioranza sempre dalla parte del giusto. I numeri non hanno sempre ragione, un artista non può condividere un conto matematico. Io ho il mio pubblico trasversale, lo stesso che viene ai concerti. I due livelli sono imparagonabili ma anche io che devo piacere al mercato di Foggia, (inteso come pesce non come Borsa), inseguo la doppia lettura. Quando ospito Proietti e Banfi raccolgo certi ascolti che restituisco quando voglio Stefano Bollani, tra i più grandi musicisti del mondo. Bisogna restare vigili e monitorare il pubblico altro, tantissimo, che ha spento definitivamente la tv». Michela Tamburrino Video di m... La Stampa, giovedì 28 febbraio C’è stato un momento in cui il Festival di Sanremo è diventato quasi una cosa seria. Per un attimo, la fiera della vacuità, il nulla al quadrato, la fuffa al cubo si sono trasformati in una specie di tragedia greca, scontrandosi con l’ineluttabilità di un fato che si chiama Auditel. successo alle 12 e 48 di ieri, nella sala stampa dell’Ariston. Pippo Baudo, con le occhiaie più profonde del Grand Canyon, la voce roca e, in generale, l’aspetto di Napoleone la mattina dopo Waterloo, evoca «la tivù che inventarono i nostri padri», con l’idea «che anche uno che stava a Catanzaro, che mai sarebbe potuto andare al teatro Sistina, potesse vedere uno spettacolo del Sistina». Ricordando le Canzonissime di our fathers e i Fantastico suoi, insomma la tivù sì bella e perduta, Baudo diventa lirico e, diciamolo, quasi struggente. E dire che aveva iniziato da quel democristiano non pentito che è: «Bisogna riflettere pubblicamente, quando i risultati acquistano questa dimensione». Dopo una sconfitta elettorale (anzi, «una flessione»), Rumor non sarebbe stato meno emolliente. Poi però l’ex superPippo si accalora, si rianima, tenta l’analisi e perfino il contrattacco. Il teorema è semplice: di tivù di qualità che c’è ancora, ed è la sua. Ma, ecco il tragico intoppo, non ha più un pubblico, traviato dai reality e dal trash che tracima da tutte le parti. Infatti martedì il picco d’ascolto della serata senza ascolti si è avuto quando è stata riproposta l’ormai famosa lite fra Toto Cutugno e l’archeocritico che l’insolentiva. Insomma, «l’evento - Pippo docet - non esiste più se non ha un aspetto scandalistico. Se avessi litigato con Chiambretti il pubblico si sarebbe acceso. Allora scazzottiamoci, pigliamoci a pesci in faccia, sputiamoci addosso: ma così il pubblico lo imbarbariamo, lo fottiamo. E così avremo un’Italia di merda». Per inciso, l’espressione non è proprio il massimo della qualità, ma quando ci vuole ci vuole e si sa che perfino lord Baudo, quando è sotto pressione, diventa meno forbito. Come nel ”91, dopo l’attentato mafioso alla sua villa, quando si esibì a favor di telecamera in un «Mi sono rotto il beep!». Ma davanti ai giornalisti eccitati perché fiutano il sangue non va in onda solo il Baudicidio. In realtà muore la tivù generalista, finisce la prima telerepubblica, l’idea anni Cinquanta del piccolo schermo che educa un grande Paese: «La televisione ha fatto crescere l’Italia e adesso la sta devastando. Paghiamo le conseguenze di una programmazione che ha via via abbassato la qualità». Ma, e qui Baudo ha lo scatto d’orgoglio, è inutile dire che è il gusto del pubblico, o meglio la sua mancanza, a fare la festa al Festival. E cita un altro padre di una patria che non c’è più, Giorgio Bocca: «Diceva che abbiamo inventato l’italiano medio per giustificare la nostra mediocrità». Morale: «Serve una crociata per la tivù di qualità. un problema sociale ed è un problema di coscienza». E così sia. Fra le giaculatorie di Del Noce, le battute di Chiambretti e gli affondi dei giornalisti, affonda anche la barca baudesca. Vie d’uscita per il Festival pare non ce ne siano. Ridurre le serate a un numero umanamente sostenibile? «La convenzione con il Comune di Sanremo ne prevede almeno cinque». Allora ridurre i cantanti? «I discografici non vogliono». Ripristinare l’eliminazione? «Non vogliono i cantanti». Far gareggiare solo i giovani? «Sanremo non è Castrocaro né Amici. E poi l’anno scorso il Festival ha lanciato Cristicchi e Moro, Amici non ha mai lanciato davvero nessuno». Almeno, allora, limitare la durata di ogni serata, che al momento fa invidia a Wagner: «Dipende dai cantanti. Se fossero meno potremmo finire per le 23. Gli ascolti dimostrano che fino a quell’ora il pubblico ci segue». Poiché le disgrazie non vengono mai sole, scoppia nel frattempo l’affaire-Bertè. Preso atto e annunciate decisioni poi puntualmente arrivate in serata, tocca all’Auditel: «Ha parificato qualità e quantità. La tivù italiana sta diventando commerciale come quella americana». il momento del gran finale: «Mi assumo tutte le responsabilità. Per giovedì spero che i duetti facciano il miracolo». Ma l’impressione è che Pippo lo dica per dovere di firma. La messa cantata di mezzogiorno sembra proprio una messa da requiem. E il festivalone? Riposi in pace. Alberto Mattioli