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 2008  febbraio 26 Martedì calendario

La Roma vola a Piazza Affari. Il Sole 24 ore 26 febbraio 2008. I capitali americani sarebbero pronti ad arrivare anche nel calcio italiano

La Roma vola a Piazza Affari. Il Sole 24 ore 26 febbraio 2008. I capitali americani sarebbero pronti ad arrivare anche nel calcio italiano. Secondo indiscrezioni, che ormai da mesi stanno circolando, un gruppo di magnati Usa sarebbe interessato ad acquistare la As Roma. Speculazioni che ieri, a Piazza Affari, hanno influito sul titolo della società giallorosa, che è arrivato a guadagnare fino al 23 per cento. Ufficialmente, la famiglia Sensi smentisce una vendita: lo ha ripetuto nei giorni scorsi l’amministratore delegato Rosella Sensi davanti alle telecamere. «Ormai non sappiamo più come spiegarlo – spiega Enrico Bendoni, consulente della famiglia Sensi – il club non è in vendita e mi sembra strano che queste speculazioni tornino a circolare ogni volta che ci apprestiamo a giocare partite delicate, come sarà Inter-Roma». Valutazione di 250 milioni Ma chi sarebbero gli americani interessati al club capitolino? Fra questi ci sarebbero il milionario Casey Wasserman, a capo dell’omonimo gruppo, e altri magnati. Wasserman è noto in Usa per i suoi interessi nell’area della gestione dei diritti televisivi (nel basket quelli della Nba). inoltre famoso per gestire l’immagine di molti campioni: nel calcio segue una scuderia di giocatori come l’ex milanista Andriy Shevchenko e il giocatore del Liverpool Steven Gerrard. infine azionista di una squadra di football americano: gli Avengers Los Angeles. Secondo indiscrezioni, Wasserman si sarebbe fatto avanti tramite alcuni intermediari, complici anche i rumors che ormai da mesi circolano sul club calcistico e sulla situazione di difficoltà dell’azionista Italpetroli (gravata da oltre 360 milioni di euro di debiti) che potrebbe essere costretta a sacrificare il club giallorosso. E avrebbero influito anche le indiscrezioni su una situazione di stallo con il socio-creditore UniCredit. Per ora proseguono le trattative per la rinegoziazione del debito con la banca, che non ha esercitato l’opzione del 2% per salire al 51% di Italpetroli. Fatto sta che la cordata statunitense valuterebbe la Roma, secondo fonti finanziarie, circa 250 milioni. Le mire d’Oltreoceano Malgrado il dollaro debole, le mire Usa non sembrano dunque fermarsi alla sola Premier League. Dopo aver comprato squadre come le inglesi Manchester United, Liverpool e Arsenal, avversarie di Inter e Milan negli ottavi di Champions League, i grandi investitori hanno oltrepassato la Manica e sono arrivati a Parigi. Qualche settimana fa la Colony Capital del magnate Tom Barrack ha rilevato la maggioranza del Paris Saint Germain. E ora lo sguardo degli americani, visto che grandi club spagnoli come Real Madrid e Barcellona sono ad azionariato popolare, è verso l’Italia. «Gli americani, se potessero - spiega Marco Bianchi, broker attivo negli Stati Uniti nell’area dei diritti tv calcistici - comprerebbero domani club come Juventus, Milan e Inter, ma anche sulla Roma c’è un certo interesse. Per loro è solo business e non è semplice spiegargli che tra i nostri confini grandi famiglie imprenditoriali come la dinastia Agnelli, i Berlusconi, i Moratti o i Sensi, mai si priverebbero di questi club». Il calcio è pur sempre business, soprattutto quando all’evento sportivo si possono affiancare attività immobiliari o commerciali. «Nella Premier League gli stadi sono delle grandi arene - spiega Ernesto Paolillo, a.d. dell’Inter, in passato entrato nel radar di gruppi cinesi e russi. - La cultura sportiva inglese è molto simile a quella statunitense, visto che questi spazi, stadi di proprietà, vengono sfruttati per i grandi eventi come i concerti e vengono gestiti non solo per l’attività calcistica. La componente immobiliare ha, quindi, una grande importanza». Ma gli investimenti americani in Italia non sarebbero poi così semplici da realizzare. «Gli investitori americani - continua Bianchi - si sono tenuti finora lontani dall’Italia anche per la mancanza di trasparenza sui bilanci. Basta pensare ai conti gonfiati dalle plusvalenze. Inoltre in Italia mancano ancora gli stadi di proprietà che possono favorire iniziative di sviluppo immobiliare». Lo stesso Paris Saint Germain, ad esempio, è diventato un obiettivo del fondo Colony per la componente immobiliare del business e per i grandi progetti di sviluppo edilizio a Parigi. Blazer, Hicks e gli altri I grandi investitori americani sono magnati dell’immobiliare, dei media oppure di grandi conglomerate, spesso, proprietari di altri club professionistici, in sport come l’hockey o il football americano. I casi più eclatanti sono stati finora quelli del Manchester United, del Liverpool e dell’Arsenal. Malcolm Blazer, che ha scalato il Manchester United, è azionista di una conglomerata attiva nell’energia, nel real estate e nei media. Negli Stati Uniti possiede già un team di football americano, il Tampa Bay Buccaneers. Il Liverpool è invece stato rilevato dal duo statunitense George Gillett e Tom Hicks che hanno pagato 470 milioni di sterline, di cui 215 destinati alla costruzione del nuovo stadio a Stanley Park con l’addio al glorioso Anfield Road dei Reds. Gillett, imprenditore dei media, controlla una delle maggiori squadre di hockey canadese, la Montreal Canadiens. Hicks, fondatore del private equity Hicks Muse Tate & Furst, possiede invece un team di baseball: i Texas Rangers. C’è infine, Stan Kroenke, azionista dell’Arsenal, imprenditore del real estate e delle costruzioni e proprietario anche di una catena televisiva, oltre che azionista di 3 squadre professionistiche Usa: Denver Nuggets (Nba), Colorado Avalanche (Nhl) e Rapids (Mls). Senza contare che anche il Derby County è passato recentemente al gruppo Usa General Sports Entertainment. Non è un caso che in Inghilterra l’amministratore delegato della Premier League, Richard Scudamor, abbia lanciato l’idea di una giornata di Premier giocata al di fuori dei confini nazionali: con partite disputate in Oriente, nei ricchi Paesi arabi del Golfo e negli Usa. Progetto che ha sollevato le forti perplessità del premier Gordon Brown, ma che sintetizza in modo perfetto la nuova dimensione del campionato d’Oltremanica. «L’esportazione delle partite all’estero è stata praticata in passato dalla Nba, la lega professionistica statunitense di basket» conferma Bianchi. Un segnale in più che il calcio, quando è business, può interessare molto anche a chi il pallone (ovale) è abituato a lanciarlo con le mani. Carlo Festa