Avvenire 23 febbraio 2008, MICHELA CORICELLI, 23 febbraio 2008
Cresce l’economia. Avvenire 23 febbraio 2008. «Ci risiamo, ricominciano gli scioperi». Per Jesús le proteste sono il nemico numero uno: fa il tassista a Lima e ricorda con orrore la fine del primo governo di Álan García, quando le manifestazioni paralizzavano quotidianamente le vie della megalopoli peruviana
Cresce l’economia. Avvenire 23 febbraio 2008. «Ci risiamo, ricominciano gli scioperi». Per Jesús le proteste sono il nemico numero uno: fa il tassista a Lima e ricorda con orrore la fine del primo governo di Álan García, quando le manifestazioni paralizzavano quotidianamente le vie della megalopoli peruviana. Questa volta è diverso: gli scioperi sono lontani, i contadini bloccano le strade delle province più povere, ad Ayacucho, ad Ancash. Ma c’è chi si chiede – come Jesús – se questo non sia solo l’inizio. Al palazzo del governo c’è lo stesso presidente, ma sono passati quasi venti anni e il suo messaggio è completamente cambiato: svanite le nazionalizzazioni, García parla di libero mercato, concorrenza, trattati di libero commercio (ha appena firmato quello con gli Usa e già punta ad un accordo con la Cina). Rampante: l’economia peruviana cresce ad un ritmo dell’8,9%, alimentata dal boom delle costruzioni e dal manufatturiero. I tesori del sottosuolo continuano a generare ricavi per le compagnie e per le casse statali. E an- che se il settore minerario non cresce velocemente come gli altri, il Perù resta il terzo produttore mondiale di rame e zinco, il primo di argento e il quinto d’oro. Nei ristoranti più lussuosi di Lima è bene prenotare, anche in una sera qualsiasi della settimana. La gastronomia peruviana è di moda in tutta l’America latina: per mangiare dagli chef più noti vengono da Buenos Aires, Bogotà e Miami. Nell’aria si respira ottimismo. In alcuni quartieri della capitale, come San Isidro, Miraflores, Surco, c’è un’effervescenza commerciale palese. Lima è in ebollizione e aspetta con ansia i grandi vertici internazionali che ospiterà quest’anno: la riunione fra America latina e Unione europea (a maggio) e il Foro Apec Asia-Pacifico (a novembre). Intanto i prezzi degli hotel lievitano alle stelle e nelle strutture più lussuose una notte equivale a due stipendi medi mensili di una collaboratrice domestica. Contraddizioni stridenti, in un paese che sembra procedere a due velocità: da una parte il Perù che corre, produce-consuma-esportacompra- vende-si trasforma; dall’altra il Perù che cammina lentamente, a passi quasi impercettibili, cercando di arrivare a fine mese. il Paese di chi guadagna 15 soles al giorno (poco più di 3 euro), di chi vive negli asientamentos humanos (le favelas peruviane), di chi non mangia mai pollo (troppo caro) e non ha l’acqua corrente. Ma la povertà urbana è solo una delle facce di questo centralizzato paese. Lontanto dalla capitale, nella sierra - la regione montuosa andina - la miseria è più profonda e si riflette nella denutrizione dei bambini (il 30%), nella mancanza di prospettive lavorative, nella fuga verso la costa. E’ in questa sierra dura – durissima – che venti anni fa il terrorismo di Sendero Luminoso colpì più forte: i contadini furono vittime dell’estremismo maoista e della repressione militare. Lima è cambiata e continua a cambiare: anche nei ’coni’ (aree un tempo povere, oggi in crescente sviluppo) si moltiplicano i grandi centri commerciali, le piccole e medie aziende, i negozi di telefonia e le palestre. Ma ad Ayacucho – come in altre province lontane da Lima – la situazione economica resta drammatica, allarmante. E socialmente pericolosa, avvertono gli esperti. Ayacucho, come altre località della sierra, qualche giorno fa è stato teatro di uno sciopero agrario soffocato nel sangue. Alberi e pietre che bloccavano le strade, autobus fermati da una pioggia di sassi, camion di prodotti al macero. La polizia ha risposto con le armi: l’agghiacciante saldo di due giornate era di cinque morti, decine di feriti e di detenuti. L’economia cresce, ma nell’agricoltura - fonte di sussistenza per centinaia di migliaia di famiglie - il governo investe solo l’1,4% della sua finanziaria. Un Paese ne contiene due? Le medie nazionali, a volte, nascondono la realtà: a Huancavelica la povertà colpisce oltre l’80% della popolazione, mentre ad Ayacucho e a Puno (nel sud) supera il 70%. Un’ingiustizia pericolosa: gli analisti sottolineano la radicalizzazione del messaggio di alcune forze politiche, la strumentalizzazione della rabbia e dell’abbandono sociale. Combattere la denutrizione, diminuire la miseria, eliminare l’accattonaggio infantile: fra i programmi annunciati dal governo di García spiccano anche obiettivi sol’ottimista ciali. Il più importante: portare il tasso di povertà dal 45% al 30% entro il 2011. Ma secondo Héctor Béjar, del comitato peruviano per l’Appello Mondiale dell’azione contro la povertà, il Paese «è immerso in un modello economico che produce poveri, ogni giorno». «Il Perù è come un mendicante seduto su una panca d’oro», disse il geografo di origini italiane Antonio Raimondi, due secoli fa. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano El Comercio, García ha spiegato che aspira a risolvere a colpi di investimenti e produttività l’atavica contraddizione di una nazione ricca di risorse (minerali, petrolio, gas, pesca), ma ancora povera. Un discorso che piace agli imprenditori, all’emergente classe media e soprattutto alle classi alte. Più in generale, piace alla ’città’. Ma la sua ricetta politicoeconomica preoccupa le comunità indigene che temono la privatizzazione della selva amazzonica e i contadini della sierra che fanno i conti con i gravissimi danni ambientali causati dalle miniere. Fra una polemica e l’altra, «il Peru avanza », come recita uno slogan governativo. MICHELA CORICELLI