Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 23 Sabato calendario

Cresce l’economia. Avvenire 23 febbraio 2008. «Ci risiamo, ricomincia­no gli scioperi». Per Je­sús le proteste sono il nemico numero uno: fa il tassista a Lima e ricorda con orrore la fine del primo governo di Álan García, quando le manifestazioni paraliz­zavano quotidianamente le vie del­la megalopoli peruviana

Cresce l’economia. Avvenire 23 febbraio 2008. «Ci risiamo, ricomincia­no gli scioperi». Per Je­sús le proteste sono il nemico numero uno: fa il tassista a Lima e ricorda con orrore la fine del primo governo di Álan García, quando le manifestazioni paraliz­zavano quotidianamente le vie del­la megalopoli peruviana. Questa volta è diverso: gli scioperi sono lontani, i contadini bloccano le strade delle province più povere, ad Ayacucho, ad Ancash. Ma c’è chi si chiede – come Jesús – se questo non sia solo l’inizio. Al palazzo del governo c’è lo stes­so presidente, ma sono passati quasi venti anni e il suo messaggio è completamente cambiato: sva­nite le nazionalizzazioni, García parla di libero mercato, concor­renza, trattati di libero commercio (ha appena firmato quello con gli Usa e già punta ad un accordo con la Cina). Rampante: l’economia peruviana cresce ad un ritmo dell’8,9%, alimentata dal boom delle costruzioni e dal manufattu­riero. I tesori del sottosuolo conti­nuano a generare ricavi per le com­pagnie e per le casse statali. E an- che se il settore minerario non cre­sce velocemente come gli altri, il Perù resta il terzo produttore mon­diale di rame e zinco, il primo di argento e il quinto d’oro. Nei ristoranti più lussuosi di Lima è bene prenotare, anche in una se­ra qualsiasi della settimana. La ga­stronomia peruviana è di moda in tutta l’America latina: per mangia­re dagli chef più noti vengono da Buenos Aires, Bogotà e Miami. Nel­l’aria si respira ottimismo. In alcu­ni quartieri della capitale, come San Isidro, Miraflores, Surco, c’è un’effervescenza commerciale pa­lese. Lima è in ebollizione e aspet­ta con ansia i grandi vertici inter­nazionali che ospiterà quest’anno: la riunione fra America latina e U­nione europea (a maggio) e il Foro Apec Asia-Pacifico (a novembre). Intanto i prezzi degli hotel lievita­no alle stelle e nelle strutture più lussuose una notte equivale a due stipendi medi mensili di una col­laboratrice domestica. Contraddizioni stridenti, in un paese che sembra procedere a due velocità: da una parte il Perù che corre, produce-consuma-esporta­compra- vende-si trasforma; dal­l’altra il Perù che cammina lenta­mente, a passi quasi impercettibi­li, cercando di arrivare a fine me­se. il Paese di chi guadagna 15 so­les al giorno (poco più di 3 euro), di chi vive negli asientamentos hu­manos (le favelas peruviane), di chi non mangia mai pollo (troppo ca­ro) e non ha l’acqua corrente. Ma la povertà urbana è solo una delle facce di questo centralizzato pae­se. Lontanto dalla capitale, nella sierra - la regione montuosa andi­na - la miseria è più profonda e si riflette nella denutrizione dei bam­bini (il 30%), nella mancanza di prospettive lavorative, nella fuga verso la costa. E’ in questa sierra dura – durissima – che venti anni fa il terrorismo di Sendero Lumi­noso colpì più forte: i contadini fu­rono vittime dell’estremismo maoista e della repressione milita­re. Lima è cambiata e continua a cambiare: anche nei ’coni’ (aree un tempo povere, oggi in crescen­te sviluppo) si moltiplicano i gran­di centri commerciali, le piccole e medie aziende, i negozi di telefo­nia e le palestre. Ma ad Ayacucho – come in altre province lontane da Lima – la situazione economi­ca resta drammatica, allarmante. E socialmente pericolosa, avverto­no gli esperti. Ayacucho, come altre località del­la sierra, qualche giorno fa è stato teatro di uno sciopero agrario soffocato nel sangue. Alberi e pie­tre che bloccavano le strade, auto­bus fermati da una pioggia di sas­si, camion di prodotti al macero. La polizia ha risposto con le armi: l’agghiacciante saldo di due gior­nate era di cinque morti, decine di feriti e di detenuti. L’economia cre­sce, ma nell’agricoltura - fonte di sussistenza per centinaia di mi­gliaia di famiglie - il governo inve­ste solo l’1,4% della sua finanziaria. Un Paese ne contiene due? Le me­die nazionali, a volte, nascondono la realtà: a Huancavelica la povertà colpisce oltre l’80% della popola­zione, mentre ad Ayacucho e a Pu­no (nel sud) supera il 70%. Un’in­giustizia pericolosa: gli analisti sot­tolineano la radicalizzazione del messaggio di alcune forze politi­che, la strumentalizzazione della rabbia e dell’abbandono sociale. Combattere la denutrizione, dimi­nuire la miseria, eliminare l’accat­tonaggio infantile: fra i program­mi annunciati dal governo di García spiccano anche obiettivi s­o­l’ottimista ciali. Il più importante: portare il tasso di povertà dal 45% al 30% en­tro il 2011. Ma secondo Héctor Béjar, del comitato peruviano per l’Appello Mondiale dell’azione contro la povertà, il Paese «è im­merso in un modello economico che produce poveri, ogni giorno». «Il Perù è come un mendicante se­duto su una panca d’oro», disse il geografo di origini italiane Anto­nio Raimondi, due secoli fa. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano El Comercio, García ha spiegato che aspira a risolvere a colpi di investimenti e produttività l’atavica contraddizione di una na­zione ricca di risorse (minerali, pe­trolio, gas, pesca), ma ancora po­vera. Un discorso che piace agli im­prenditori, all’emergente classe media e soprattutto alle classi al­te. Più in generale, piace alla ’città’. Ma la sua ricetta politico­economica preoccupa le comunità indigene che temono la privatiz­zazione della selva amazzonica e i contadini della sierra che fanno i conti con i gravissimi danni am­bientali causati dalle miniere. Fra una polemica e l’altra, «il Peru a­vanza », come recita uno slogan go­vernativo. MICHELA CORICELLI