La Repubblica 22 febbraio 2008, ROBERTO MANIA, 22 febbraio 2008
"Tre euro l´ora e di nascosto". La Repubblica 22 febbraio 2008. Angelo non ha ancora diciassette anni ma lavora da quando ne aveva poco più di dodici
"Tre euro l´ora e di nascosto". La Repubblica 22 febbraio 2008. Angelo non ha ancora diciassette anni ma lavora da quando ne aveva poco più di dodici. un minorenne che lavora, come tanti anche in Italia. Lavoro precoce, lo chiamano. Angelo non è il suo vero nome, la sua storia però è vera. lui che la racconta. Lo fa con frasi mozze, senza dettagli, senza passione, con tanta ritrosia. A tratti con distacco. Ma accetta di farlo. Sta in assemblea, seduto in prima fila, jeans, giubbotto e zuccotto bianco, che non toglie mai. Siamo a Brancaccio, storico quartiere proletario ad alta intensità mafiosa di Palermo, a qualche centinaio di metri dalla parrocchia di don Pino Puglisi, trucidato da Cosa nostra. Siamo nell´aula magna della scuola media statale "Sandro Pertini". Scuola serale. Si parla di lavoro, questa volta, di quello che si fa e di quello che non c´è e che da queste parti non c´è mai stato. Perché a Palermo il tasso di disoccupazione rasenta il 19 per cento. Parlano gli insegnanti e il preside Rosario Ognibene; parla dei nuovi progetti della Fiat a Termini Imerese e dei corsi di formazione il sindacalista della Cisl Giuseppe Lupo, ma parlano soprattutto i giovani minori, adolescenti costretti a lavorare già da bambini. Sempre in nero, sempre pagati poco. Sempre precari. Ma non sono eccezioni. Perché così lavorano i minori in Italia: di nascosto, nell´ombra. Sono – per definizione - lavoratori poveri, perché la povertà è il primo fattore che strappa i minori dalla scuola. E il tasso di povertà tra i più giovani è al sud quattro volte superiore a quello del nord. Per questo l´Italia è tra i paesi sviluppati quello nel quale il lavoro minorile rischia di allargarsi ancora. I dati sono allarmanti. L´Istat si occupa ancora poco dei lavori minori, quelli under 15 per le statistiche. L´ultima indagine (Bambini, lavori e lavoretti) risale al 2002 e la precedente addirittura al 1967. Dunque all´inizio del nuovo millennio (non c´è motivo di pensare che le cose siano migliorate, anzi) i ragazzi con meno di quindici anni che svolgevano un qualsiasi tipo di attività lavorativa erano 144.285, cioè il 3,1 per cento dei circa 4,5 milioni di bambini di quell´età. La percentuale sale man mano che cresce l´età: lo 0,5 per cento tra i sette e dieci anni, il 3,7 per cento tra gli undici e i tredici, ben l´11,6 per cento dei bimbi di quattordici anni. Ma quello del lavoro precoce è un fenomeno che, proprio perché illegale, facilmente sfugge ai tabulati della statistica. L´Ires, il centro studi della Cgil, ha allargato il campo della ricerche e da tempo stima che i piccoli al lavoro siano molti di più, intorno ai 500 mila che arrivano a oltre 600 mila se si considerano, da una parte anche i quindicenni, dopo l´innalzamento a sedici anni dell´obbligo scolastico, e dall´altra, oltre agli immigrati, coloro che non sono ancora maggiorenni e hanno già lavorato prima di aver compiuto i quindici anni. Un approccio che potremmo definire realistico. Ma c´è Angelo che parla. Per lavorare si sveglia alle tre di notte. Il suo è un lavoro pericoloso. Angelo "dipende" da un´azienda di Carini, alle porte di Palermo, che smaltisce rifiuti speciali. Raccolgono le batterie esaurite, l´olio vecchio delle macchine, ferro e metalli. Con il furgoncino, guidato dal fratello (che ha 28 anni), arrivano fino a Gela. «Sono cinque anni che lo faccio», dice. Quasi dieci ore di lavoro al giorno. La sua paga è di 300 euro alla settimana. «Ma io – spiega – aspetto i diciotto anni, prendo la patente e mi metto in proprio. Così guadagno di più. Cosa faccio nel weekend? Sono stanco e mi riposo». Sempre in prima fila c´è un giovane poco più grande di Angelo. appena maggiorenne. Ma, anche lui, è già al lavoro da cinque anni. Lui fa l´´ndoratore, cioè l´imbianchino. Con orgoglio e le profonde occhiaie che gli cerchiano gli occhi, spiega che se la cava bene con i colori mentre come muratore è «mezzo braccio», più o meno un apprendista. Ha imparato a mescolare le vernici «guardando», «ma è difficile», aggiunge. Si guarda e si impara anche a macellare le carni al mattatoio, a servire nei bar e nei ristoranti di zona o a fare il panettiere che a Palermo, per antica tradizione, significa non fermarsi quasi mai. Mestieri faticosi, come quello di montare e smontare le fiere paesane e i mercatini itineranti. Attività, non senza pericoli fisici, che risente da sempre della stagionalità (poco lavoro in inverno, di più in estate) e della crisi economica che qui è arrivata prima del crollo che ha travolto le Borse mondiali. Qui quando cala la domanda si interviene subito. E si decide: la paga si è ridotta da 3,50 euro all´ora a 3. Punto. «Ci alziamo alle quattro del mattino – racconta il montatore di fiere a nome di un gruppetto di "colleghi" ”. Si lavora al freddo, si va fino a Marsala, Mazara del Vallo e quando ce lo chiedono arrotondiamo con qualche lavoro da muratore». Lui ha provato anche la vecchia strada dell´immigrazione al nord. A quindici anni (ora ne ha diciassette) aveva già lavorato in Toscana, in Friuli, a Milano aiutato dallo zio. «A Milano ho fatto per un anno il muratore. Lavori "lasci e prendi". Sono "sceso" per prendere la terza media. Per mettermi in regola». Cioè per avere qualche chance, magari un posto pubblico nell´epoca della globalizzazione. Sono "vite di scarto", pensando a Bauman, nell´Italia del 2008. ROBERTO MANIA