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 2008  febbraio 22 Venerdì calendario

LA SFIDA FINALE CON I VESCOVI

La Repubblica 22 febbraio 2008.
Paragonate allo scontro aperto tra Chiesa e governo che infuria da mesi in Spagna, le polemiche tra laici e cattolici in Italia sembrano litigi di condominio. E´ vero: molti interventi, molte dichiarazioni del Cardinal Ruini e dei suoi successori alla testa della Conferenza episcopale, hanno rivelato un´evidente intenzione della Chiesa di farsi strada a spintoni nella vicenda politica del nostro paese. Irruzioni pesanti che il mondo laico non poteva far altro che respingere, anche se, almeno per ora, senza successo.
Ma in Spagna è assai peggio. In Spagna, dove è in corso una rovente campagna elettorale, la Chiesa sta dando secche, precise indicazioni di voto ai cattolici che andranno alle urne il 9 marzo: non votate per il partito socialista del premier José Luis Rodrìguez Zapatero. In altre parole, votate per il centro-destra. Per il Partito popolare di Mariano Rajoy.
Il linguaggio con cui s´è espresso nelle ultime settimane l´antagonismo tra le gerarchie ecclesiastiche e il governo di Madrid, ha sfiorato i toni che s´erano sentiti alla metà degli anni Trenta del secolo scorso, quando il paese stava precipitando verso la guerra civile. Allora, non senza qualche ragione, la Chiesa esortava i fedeli ad opporsi alla «marea rossa», all´urto anarco – comunista che minacciava di travolgere la Spagna cattolica e moderata. Oggi gli appelli dei vescovi sono meno esaltati, ma nella sostanza non tanto diversi. Per le gerarchie cattoliche, le riforme del governo Zapatero stanno infatti «sfasciando la famiglia e la stessa democrazia».
Per il socialista Alfonso Guerra (dieci anni vice-presidente del governo con Felipe Gonzàlez) i cardinali e vescovi spagnoli somigliano ormai «agli ayatollah di Teheran». E per José Blanco, segretario del partito, «nulla potrà più tornare come prima» nei rapporti tra Stato e Chiesa. C´è stato sì, ultimamente, qualche tentativo di raffreddare la contesa, ma la battaglia prosegue.
Nella maggior parte delle parrocchie, il voto anti-socialista viene suggerito dal clero senza più perifrasi o infingimenti. E Zapatero ha fatto capire che, durando l´attuale situazione, potrebbero essere rivisti gli accordi sui finanziamenti pubblici alla Chiesa.
Come si sia giunti a tanto, dopo che in tutto il post-franchismo la Chiesa spagnola aveva mantenuto rispetto alla vicenda politica una posizione sostanzialmente imparziale, è più o meno noto. Le turbolenze tra episcopato e governo erano infatti cominciate sei o sette mesi dopo la vittoria socialista alle elezioni di maggio 2004, con il susseguirsi impetuoso (il «bombardeo», il bombardamento, si diceva a Madrid) delle riforme varate da Zapatero in materia di diritti civili. Mettendo da parte le cautele che avevano guidato la generazione politica precedente, sinistra inclusa, nella fase della transizione post-franchista, il giovane capo del governo sembrava deciso a rifare il volto del suo paese.
Matrimonio tra omosessuali con facoltà d´adozione, divorzio-lampo, procreazione assistita, limiti all´insegnamento della religione cattolica nelle scuole. E se queste leggi avevano il lodevole intento di migliorare «la qualità della democrazia», riscuotendo perciò il consenso dei laici e l´entusiasmo delle sinistre radicali in Europa, è anche comprensibile che – venute a cascata invece che con un po´ di prudenza – la Chiesa le abbia considerate una specie di sfida. Una spaccatura della società spagnola (mesi fa il governo aveva anche accennato a una legge sull´eutanasia), se non addirittura l´avvio d´una resa dei conti tra laici e cattolici.
Che le riforme del governo socialista abbiano diviso la Spagna, prodotto crepe e risentimenti, sino a resuscitare – come sostengono molti spagnoli – il fantasma delle "dos Españas" che si sono molte volte contrapposte nei momenti più tragici della storia del paese, questo è certo. Ma Zapatero non ha avuto ripensamenti.
Nonostante i richiami alla cautela che venivano dalla vecchia leadership del partito, e in specie da Felipe Gonzàlez, è andato avanti. Ha insistito nel cambiare, trasformare, voltare le spalle al passato. Il che s´è visto, oltre che con le riforme riguardanti i diritti dei cittadini, anche su un altro pericoloso terreno: le memorie della guerra civile.
Il governo socialista s´è mosso anche qui, infatti, in modo assai deciso. Totale cancellazione di ciò che restava del franchismo (monumenti, toponomastica), celebrazione dei soli caduti di parte repubblicana, condanna delle repressioni condotte da Franco alla fine della guerra civile. E, certo, qui la Chiesa ha dovuto starsene per un po´ in silenzio, visto che il suo appoggio al franchismo fu entusiastico sino alla spudoratezza. Ma poi, col ripetersi delle celebrazioni a favore della Seconda Repubblica, l´episcopato e il Vaticano hanno reagito, celebrando a loro volta – anzi beatificandoli – i settemila preti e monache trucidati dai repubblicani tra il 1936 e il 1939. Dunque altre divisioni, altro antagonismo.
E´ cambiata così, venendo sempre più a somigliare a quella italiana, l´atmosfera del confronto politico in Spagna. La vitale e ammirevole democrazia succeduta al franchismo aveva avuto come caratteristica quella «civilizzazione della politica» che il sociologo Vìctor Pérez-Dìaz ha descritto in un libro ben noto in Italia, «La lezione spagnola»: un equilibrio, una moderazione, una capacità di compromesso, senza i quali la Spagna non avrebbe probabilmente conosciuto la miracolosa rinascita di questi trent´anni. La lotta politica s´è fatta invece da quattro anni a questa parte, dall´ultimo periodo del secondo governo Aznar, ogni giorno più acre e violenta. Al punto che tra socialisti e popolari volano adesso insulti che neppure Prodi e Berlusconi s´erano mai scambiati.
Vedremo la sera del 9 marzo, con la conta dei voti, a chi avrà giovato arroventare, esasperare, lo scontro politico. Se al centro – destra e alla Chiesa, o ai socialisti di Zapatero. Appena quattro mesi fa i sondaggi davano ai socialisti parecchi punti di vantaggio sul Partito popolare: ma lo scontro con l´episcopato, e un brusco peggioramento della situazione economica dopo molti anni di crescita continua, hanno fatto sì che oggi i due partiti stiano quasi (con due-tre punti di differenza) spalla a spalla. Ma il risultato che uscirà tra venti giorni dalle urne spagnole potrebbe avere un significato molto particolare, mai emerso da altre elezioni europee.
Se a perdere sarà José Luis Rodrìguez Zapatero, la sua carriera politica sarà infatti conclusa e i socialisti andranno all´opposizione. Niente di straordinario, dunque, visto che si tratterà del normale andirivieni del potere in una democrazia. Ma se a perdere saranno i popolari di Mariano Rajoy, a perdere con loro, e rovinosamente, sarà la Chiesa spagnola. La Chiesa d´un paese di antica, fastosa (anche se per lunghi tratti cupa) tradizione cattolica avrà perso credibilità, prestigio, ascendente sui suoi fedeli. Si ritroverà traballante, molto probabilmente senza sapere come risollevarsi da un colpo tanto grave.
SANDRO VIOLA