La Stampa 24 febbraio 2008, Enrico Martinet, 24 febbraio 2008
La prima lezione. La Stampa 24 febbraio 2008. La scuola, i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti. Io penso a questo, alla tutela capisce?»
La prima lezione. La Stampa 24 febbraio 2008. La scuola, i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti. Io penso a questo, alla tutela capisce?». Silvana Viérin, preside delle medie di Pont-Saint-Martin, primo paese valdostano per chi sale dal Piemonte, parla del dovere «di lavorare in serenità». Il suo ufficio è all’inizio del lungo corridoio che in fondo ospita la 3 C. Lei racconta con pacatezza del professor Marco Frachey, docente di musica condannato a due anni per pedopornografia e appena reintegrato nel suo posto di lavoro. Lui è in quell’aula a far lezione. Tre giorni dopo la sentenza del giudice del lavoro Eugenio Gramola che ha definito illegittima la sospensione della Regione Valle d’Aosta e che ha provocato l’imbarazzo di tutti. Sospensione annullata perché la legge prevede che una persona non possa essere punita due volte per lo stesso fatto. E il professore era già stato sospeso nel 2002 per la medesima vicenda. Semplice. Ma ha scatenato un putiferio. E l’imbarazzo di tutti, insegnante compreso. «Io lo sapevo - dice Frachey -. Per questo avevo chiesto un altro posto di lavoro che non fosse a contatto con il pubblico. Ma mi hanno detto no». E la preside parla di «diffuso senso di preoccupazione». Il suo telefono ha squillato tutta la mattinata. «Le famiglie che chiedono informazioni, ma per ora tutto qui. Nessuna protesta, vogliono sapere, essere rassicurate». Ancora: «Per me tutta questa vicenda dimostra che c’è poco rispetto per il mondo della scuola che deve formare i nuovi cittadini. Si potevano mettere in campo altre attenzioni, ecco. Tutti potevano farlo. Io non conosco la sentenza, ma certo che il lavoro di un professore è delicato, è a contatto con dei minori. Prima di reintegrarlo... Non giudico nessuno sia chiaro, ma forse tutti potevano far qualcosa in più per non trovarci ora in questa situazione. Lo stesso professore poteva trovarsi un altro lavoro». La scuola ieri era semideserta. Un sabato con soltanto tre classi. E con un cordone «sanitario» per evitare il contatto con cronisti e fotografi. La preside ha anche chiamato i carabinieri. «Che volete fare?», chiedono i militari ai cronisti. Le insegnanti sfilano via lungo i muri dell’edificio grigio lasciandosi dietro soltanto dei «non abbiamo niente da dire». Le bidelle in grembiule rosso non vogliono neppure sentire domande: «Nulla, nulla, non pensiamo nulla». Nel cortile di fronte all’ingresso della scuola media «Carlo Viola» risuona la campanella di fine lezione. C’è un uomo che aspetta la figlia, una della 3 C, accanto all’auto. Si chiama Fiorenzo Clapasson, fa il muratore e vive con moglie e due figlie a Fontainemore, paese a metà della vallata del Lys, la stessa del professore. «Sì, lo conosco - dice -. Siamo andati assieme a scuola qui a Pont. E fino a qualche tempo fa ci si sentiva. Di lui non posso dire nulla di male. Sono questioni complicate, delicate. Ne abbiamo parlato anche a casa, ma per me ognuno di noi deve imparare a ragionare con la propria testa, non lasciarsi condizionare da nulla. Inutile tranciare giudizi». Nello stesso edificio scolastico ci sono anche i ragazzi delle superiori. Una studentessa spalanca gli occhi mentre va verso casa e senza pensarci su dice: «Io non sono più alle medie, ma se ci fossi avrei paura». Accanto le sfila un ragazzo allampanato che le medie fa: «Ma no, che vuoi che succeda?». Poi però aggiunge «per fortuna non è tra i miei prof». Gli insegnanti non si fermano neppure. C’è chi dice «son qui per caso», chi allunga il passo «perché ho fretta e poi non ho proprio nulla da commentare». Quanto basta per comprendere che il clima a Pont-St-Martin è teso. Atmosfera di imbarazzo. Il professore evita tutti s’infila nell’auto bianca e imbocca la strada della sua vallata, fino a Gressoney-Saint-Jean. Vive in una casa a due piani, intonaco bianco, scritta walser. E’ ancora immersa nella neve e a ridosso di un grande bosco. La moglie lo aspetta. Piange. «Non so più come fare con i miei figli. Un inferno in questi anni. Adesso di nuovo. Sono ventidue anni che insegna, tutto è andato sempre bene poi ci è piombata addosso questa storia». Lui a casa non torna che quando è sera. Sbotta: «Sono stufo e adesso sento anche dire che mi davano un altro posto di lavoro. Ma come? L’ho sempre chiesto e la risposta è sempre stata no. Io devo lavorare, mia moglie ha un lavoro part-time da 800 euro il mese e abbiamo due figli. Come facciamo a tirare a avanti? Se non mi danno altro torno a scuola. Che devo fare? Ma io non volevo. Penso ai ragazzi, alle famiglie. So benissimo che i minori vanno tutelati, ma minori sono anche i miei figli. E i miei figli non sono stati tutelati». Il suo avvocato, Giuseppe Greppi, è inferocito: «La miopia degli amministratori regionali ha impedito una soluzione. Per il mio cliente in Regione non c’era posto, questo è. Ci sono i verbali del tentativo di conciliazione. Ad agosto al ministero del lavoro a settembre in Regione abbiamo chiesto un’alternativa, qualsiasi altro lavoro. E il giovedì della sentenza sa che cosa mi ha proposto la Regione? ”Dica al suo cliente di mettersi in malattia”. Proponevano di commettere un reato, un falso certificato medico». Enrico Martinet