Avvenire 24 febbraio 2008, Slavoj Zizek, 24 febbraio 2008
Hitchcock teologo ed eretico. Avvenire 24 febbraio 2008. In ossequio all’assioma dialettico secondo il quale l’unica via per afferrare la legge fondamentale dell’universo è attraverso la sua eccezione, cominciamo con Il ladro, uno di quei film che «stonano» chiaramente nell’insieme delle opere di Hitchcock
Hitchcock teologo ed eretico. Avvenire 24 febbraio 2008. In ossequio all’assioma dialettico secondo il quale l’unica via per afferrare la legge fondamentale dell’universo è attraverso la sua eccezione, cominciamo con Il ladro, uno di quei film che «stonano» chiaramente nell’insieme delle opere di Hitchcock. Da un certo punto di vista, Il ladro è Hitchcock allo stato puro. La sua stretta ortodossia viene testimoniata dal carattere eccezionale del cameo del regista: nel prologo, Hitchcock si rivolge direttamente agli spettatori, ricordando loro che stanno per vedere una tragedia tratta dalla vita reale. Questo prologo sembra essere un’implicita richiesta di scuse: scusatemi, ma non avrete la solita roba comico-thriller – qui le cose sono reali, devo giocare a carte scoperte e fornire direttamente il mio messaggio, senza mascherarlo da commedia come al solito. D’altra parte, è chiaro che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel film: è pieno di difetti. Di conseguenza, vanno poste due questioni: qual è il «messaggio» che Hitchcock tenta di articolare «direttamente» ne Il ladro, e perché non ci riesce? La risposta alla prima domanda è contenuta in quella che generalmente si considera essere la dimensione teologica dell’opera di Hitchcock. La storia del musicista, Balestrero, la cui vita tranquilla viene improvvisamente sconvolta da un incidente imprevisto – viene scambiato per un rapinatore – riassume la visione di Hitchcock di un Dio crudele, insondabile ed egoista che gioca sadicamente con i destini umani. Chi è questo Dio che, senza alcun motivo apparente, può trasformare la nostra vita quotidiana in un incubo? Nel loro fondamentale libro Hitchcock (1957), Rohmer e Chabrol cercano la chiave dell’«universo di Hitchcock» nel suo cattolicesimo; anche se questo approccio è caduto ormai in disgrazia – sorpassato dalle grandi analisi semiotiche e psicoanalitiche degli anni 70 – vale la pena riconsiderarlo, specialmente se si pensa che la tradizione cattolica alla quale Rohmer e Chabrol si riferiscono non è il cattolicesimo in generale, ma il giansenismo. l punto di partenza del giansenismo è l’abisso che separa la «virtù» umana dalla «grazia» divina: nei termini della loro natura immanente, tutte le persone sono peccatrici; la loro salvezza non può dipendere dalla virtù che appartiene loro in quanto persone, ma può venire solo dall’esterno, come grazia divina. In modo imperscrutabile Dio decide in anticipo chi sarà salvato e chi sarà dannato. La tragedia dei protagonisti delle commedie di Jean Racine, il cattolica) ci sono spesso profondi richiami alla fede, però sempre passati attraverso il filtro severo del giansenismo. Il suo è un Dio crudele, insondabile ed egoista. L’analisi del filosofo sloveno Zizek Idrammaturgo di Port-Royal, è che essi impersonificano questo rapporto antagonistico tra virtù e grazia nel modo più esacerbato. Se inserire QHitchcock nel solco del giansenismo sembra una forzatura, basta ricordare il ruolo fondamentale giocato dallo sguardo nei film di Hitchcock così come nei drammi di Racine. Fedra, il suo dramma più famoso, ruota intorno al fraintendimento di uno sguardo: Fedra, moglie del re Teseo, svela il suo amore per Ippolito, il figlio del re avuto da un precedente matrimonio, e viene crudelmente rimproverata; quando entra suo marito, Fedra scambia l’espressione severa di Ippolito – in realtà un segno del suo dolore – per la determinazione arrogante di tradirla al re, e si vendica di lui, con il risultato di essere lei stessa la propria rovina. Questa, dunque, è la risposta alla nostra prima domanda: Il ladro mette in scena al livello più alto lo sfondo teologico dell’«universo di Hitchcock», dove i protagonisti sono alla mercé di un Dieu obscur, di un Destino imprevedibile simbolizzato dalle enormi statue di pietra che appaiono regolarmente nei suoi film (dalla divinità egizia nel British Museum in Blackmail, alla statua della Libertà in Sabotaggio, alle teste dei presidenti sul monte Rushmore in Intrigo internazionale). ueste divinità sono cieche nella loro beata ignoranza; funzionano senza preoccuparsi delle insignificanti faccende umane: il Destino interviene sotto forma di coincidenza contingente che cambia lo statuto simbolico del protagonista. Inoltre, solo una linea molto sottile separa questa nozione di Dieu obscur dal concetto sadiano di «Essere supremo del male». Per quanto riguarda la seconda domanda, la risposta viene fornita da un’altra statua che, in realtà, non appare in alcun film di Hitchcock: la sfinge. Pensiamo a una fotografia di Hitchcock di fronte alla sfinge, entrambi i loro volti di profilo, a sottolineare il loro parallelismo: in fin dei conti è Hitchcock stesso che, in rapporto allo spettatore, assume il ruolo paradossale di un «benevolo dio cattivo», che tira le fila e fa scherzi al pubblico. In un certo senso, Hitchcock come autore è una specie di riflesso diminuito, «estetizzato» del Creatore imperscrutabile ed egoista. E il guaio con Il ladro è che in questo film Hitchcock ha rinunciato a questo ruolo di «benevolo dio cattivo» e si è sforzato di trasmettere il messaggio in modo «diretto», «serio», con il risultato paradossale che il «messaggio» stesso ha perso la sua persuasività. Quando Hitchcock soccombe alla tentazione del «serio» realismo psicologico, anche i momenti più tragici mostrati nel film ci lasciano un tantino freddi, malgrado il tremendo sforzo compiuto per colpirci. Slavoj Zizek