Wimbledon gennaio 1991, Giorgio Dell’Arti, 27 febbraio 2008
ALberto Burri. Wimbledon gennaio 1991. Beaulieu sur Mer, dicembre. Burri ha sempre vissuto a Citta di Castello o, un paio di mesi durante 1’invemo, a Los Angeles
ALberto Burri. Wimbledon gennaio 1991. Beaulieu sur Mer, dicembre. Burri ha sempre vissuto a Citta di Castello o, un paio di mesi durante 1’invemo, a Los Angeles. Ma da sette-otto anni lo tormenta un enfisema e il medico gli ha detto che sarebbe stato meglio trasferirsi sulla Costa Azzurra a respirare iodio. Cosi Burri ha fatto: presa in affitto una villetta vicino a Nizza, sul dirupo che scende a mare, vi si e chiuso dentro con la moglie americana Minsa Craig. La sua giomata è facile da raccontare: sveglia presto, colazione, bicicletta ed esercizi di respirazione nella minuscola palestra della casa. Dalle undici in poi, dipingere. A parte il fastidio dell’enfisema, a parte la pittura, niente ha molta importanza per Burri. Benché il visitatore venga accolto persino con amore, ogni cosa dice che Burri, per quanto è umanamente possibile, non vorrebbe veder nessuno. Cio che Bum vuole è quello che ha sempre voluto: dipingere e basta, dipingere dalla mattina alla sera. Fino al 1944 Burri non s’era sognato di darsi alia pittura. Andando a caccia di qualche segno nella sua infanzia, si trova la madre Carolina Torreggiani, maestra, che, vedendolo disegnare, e disegnare bene, in eta di dieci anni, dice: "Studia il latino, va’, che è meglio". Burri non dà per niente torto a Carolina. A che scopo frequentare un’Accademia o un Liceo artistico? Vanno all’Accademia gli studenti bocciati nelle altre materie. In che modo poi la pittura si potrebbe imparare o, peggio, insegnare? La pittura uno o ce l’ha o non ce l’ha. La pittura non c’e scuola che possa daria a chi non ce l’ha. Burri fece percio regolarmente il liceo classico, studiò medicina a Perugia e si laureò. Certi suoi amici studiavano arte all’Accademia a Firenze. Tornando a Perugia d’estate invitavano Burri a qualche "gita di pittura", cioe delle scampagnate dove ognuno por- tava colori, pennelli, ca- valletto e in mezzo ai bo- schi, nel divertimento generale, dipingeva. Di questa festosa attivita giovanile non e rimasto niente. Bum ne paria co- me di cosa quasi del tutto priva d’importanza. Come mai pero sentia- mo il bisogno di andare a cercare questi episodi lontani e, forse, insignifi- canti della vita del pitto- re? Questo e facile da spiegare. Abbiamo qui sul tavolo il Catalogo di Burri, dove e raccolto cio che Burn ha dipmto per tutta la vita. C’e qui dun- que la vera biografia del pittore, "scritta" da lui stesso e, dunque, in qual- che modo, opera di Burri essa stessa. II quadro che porta il numero 1 e "Texas" del 1945. Vi si vede un aereomotore, due alberi secchi, un recinto, in lontananza una treno che fuma. II tutto immer- so in un rosso-giallo in- female. L’ultimo quadro (a parte Ie tempere e i materiali) ha il numero 1503, si intitola "Nero", e un acrilico su cellotex ap- plicato su compensato, data 1988-89. II cronista, guardandoli, vorrebbe sa- pere come si arriva da quello a questo, attraver- so quali processi o acca- dimenti si abbandonano Ie trivelle del Texas per i neri dei nostri anni. Le risposte di Burri a queste domande sempli- cistiche, ingenue, sono semplicissime. Molto po- co gli accadimenti posso- no influenzare la pittura. Cosi come la pittura non si puo insegnare o impa- rare, allo stesso modo non si puo spiegare o rac- contare o criticare. La pit- tura non puo essere capita che con la pittura. Le ra- gioni per cui i due neri del quadro numero 1503 sono disposti e riflettono la luce in quel certo modo sono puramente pittori- che. Ragioni di equili- brio, ragioni di ritmo. Puo spiegarlo solo un criterio pittorico o plastico, no di certo biografico o crono- logico. Dal punto di vista di Burn la pittura e un’avventura plastic a del colore dove entrano cio con cui si dipinge, la ina- teria su cui si dipinge e i modi in cui la luce fa reagire materia e colore. Un nero di tutd i colori Come si potrebbe spiega- re questo con gli accadi- menti della vita? La stes- sa pretesa di legare il pri- mo quadro con 1’ultimo e paradossale, ridicola. Non esistono primi qua- dri, non esistono ultimi quadri, ma il quadro di un pittore ne vale un al- tro, poiche il pittore, qualunque cosa faccia o creda di fare, dipinge sempre lo stesso quadro. Questo quadro del ’45, numero 1, venne dipinto in America, quando Bur- ri era prigioniero degli Alleati. Gli Alleati, o semplicemente gli Ame- ricani, volevano che i prigionieri colaborasse- "ro. Bum rispose: restitui- temi libero al mio gover- no. Gli Americani non accettarono questa con- troproposta. L’8 settem- bre Burri, avendo avuto notizia di quanto era suc- cesso, si schifo del mon- do e decise di non fare piu il medico, ma il pit- tore. L’episodic e stato raccontato da Berto, che era prigioniero in Ameri- ca pure lui, e poi varia- mente smentito o negate. Si tratta invece di un epi- sodio autentico. Come il suo primo qua- dro fu subito identico all’ultimo, allo stesso mo- do il disgusto per 1’uma- wtk provato da Burri tren- tenne fu subito assoluto, violento, di forza pari al disgusto che Burri prova per 1’umanita oggi. E’ evi- dente che questo disgusto gli venne confermato di continue nel corso della vita. Ma di questa confer- ma c’era forse bisogno? Nel ’43 egli ebbe chiarissi- ) mo che razza di pelle in- dossasse 1’umanita. Nel campo, in Texas, i diecimila prigionieri era- no divisi in box. Ogni box ne ospitava quattro: quattro brandine e un ba- gno. I prigionieri riceve- vano 20 dollari al mese per Ie spese. Se qualcuno voleva dipingere, i colon li passava 1’Ymca. Burri adopero sacchetti di zucchero e farina da lui stesso preparati per fun- gere da tele. Queste tele di cotone sono riprodot- te, adesso, all’inizio del catalogo. Vi si vede il Veglione di Citta di Ca- stello, la Tombola in piazza, la Processione di Cristo morto. In una c’e la Piazza di Sopra, in un’altra due figure al- lampanate sono sedute su una panchina blu. Al campo nessuno faceva troppo caso al lavoro del prigioniero. Ma un capi- tano Gambetti di Geno- va, pittore professionista, andava da Burri e guar- dava quello che faceva. Quando per Burri arrive il momento di partire, Gambetti ando a salutar- lo e Burri<gli disse che non avrebbe fatto piu il medico, ma il pittore. Bum voleva dal profes- sionista Gambetti un pa- rere e Gambetti glielo diede: "Tu puoi fare il pittore benissimo. Anzi, ti diro di piu sara piu fa- cile per te che per me". Vi sono certe questioni che stanno intomo al fi- gurative. La gente si chiede se vi sia una dif- ferenza tra il figurative e 1’astratto. Uno passa per forza dall’uno all’altro? Non puo capitare di muoversi dall’altro all’uno? E’ corretto dire che 1’astratto o informale e uno sviluppo del figu- rative? La risposta a que- ste domande e ovvia. E’ del tutto insignificante dipingere figurativo o astratto, e assurdo giudi- care un pittore attaccan- dosi al fatto che e figura- tivo piuttosto che astrat- to. Anche se sara bene che il pittore all’inizio dipinga piuttosto figura- tivo. Tuttavia cio che conta non e 1’oggetto rappresentato (che non esiste), ma la pittura con- tenuta nel quadro. Si, ab- biamo conosciuto certi pittori che facevano 1’astratto o informale per darsi un tono, per sem- brare modern i. Ma per- che occuparsi di loro? Burri ha grande stima di Bacon, che e un figurati- ve. La distinzione forma- le-informale, in definiti- va, non esiste. Vi sono lavori di Burn, ad esempio certe tempere che nel catalogo stanno a pagina 349, dove vivono insieme figurative e astratto. Nel numero 1511 si vede Taormina, una vela gialla sull’acqua celeste, intomo una natu- ra di un celeste piu mor- bido, in basso delle linee bianche che formano quadrati e rettangoli, ele- menti astratti. Finita la guerra e toma- to a casa, Burri diede 1’annuncio della sua de- cisione di non fare il me- dico, ma il pittore. Que- sto fu vissuto in casa co- me una rovina. I Burri non avevano avuto che due figli e li avevano fat- ti laureare in medicina tutti e due. Uno di questi due figli era morto sul Don con la Julia. L’altro era tomato vivo, ma de- ciso a rinunciare a quello per cui la famiglia s’era sacrificata. Bum dipingeva a Citta di Castello, in via Plinio il Giovane 8, e un giomo passa a trovarlo un Rossi, gia studente dell’Accade- mia, e ora rappresentante di libri per la Utet. Que- sto Rossi vede i quadri di Burn e dice subito che deve assolutamente parte- cipare al concorso Citta di Perugia. Gli porta via in effetti, a questo scopo, un olio quasi informale, "La pesca a Fano". Con questo olio. Bum arriva secondo, dopo Mafai e insieme a Nativi e a Brin- disi. Qualche tempo dopo, Bum si trasferisce a Ro- ma, in casa di un cugino della madre, violinista e compositore di professio- ne, di nome Annibale Bucchi. II cugino abitava in Prati. Bum viene aiuta- to, da questo cugino e da altri, a organizzare una mostra alia Galleria La Margherita. C’e il fatto che per questa mostra ci vorrebbe un catalogo, ba- sterebbe un cataloghino, pero con qualche firma di peso, che segnalasse 1’in- teresse per il giovane arti- sta. Vengono contattati due letterati, Libero De Libero e Leonardo Sini- sgalli. De Libero e Sini- sgalli non se la sentono di giudicare e portano Peri- cle Fazzini a vedere i quadri di Burri, perche dica di che si tratta e li tranquillizzi sul fatto che a scrivere il catalogo non perderanno la faccia. Faz- zini guarda i quadri e di- ce: "Ma certo che e un ar- tista, non lo vedete che e un artista?". C’e questo risentimento che Bum ha nei confronti dell’umanita, risentimen- to esploso in forma asso- luta 1’8 settembre. Tutto ci6che accade dopo quel- la data conferma 1’artista nella sua opinione intor- no all’umanita, cioe nella sna convinzione della pochezza umana, lo rafforza nel suo disprez- zo. Ancora oggi si puo sentire Burri affermare: il peggio e cio che acca- dra domani. Burri ag- giunge anche: sono con- tento di morire. Queste frasi e certi episodi che Ie giustificano, episodi che nessuno e autorizza- to a riferire (nessuno, ri- ferendosi a Burri, e auto- rizzato a mettere qualco- sa tra virgolette), sono accompagnati da risate geometriche, in cui la lettera "a" esplode per tutto la stanza col fragore di una bomba. C’e qual- che rapporto tra questo sdegno nei confronti del mondo e la pittura di Burri? Ma per carita. Succede piuttosto que- sto. Che non solo Burri k un grandissimo pittore, ma che ha perfettamente coscienza di esserlo. Questa coscienza, coniu- gata con 1’opinione che egli ha del mondo, pro- duce la solitudine di Bur- ri, la sua rabbia, la sua amarezza ridanciana. Che cosa vede Burri quando toma dalla guer- ra e negli anni successi- vi, senza essere mai smentito, ma anzi essen- do perennemente confer- mato nelle sue previsioni peggiori? Vede un mon- do di arraffoni e di porta- borse, di praticoni e di mercanti, gente che pen- sa a far soldi o a far car- riera, che della pittura o dell’arte se ne fotte, che scrive bene di questo e male di quello in base a certi calcoli, convenien- ze, affari, favori resi o quadri regalati, cattedre, commissioni, gruppi e camarille. Gente che ru- ba, gente che copia. Smontata la mostra alia Margherita risulto che il quadro con Ie due figure allampanate era stato preso senza chiedere il permesso ("questo me lo prendo io"). Piu tardi si capi che Ie borse di stu- dio per Parigi destinate ai giovani pittori erano vinte sempre dagli stessi tre o quattro, che fre- quentavano i giri giusti, vedevano Ie persone giu- ste. Piu tardi ancora, par- tecipando a una mostra dell’Art Club, Burri vide che un suo quadro di due metri e mezzo era stato messo su un sopraporta, al termine di una scala, la luce non lo illuminava, nessuno poteva vederlo. Piu tardi ancora un pitto- re americano, di nome Rauschenberg, venne a trovarlo in via Margutta dove Burri aveva adesso lo studio (era un Burri affermato, siamo nel ’53, Carolina s’era tranquil- lizzata vedendo che il fi- glio aveva abbastanza soldi da comprare la cap- pella al cimitero per tutta la famiglia). Rauschen- berg non parlava italiano e Burn non parlava in- glese. Alle pareti erano appesi tre quadri, nel Catalogo indicati con i numeri 114, 116 e 117, e intitolati "Grande Sacco" (numeri 114 e 11 7) e "Grande Bianco" (nume- roll6). Bum era infatti diven- tato famoso per via dei Sacchi, anzi ancora oggi, tra la gente comune, Bur- ri viene indicato, e cono- sciuto, come "quello che fa i Sacchi". Natural- mente sul significato dei Sacchi si sono scritte pa- gine e pagine, roba in gran parte del tutto inuti- le, in cui si sostiene fra 1’altro soprattutto questa tesi: che i Sacchi - materia povera, materia lacerata - sono il simbolo del dolore dell’uomo, della sofferen- za dell’umanita. E che dunque in qualche modo Bum, lavorando sulle ma- terie povere (i Sacchi pri- ma e poi i Legni, i Fern, il Cellotex) avrebbe com- piuto un atto di carita, lan- ciato un grido di dolore. Quanto queste inteipreta- zioni stiano in piedi lo di- ce questo semplice fatto, che in una "Composizio- ne" del 1949, insieme al rosso, al bianco, al cele- ste, stanno due pezzetti di sacco. Che cosa significa- no questi due pezzetti di sacco in un’opera che "Sacco" non e? Vogliono dire che Burri arriva al sacco, adopera il sacco non per fare discorsi o metafore, ma perche il contenuto pittorico del sacco in quel certo conte- sto e alto. Percio i Sacchi non sono che "awenture plastiche", come tutto il resto che Burri lavora e combina (o taglia o mac- chia) secondo i soliti equi- libri, i ritmi che sente den- tro. Tutti gli altri discorsi relativi a un presunto va- lore metaforico della ma- teria non sono che lettera- tura, letteratura pura e semplice, letteratura che qualche volta si puo ac- cettare come parallela all’opera, cioe come altra opera, ma che non e, non puo essere, in nessun rap- porto reale col quadro. Mettiamo, Duchamp che espone un cesso o mette i baffi alia "Gioconda" che cos’e? Letteratura, letteratura pura e sempli- ce, provocazione che non ha niente a che vedere con la pittura o Ie arti fi- gurative, fregnaccia che ha fatto perdere tempo a un sacco di gente che gli e andata dietro credendo di trovare chissa che. Appesi alia parete, nel 1953, c’erano questi tre quadri, i numeri 114, 116 e 117 del Catalogo. Rau- schenberg li guardava senza dire niente. Aveva portato a Burri una sua opera di quel momento, cioe una scatoletta piena di sabbia con dentro una mosca morta. Burri, data un’occhiata all’opera dell’americano, 1’aveva messa su un tavolo. L’americano guardo, ando via, poi torno a guardare un’altra volta e infine riparti per il suo paese. Fino a quel me- mento Rauschenberg in- sieme a Jasper Johns e Andy Warhol allestiva Ie vetrine della Quinta stra- da. C’e qualche pittore che Burri ama? Pochi, po- chissimi. E quanto al pas- sato, pronunceremo il no- me di Picasso, il piu gran- de, il piu grande di tutti. Che cosa si deve guardare nel quadro? Si deve guar- dare anche il peso del co- lore. Vi sono quadri che paiono carta velina, figu- rette, pochezze. E vi sono quadri pesanti, ricchi, del cui colore non ci si puo li- berare. Vi fu un momento della vita di Burri in cui Burri diffidava perfino di RafFaello e della sua ma- niera. Diffidenza di cui si libero solo quando vide Raffaello da vicino, in ispecie la "Scuola di Ate- ne". Guardandolo da vici- no ebbe questa sensazio- ne, di un uomo nato per dipingere, di un uomo che trovasse la felicita solo nel dipingere (nel descri- vere questa immaginaria felicita di Raffaello Burri si fa tutto rosso in viso, gli occhi luccicano, col brac- cio destro fa dei grandi gesti orizzontali da destra verso sinistra e da sinistra verso destra, come forse fece effettivamente Raf- faello dipingendo la "Scuola diAtene"). Ma, per quel che ri- guarda Rauschenberg, accadde questo. Che qualche tempo dopo Bur- ri, camminando per piaz- za San Silvestro incontro il pittore Dorazio, il qua- le tutto allegro gli disse: "Hai visto Rauschen- berg, 1’americano? Ha fatto una mostra e sem- brano tutti quadri tuoi!". Burri intanto trovava occasioni pittoriche nei luoghi piu impensati. Si puo facilmente scrivere una lista ordinata di que- sti luoghi o materiali di Burri: i Neri, Ie Muffe, i Sacchi, i Legni, i Ferri, Ie Plastiche, i Cretti, il Cellotex. Per quello che riguarda i Neri, per sei anni Burri aveva dipinto senza adoperare il nero, vittima del pregiudizio impressionista secondo cui il nero non e un colo- re e va evitato e anche col bianco e meglio ave- re un atteggiamento cir- cospetto, dato che il bianco sfianca il colore. Ma a un certo punto Bur- ri, che quando schiaccia i tubetti e vede uscir fuori i rossi, i blu, i verdi sente un’emozione violenta, gli viene la voglia di metterseli in bocca e mangiarseli, a un certo punto Bum si mette a la- vorare col nero, il cosid- detto non-colore. Uno di questi Neri, il "Nero ca- trame" del 1950 (al cata- logo numero 1826) e ot- tenuto con catrame, olio e pietra pomice su tela. Ci fu una mostra all’Obelisco nel ’50 e quello fu 1’unico quadro venduto, se lo pre- se Dado Ruspoli, adesso ce 1’ha in casa Leone Pic- cioni. Questo Nero ha un con- tenuto morale, si riferi- sce all’opinione che Bur- ri ha del mondo? Ma no. Andando ogni tanto nelle case di personaggi famo- si, Burri vede messi in- sieme qualche quadro suo, qualche quadro di pittori che non stima, qualche Balla futurista che risulta un po’ strano, un po’ inspiegabile, quando subito dopo la guerra si voile organizza- re una mostra del Balla futurista in casa del Col- la non si trovarono che dodici tele, Ie videro tut- ti, Balla stesso era feli- cissimo. Com’e che vent’anni dopo, trent’an- ni dopo si trovano decine di Balla futuristi, da dove son saltati fuori, chi li aveva in cantina prima? In America, dove passa 1’inverno per evitare il freddo di Citta di Castel- lo, Burri vive in una casa isolata, dove non incon- tra nessuno. Eppure Hol- lywood e a un passo. Di tanto in tanto con la jeep va a vedere il New Mexi- co, 1’Arizona, la Valle della Morte, lo Utah. Po- sti ancora piu solitari di lui. Se Burri fosse stato un po’ meno solitario, se avesse un po’ piu fre- quentato, forse il mondo gli sarebbe parso meno duro, meno offensive. Non gli venne offerta, a un certo punto, la catte- dra a Philadelphia? Vedi che risposta diede Burri, la solita (con la risata): e come si potrebbe inse- gnare? e a chi? Lui stes- so consiglio di rivolgersi a un bravo giovane, Do- razio. Dunque come me- ravigliarsi se a un certo punto 56 senatori (primo firmatario Merzagora) protestarono con una mozione in Parlamento chiedendo conto di un presunto acquisto di un Burri da parte della Gal- leria Nazionale d’Arte modema? E che dire del "Time Magazine" che scrisse a proposito della mostra di Palazzo Grassi che era stato facile orga- nizzare una mostra dell’arte italiana dato che in Italia, dopo Bernini, non era piu nato nessun artista? Mentre organiz- zare, putacaso, una mo- stra dell’arte americana sarebbe stato complicato parecchio, con quel po’ po’ di nomi che si ritro- vano gli americani, a co- minciare dal celebre Rauschenberg. Burri scrisse a "Time Magazi- ne" - una volta tanto - e "Time Magazine" non gli pubblic6 la lettera, ma rispose a lui perso- nalmente. Burri lavora adesso con i colori e con il cellotex. Sono in preparazione due mostre, che si terranno, nei prossimi anni. Una ad Atene dove Burri esporra opere sue piene di colori, soprattutto ros- so, nero e blu, e dove ri- costruira il "Teatro conti- nuo", 22 metri per 6, che a Milano buttarono giu con la scusa che era peri- colante (ma, in realta, per farci un laghetto per i cigni dice Burri). Poi ci sara la mostra a Praga dove Burri presentera un cicio di nove quadri inti- tolato "Metamorfotex" e che e un omaggio a Kafka. Qui Burri ha co- struito otto spazi di cel- lotex (un materiale che viene adoperato per iso- lare acusticamente gli ambienti, non si tratta in definitiva che di segatura compressa) che da un quadro all’altro diventa- no neri, finche nell’ulti- mo quadro la meta- morfbsi e compiuta e tut- ti gli otto spazi sono neri, neri su nero. Mentre mi mostra i bozzetti, mi porge anche - ridendo con il suo esplosivo "a, a" - 1’ulti- ma edizione del Diziona- rio Larousse dove la vo- ce "Burri Alberto, pitto- re" non appare piu. Giorgio Dell’Arti