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 2008  febbraio 23 Sabato calendario

”UNA VITA AL CINE"

Tuttolibri 23 febbraio 2008.
Ultimi film visti? «Tutti quelli in circolazione». Tutti? «Non ne salto nemmeno una delle nuove pellicole: al cinema ci vado tutti i giorni, spettacolo delle ore 18. Poi esco a metà».Ametà? «Si, spesso mi annoio, sono imitazioni, epigoni, poco originali. Anzi proprio ”me scocciano”», commenta il prof Mario Verdone. Non lesina sull’accento
romanesco, il dinamico docente piemontese, nato ad Alessandria, cresciuto a Siena, anni 91. Verdone, oggi capostipite di una illustre discendenza cinematografica da Luca al notissimo Carlo passando per Christian De Sica, suo genero, alla sua veneranda età è la
presenza sicuramente più sbarazzina del numeroso parentado. Assai poco patriarca, molto avanguardista nonché pecora un po’ nera e birichina dell’aggregato famigliare, si diverte ad andare in controtendenza. «Non mi chieda cosa ne penso del film di Natale di
Christian o se è meglio o peggio di Una moglie bellissima di Pieraccioni», dice ridendo. «E’ conflitto d’interessi. Io in generale sono contro gli incassi, per la ricerca», ribadisce tra il serio e il faceto il bastian contrario di un nucleo tanto beneficato dal botteghino.
Padre fondatore della critica cinematografica italiana, studioso tra i più noti a livello internazionale della trasgressione futurista, dai dissacratori del Novecento ha ereditato il gusto dell’erudizione e del gesto provocatore. Nella sua casa romana sfoggia una lunga fila di scaffali con migliaia di tomi (testi pregiati o molto particolari sulla cultura circense, sulla letteratura armena, indiana, giapponese e così via) alternati a quadri d’autore. Solo i volumi firmati dallo stesso Verdone sono circa 200, tra saggi, racconti e poesie,
compresa una raccolta di Haiku, versi alla maniera dei poeti del Sol levante (con
un’introduzione del segretario del Pd, Walter Veltroni, che vi ha riconosciuto dei «fiammiferi accesi nel vento delle nostre bufere»). L’infaticabile studioso è una fucina: sono usciti di recente, Girandola romana (Edilazio editore), sulla cultura romana, e un intervento sul futurismo armeno in Odi armene di Elise Ciarenz (Ibiskos Ulivieri).
I giganti dello schermo li ha conosciuti tutti, da De Sica a Rossellini, Cesare Zavattini, Luchino Visconti, Renè Clair, Marcel Carnè, Charlie Chaplin, Federico Fellini, Abbas Kiarostami (foto con il prof a Cannes)... I seguaci di Marinetti, che volevano distruggere Venezia, i loro autori cult li avevano: a quale cineasta e film il voto più alto nel suo attuale diario di spettacolo e di lettura? «Non mi ha convinto il celebratissimo Irina Palm con Marianne Faithfull. Anzi, è così scabroso che mi ha infastidito. Sono per l’auto censura quando si tratta di esibizioni erotiche fini a se stesse».
Nanni Moretti? «Un autore medio, diciamoci la verità. Però mi ha fatto tanto piacere che prendesse per i fondelli Berlusconi nel Caimano».
Ci sarà un film che non merita lo schiaffo futurista? «Certo: Across the Universe di Julie Taymor:sui Beatles raccontato dagli ex ragazzi di Liverpool con uno sguardo al passato. E’ girato con piglio moderno: da videoclip ma con eleganza e sicurezza professionale (Verdone portò Carlo al cinema Adriano a Roma, a sentire i ragazzi in tournè e con i basettoni e la chitarra, dicendogli: «Questo è un avvenimento che farà storia»,ndr). Across l’ho consigliato anche a Carlo. Un prodotto doc. Quando con mio figlio parliamo tanto di cinema italiano ci viene da ridere: ”Mache è ”sta roba?”, così ogni tanto ci
siinterroga». Guardiamo al passato? Vittorio De Sica? Lei è stato un appassionato sostenitore del neorealismo. «Eccome. Alla prima di Ladri di biciclette c’era il deserto assoluto. La sala del Metropolitan di Roma,vuota. Io ero segretario del circolo romano del cinema. Con Cesare Zavattini, il presidente, gli organizzammo una visione al ci-
nema Barberini. Alla fine gli dissi: ”Maestro quant’è bello ”sto film”. E lui con la sua voce speciale (il prof la imita benissimo): ”Ci ho messo un po’ di bontà”. Poi riuscimmo a combinare una proiezione a Parigi e da lì ebbe inizio il successo internazionale».
Prime letture che ricorda? «Sono passato direttamente dal giornalino L’intrepido a Salgari a Federigo Tozzi e poi a FilippoTommaso Marinetti. Ho studiato a Siena, sono diven-
tato assistente volontario di Norberto Bobbio. Con lui mi ero laureato con una tesi sul ”Pensiero politico di Giuseppe Mazzini”. Ero appassionato di Proust, Joyce, Baudelaire. Quando arrivò l’autarchia anche in campo culturale, scrissi un articolo rovente per il
giornaletto del Guf di Siena. Gli squadristi non me lo perdonarono. A 18 anni conobbi Marinetti». Complice un libro? «No. Il vino. Avevo l’incarico di vice addetto stampa della Mostra nazionale dei vini tipici. In quell’occasione mi capitò di incontrare il massimo poeta futurista che mi folgorò». In che modo? «Marinetti mi sollecitava: ”Organizziamo un concorso di poesia bacchico-amoroso-guerriero”. Capii subito che la vera novità era il futurismo. Le uscite con questi scrittori erano delle vere avventure. Mi ricordo anche le liriche che declamavano durante la cena».
Un assaggio? «Lorenzo Viani si sbilanciava in versi che all’epoca non venivano giudicati
razzisti: ”Noi siamo cristiani / ma il vino lo vogliamo ebreo / non battezzato sull’orlo del pozzale”. E Farfa lo rimbeccava ”Veni / vidi / viti”. Altro che quello che asseriva Giulio Carlo Argan, convinto che il futurismo fosse defunto nel 1918. Alla metà degli Anni Trenta era vivissimo. Nel 1941 pubblico Città dell’Uomo, il mio primo volume di prose
liriche. Con i libri dei futuristi inizio anche la mia collezione di libri rari». Tomi di questa ricca esposizione che ha fatto leggere in famiglia? «Mah...Christian (DeSica) non mi ha
mai chiesto consigli di lettura. Gli ho regalato delle stampe, documenti, un quadro...Carlo ha scritto Naso a patata però...non è gente della mia stessa pasta a cui piace leggere...Carlo andava matto per il cinema. Ai miei tre figli, Luca, Carlo, Silvia, una volta ho regalato il mio racconto Sapientaccio. Più tardi ho chiesto loro: ”Che ve ne pare?”.
Non l’avevano nemmeno aperto. Poi, però, constatata la mia delusione, dal momento che sono dei bravi figli, hanno rimediato e hanno affrontato l’ardua fatica».
Viceversa? Le opere della prole, le va a vedere? «Certo. E se non mi convincono gli fac-
cio un gesto con la mano (mima una cornetta telefonica): ”Carlè, se telefonemo”».
E lui? «Deglutisce. Gli va di traverso. Pensi che quando insegnavo cinema, l’ho pure
bocciato all’esame. Parlava del cinema espressionista e non sapeva un’acca. Davanti a un’aula stracolma mi dice: ”Ma che fai, papà, mi bocci?”. E io: ”Ma che papà, mi dia del lei”». Libri particolari che ha sempre considerato fondamentali per gli studenti?
«Magari mi avessero sempre ascoltato, i miei studenti. Il più antipatico? Era lo scrittore Gabriel Garcìa Màrquez. Al Centro sperimentale di cinematografia detestava tutti gli insegnanti. Non gli interessava niente. Non faceva altro che scappare e andare a vedere i film che si stavano girando a Cinecittà. Insieme all’argentino Fernando Birri fonderà, sul
nostro esempio, la Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di San Antonio de los Banos, vicino all’Avana. Mi invitò all’inaugurazione». C’era pure Fidel? Scambi culturali?
«Tanti. Ho improvvisato un discorso in spagnolo. Castro era entusiasta. L’unico
italiano però era Gian Maria Volontè. Vado a salutarlo. Lui non mi degna di una risposta. Poi torno al mio posto che era a fianco del piccolo trono eretto per il lìder màximo. Quando Volontè si accorge che ero tra gli ospiti d’onore mi si avvicina e mi chiede: ”Ma lei è il padre di Carlo?”». Amicizie stimolate dalla sua passione di bibliofilo?
«Con Chaplin. Io sono sempre stato uno studioso del mondo del circo. In quanto
vice direttore del Centro sperimentale di cinematografia lo vado a prendere all’ae-
roporto. Lui vede spuntare dalla mia giacca questo delizioso tomo del 1923: Histoire de trois clowns. ”Che meraviglia”, mi dice anche lui appassionato di circo. ”Ci metto la mia firma”. A Federico Fellini piaceva curiosare trai miei scaffali. Vede questo volumetto con la firma di Chaplin in prima pagina. ”Ci metto pure la mia”, mi dice». Ultime letture?
«Dopo tanti classici oggi mi dedico ai Saggi di Montaigne. Due paginette ogni sera. Alla mia età sento di avere poco tempo. Oggi ci sono, domani chissà... Devo badare all’essenziale».
Mirella Serri