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 2008  febbraio 24 Domenica calendario

POLITICI PI CONCRETI

La Repubblica 24 febbraio 2008.
Come paese, siamo stretti fra un presente antipatico e un futuro (forse lontano) un po´ migliore. Per stare al presente, in questo momento l´Italia vive una realtà deludente e preoccupante (un anno di crescita di fatto uguale a zero, dopo le buone performance del 2006 e del 2007), più una serie di problemi terribili: dalla immondizia di Napoli alla buste paga che si rivelano di mese in mese sempre più insufficienti.
La speranza (il futuro migliore) è che forse è cominciata la semplificazione della politica. Dico forse perché bisognerà vedere se la fantasia dei nostri politici saprà trovare un trucco o se si farà davvero questa semplificazione (anche il finanziamento pubblico era stato abolito a mezzo referendum, ma i soldi pubblici continuano a andare, copiosi, alla politica). Inoltre, quello che serve è non solo una semplificazione della politica, ma anche un suo arretramento. Oggi, la politica è ovunque. Se esci dal ristorante, inciampi e ti rompi un piede, il medico che poi ti curerà non è detto che sia il più bravo: magari (anzi, quasi certamente) è solo il più raccomandato dal boss politico della zona. La stessa cosa si può dire del professore universitario che dovrebbe fare di tuo figlio un bravo ingegnere, un medico o un commercialista. Siamo proprio sfortunati?
In questi giorni mi è capitato fra le mani un report di Goldman Sachs sulla Spagna, un paese a noi vicino, un po´ più piccolo del nostro (solo 45 milioni di abitanti) e che siamo abituati a considerare un po´ più indietro di noi. Ebbene, la tabella delle sue performance è impressionante. A partire dal 1996 la sua crescita media annuale è stata sopra il 3,5 per cento. E ci sono previsioni (di Bruxelles) che parlano di una crescita sopra il 4 per cento nel 2010. Sempre dal 1996 in avanti sono stati creati milioni e milioni di posti di lavoro, e l´occupazione è cresciuta in media del 4 per cento all´anno.
Ma il dato più impressionante (soprattutto pensando alla nostra triste situazione) è quello relativo al debito pubblico. Nel 2000 la Spagna aveva un debito pubblico accumulato pari al 66 per cento del Pil. Adesso lo ha ridotto al 36 per cento e entro il 2010 andrà probabilmente sotto il 30 per cento. E questo nonostante un indebitamento intorno al 60 per cento del Pil sia accettato da Bruxelles. Gli spagnoli, insomma, hanno voluto fare di più.
E tutto questo è avvenuto senza obbligare gli spagnoli a tirare la cinghia e senza deprimere l´economia, che infatti è andata quattro o cinque volte più forte della nostra.
Ho chiesto a vari amici economisti come sia stato possibile questo "miracolo". E ognuno mi ha fornito la sua spiegazione: è un paese ancora giovane, è un paese che ha saputo far buon uso degli aiuti di Bruxelles, è un paese ben amministrato e che ha saputo fare le scelte giuste, ha aziende piccole, ma brave, ecc. Tutte cose vere.
Ma, alla fine, uno mi ha detto quello che considero il cuore del problema: "Hanno avuto una classe politica meno avida e meno pasticcione della nostra".
E poi ha aggiunto qualche spiegazione. Anche noi, mi ha detto, negli anni Settanta avevamo il 30 per cento di debiti sul Pil. E il paese funzionava benissimo. Poi siamo saliti fino al 125 per cento. Ma questo mica a fronte di una rivoluzione infrastrutturale (case, porti, ospedali, scuole, ecc.) o di altro. No, niente di tutto questo. Tutti quei soldi sono stati spesi in clientelismo e in cose superflue (ormai abbiamo un´università, scadente, quasi in ogni paesino). Tutti quei soldi, cioè, sono stati spesi da una classe politica avida (quanti amici hanno trovato un impiego pubblico in quegli anni?) e pasticciona.
Il 125 per cento di debito pubblico accumulato è stato poi ridotto di quindici- venti punti grazie all´ingresso nell´euro (cosa per cui non saremo mai abbastanza riconoscenti a Ciampi e Prodi). Ma da allora il nostro debito pubblico se ne sta lì, saldamente sopra il 100 per cento del Pil e ci costa 70 miliardi di euro di interessi all´anno. Tutti promettono di farlo scendere, ma alla fine si sposta, in su (è accaduto anche questo) o in giù, di pochissimo. La Spagna, invece, in poco più di cinque anni lo ha dimezzato. E prosegue lungo questa strada.
La differenza fra noi e loro? Certo, in cifre assolute la Spagna aveva un debito molto più piccolo del nostro, ma noi siamo anche un paese più grande (e quindi abbiamo spese più corpose da tagliare).
In realtà, se ci si pensa, l´unica, vera differenza sta nella qualità della classe politica. Più modesta (nel senso delle pretese), più concreta, più abituata a presentare risultati, quella spagnola. Noi, invece, abbiamo una classe politica di grandi ambizioni, affollatissima, che ha messo le mani ovunque, costosissima, e, in genere, dai risultati molto modesti perché stordita e frenata dalle clientele che essa stessa ha messo in piedi e dalla necessità di grandi somme per tenere in piedi le proprie "macchine" politiche.
Che cosa proporre? Un pellegrinaggio collettivo al santuario di Santiago di Compostela per i nostri politici? Magari a piedi, come si usava nel Medioevo.
GIUSEPPE TURANI