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 2008  febbraio 24 Domenica calendario

Lunga vita all´omino di gomma. La Repubblica 24 febbraio 2008. L´omino Michelin abita dentro al perpetuo buonumore delle discese

Lunga vita all´omino di gomma. La Repubblica 24 febbraio 2008. L´omino Michelin abita dentro al perpetuo buonumore delle discese. Fa della strada un gioco senza ostacoli. Della vita un rettilineo, con la polvere che fila via lungo le traiettorie della velocità. L´omino Michelin è il primo desiderio declinato in tre dimensioni, come la vita vera, quando ancora le sciantose colorate da Honoré Daumier, a Parigi, e da Marcello Dudovich, a Milano, erano superfici di carta e onde dello sguardo, inafferrabili, come l´effervescenza delle acque di Vichy, sulle quali galleggiavano. L´omino Michelin è il prototipo di tutti i desideri a seguire, che ci faranno consumare senza mai consumarsi. Proponendoci favole perpetue. Identità portatili. Stupori seriali & acquisti. La sua banale eternità ne ha fatto, secondo il Financial Times, il miglior logo del secolo, il punto di perfetta rotondità lungo il quale l´oggetto evolve a immagine, l´immagine a racconto, il racconto a ricordo. La sua efficacia rispetta tutte le teorie della pubblicità sebbene le preceda di almeno tre decine d´anni, a partire da quel primo manuale di Daniel Stach (Usa, 1925) che fissa le cinque regole di ogni messaggio in una sequenza senza fronzoli: essere visto, capito, creduto, ricordato, desiderato. Declinandola con l´intuizione di una sesta regola che è poi il fondale di tutte le altre, e che riguarda l´infanzia, il gioco, la sollecitazione a quel sottosuolo emotivo che fa di ogni consumatore un bimbo, di ogni oggetto una favola da dondolarsi nello sguardo e un pollice da succhiare. L´Italia degli anni Cinquanta, e successivi, ha avuto più pollici da succhiare di ogni altro Paese. Per gentile tutela della politica, religiosamente incline alla pedagogia, da esercitare specialmente dentro alla lentissima pubertà del suo specchio televisivo. Pupazzi di uomini e animali, draghi gentili e femmine di gommapiuma, hanno abitato il nostro Miracolo Economico, che in mezzo al nero della cronaca e al fragore delle catene di montaggio a cottimo, sbiancava i primi passi del neonato italiano medio, ancora impreciso a muoversi su ruote, ma presto esperto di tinelli a rate e detersivi, di plastiche Moplen, creme solari, formaggini. Mucche che danzano e ippopotami blu. Pulcini vagabondi. Pirati buoni e vigili urbani molto cattivi. Condor in picchiata, zanzare sterminate da un sortilegio e uomini con cravatta imprigionati in una lavatrice, ma fischiettando jazz. Ripensata in sequenza quella stagione pubblicitaria italiana - il Carosello di perpetua memoria, 1957-1977, quattro réclame da due minuti e quindici secondi ciascuna - è un grande racconto allucinato, con effetti anche esilaranti, dilagato a cascata da un non trascurabile (e italico) veto legislativo. Il quale proibiva che il nome del prodotto reclamizzato comparisse nel racconto principale, i due minuti di intrattenimento, ma trapelasse solo alla fine, nei quindici secondi del cosiddetto codino, con esiti di clamorosa illogicità, ma anche per questo memorabili, per l´astrusa fatica di riuscire a collegare un pistolero innamorato a un caffè espresso, i cavalieri di Re Artù a un biscotto ripieno, un toro pasticcione da corrida a un cono di gelato con ciliegie e panna.  in quell´improvviso straniamento del racconto il segreto che custodisce la sua memoria. Pupazzi incongrui che diventano prodotti d´uso comune. Che evolvono la propria storia senza intaccare la loro risonanza consumistica. Proprio come l´omino Michelin che da più di un secolo fa correre nuovi radiali sulla multipla promessa degli esordi: essere morbidi, essere sicuri, essere veloci. Quelli della più celebre stagione italiana sono racconti istantanei. Illuminazioni. Il loro effetto sul pubblico risulta clamoroso. Carosello diventa per due decenni il principale appuntamento televisivo - dai sei milioni dell´inizio, ai diciannove delle ultime stagioni - e il volano di centinaia di prodotti che arredano l´Italia dei condomini rateizzati e del weekend. Dietro ai suoi sipari, disegnati da Ninetta Vespignani, si allestisce l´altare del nuovissimo consumismo, ma con giudizio, e poi anche si tramanda lo scrigno delle vecchie fiabe da raccontare prima della nanna. Perché poi sono i bambini la trincea da espugnare per muoversi alla conquista degli adulti. La soglia su cui assestarsi. Per dispiegare il catalogo del vivere moderno: dalle nuove colazioni all´alba, con famiglie incellophanate, al brandy serale, con il camino acceso e l´atmosfera, dopo serene giornate passate a lucidare pavimenti, a lubrificare l´automobile, a preparare cene col doppio brodo, indossando calze di seta, bevendo digestivi, deodorando bagni.  Calimero - con dolce lavandaia nel finale: «Tu non sei nero, sei solo sporco» - il minuscolo eroe di quella stagione di incantevoli lavaggi. Lo disegna Nino Pagot che ai tempi raccontò: «Che cosa attira l´attenzione delle donne? I bambini e gli animali. Il prototipo del bambino indifeso è il pulcino. Se lo facciamo triste e disgraziato suscita maggiori simpatie. Se lo facciamo nero introduciamo l´idea che bisogna pulirlo. Se lo facciamo protestare assecondiamo uno dei più antichi vezzi degli italiani. Se gli facciamo combinare tanti guai gli togliamo il carattere troppo dolciastro. Così è nato Calimero». Celebrato più di tutti. In compagnia di quei due barattoli rovesciati su cui Armando Testa applica un paio di baffi e una treccia per farne Caballero e Carmencita, amanti della Pampa, con avventure d´epica western e amore sbrigativo: «Bambina sei già mia, chiudi il gas e vieni via». E di quell´altro capolavoro di immaginazione minimalista, La Linea, l´omino disegnato in bianco su fondo nero da Osvaldo Cavandoli, che cammina lungo il rettilineo della vita, sempre evitandone l´abisso. E borbottando, grattandosi la testa, elaborando pensieri. Solitario, anonimo, irascibile, ma innocuo, con direzione incorporata, come fanno i pedoni di quella folla seriale che ogni giorno allaga l´ora di punta delle nuove metropoli, tutti in marcia, superando ostacoli, sfuggendo all´indistinto buio, verso l´approdo illuminato della casa. Celebrità arcaiche, riviste oggi. Graffiti tatuati su pellicole 35 millimetri. Reperti. Cancellati dalla velocità istantanea dell´era digitale. Che ha moltiplicato per mille i canali televisivi, gli schermi, le risonanze, e per diecimila i messaggi emessi, ventiquattro ore al giorno, in un bagliore costante di luci, di suoni e di significati: il flusso che ci imprigiona. Nel flusso si appannano le storie. I marchi non hanno più tanto bisogno di intrecci narrativi, ma sempre più di memoria, di lampi da non dimenticare. Di colpi di scena, di location fantasmagoriche, di invenzioni computerizzate. Purché istantanee, capaci di emergere dal flusso. Tutto semplificando fino alla tautologia del marchio, come insegna la Moda - vera regina di superfici profonde - che diventa identità e racconto, alfabeto esplicito e implicita emozione. Le griffe non sanno che farsene dei pupazzi in plastica, usano direttamente la disponibilità di quelli veri, plasmando, di stagione in stagione, il corpo e il cuore dei clienti. La loro fame di identità rinnovabili. Un jeans strappato contiene il necessario a mostrare un carattere. O a rafforzarne il suo racconto immaginario. Il desiderio ha il suo profumo sotto vetro. E seta sulla pelle. Il successo cammina sui tacchi a spillo. La fedeltà è lana pregiata a doppio filo. La tenerezza è calze colorate. Il mistero un´esclusiva degli occhiali in nero e oro. Nel nuovo mondo dei messaggi perpetui siamo diventati noi lo schermo e il supporto, gli incantatori e gli incantati. Tutti esibiti per esibizionismo, con cartellino incorporato. PINO CORRIAS