La Stampa 22 febbraio 2008, MARIO BAUDINO, 22 febbraio 2008
La bottega di Piano. La Stampa 22 febbraio 2008. Quindici anni fa Renzo Piano ebbe una «crisi mistica», che si verificò, come d’obbligo, in un luogo sacro
La bottega di Piano. La Stampa 22 febbraio 2008. Quindici anni fa Renzo Piano ebbe una «crisi mistica», che si verificò, come d’obbligo, in un luogo sacro. Stava partecipando a un conferenza internazionale nel tempio di Issé, in Giappone, quando gli spiegarono che quell’edificio veniva ricostruito integralmente ogni vent’anni, esattamente uguale a com’era prima, da due millenni. Al di là del fatto che ora ci scherza un po’ su, capì una cosa molto laica: che quella era una «scuola del fare». Ci si entrava giovani, e fino ai quarant’anni si imparava «a rifare il tempio». Dopo, per altri venti, lo si rifaceva davvero; infine, dai sessanta in poi, si restava lì per insegnare agli altri. «E’ una metafora della vita», ci dice nella sua casa ufficio di Genova, a picco sul mare di Punta Nave, dove si stanno dando gli ultimi ritocchi all’edificio della Fondazione da lui voluta e che porta il suo nome. A Issé capì che insegnare è un dovere. E cercando la risposta trovò qualcosa di molto italiano, anzi «l’eredità italiana di cui sono particolarmente fiero: la bottega». La bottega come «arte dell’esempio», luogo dove si tramanda il sapere tecnico ma anche un’idea di cultura e un’idea di fare; il luogo umanistico dell’arte e della tekne. «Chi l’ha detto, che solo l’arte pura è zitella?», si chiede fra i pittosfori e i bambù, nella splendida e pettinatissima vegetazione in cui è immerso il suo quartier generale italiano. Fausto Melotti, forse? «Direi di sì. Sono sempre più convinto che l’arte vera è mescolata». Se le nozze si celebrano in bottega, allora anche la bottega è un tempio, proprio come quello giapponese. Ora Piano ha realizzato, e anche rodato, quel sogno di quindici anni fa: da qualche anno nel suo atelier - soprattutto quello genovese, ma in parte anche a Parigi - si alternano ogni sei mesi dodici laureati o laureandi da tutto il mondo, per imparare nella pratica che senso abbia, oggi, fare l’architetto. «Forse tutto cominciò con un piccolo senso di colpa. Non ho legami con l’Università, salvo conferenze o workshop; per carità, la stimo molto, ma ne sto fuori, o almeno è capitato così. Ho avuto una quantità di collaboratori, credo 1200, ma nella maggioranza dei casi erano persone che arrivavano già formate. L’imprintig vero, e spesso decisivo, è a vent’anni. Ho pensato che potevo fare qualcosa per questi ragazzi». Il ruolo specifico della Fondazione è finanziare i dodici stagisti, oltre a mantenere gli archivi e organizzare un’attività didattica aperta a tutti. E’ il volano della bottega, «pagato tutto da me, beninteso», che se ne sta sul mare, prospiciente il vecchio tratto dell’Aurelia trasformato in una viale di palme, tra giardini e pezzi d’architettura. Gli studenti vengono selezionati dalle loro università, da Harvard a Tirana. Arrivano per «imparare la complessità del mestiere». «Non assegno compitini, semplicemente li coinvolgo». E non teme di creare tanti piccoli cloni, mille piccoli ”ianisti”, perché «l’imitazione è l’arte dei fessi. Amo l’approccio con i giovani critici, quelli con lo sguardo da bambini che pensano sempre se per caso il re non sia nudo. Mi piacciono i ribelli. Il consiglio che dò più spesso è: rubate». Una scuola di furto e ribellione? «No per carità, poi finisce che qualcuno mi accusa di istigazione a delinquere». Per la verità, furto a parte, ci hanno provato. Un consigliere comunale di Genova ha puntato il dito contro la ristrutturazione del vecchio albergo in cui ora ha sede la Fondazione, sostenendo che si è impedito l’accesso alla spiaggia. E l’architetto un po’ si è arrabbiato: «E’ una polemica insensata. Come può vedere abbiamo riqualificato, ovviamente con i permessi, una zona che prima era ridotta a area di parcheggio selvaggio per auto e camper, anzi un cul-de-sac con problemi di sicurezza, sottolineati dagli stessi carabinieri. Abbiamo piantato palme e giardini, creato uno spazio per i pedoni che è molto frequentato». E la spiaggia? «L’accesso è liberissimo. Abbiamo chiuso un cancello che porta alla vicina scogliera perché ce l’ha chiesto il demanio, che deve mettere in sicurezza una vecchio fortino pericolante. Abbiamo persino costruito un nuovo parcheggio sull’altro lato della strada, più sicuro e sorvegliabile. E con tutto questo c’è qualcuno che va dicendo che Piano ruba le caramelle ai bambini». Forse è il prezzo del successo. Si ribella? «Io continuo a ribellarmi, sempre». Ma quando vale la pena, aggiunge. Per esempio? «Per esempio contro il fatto che, appunto dopo un successo, tutti ti chiedono di rifare una certa cosa allo stesso modo». MARIO BAUDINO