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 2008  febbraio 22 Venerdì calendario

Germania sotto choc. La Stampa 22 febbraio 2008. Sul campanello del grande portone in muratura è scritto «Privat - Dr Z

Germania sotto choc. La Stampa 22 febbraio 2008. Sul campanello del grande portone in muratura è scritto «Privat - Dr Z.». Dopo un centinaio di metri di strada in piano, costruita al di sopra del giardino terrazzato, tra palme e cipressi, si arriva al Castello di Tenno, una delle più spettacolari fortezze medioevali che sovrastano il Lago di Garda. Il proprietario non c’è. Logico: è in galera in Germania. Dr Z. altri non è che un debole artificio per nascondere l’identità di Klaus Zumwinkel, da 18 anni presidente del gigante tedesco della logistica Deutsche Post, punta non metaforica dell’iceberg su cui sta andando a sbattere la Germania e il suo ammirevole modello sociale. Zumwinkel, una figura insospettabile e stimata sia sul piano manageriale sia su quello politico, è stato arrestato giovedì scorso alle sette di mattina nella sua villa a Marienburg, il quartiere chic di Colonia, per evasione fiscale, sotto la luce dei riflettori della tv pubblica. Quel giorno la Germania si è svegliata solo per entrare in un incubo reale: diverse migliaia tra gli individui più ricchi del Paese sono elencati in un dossier, acquistato dai servizi segreti tedeschi e americani, come clienti della Lgt, la finanziaria più importante del Liechtenstein, di proprietà della famiglia regnante. In breve, i tedeschi hanno scoperto «la casta amorale» del Paese. Quello che sta sconvolgendo la Germania non è uno scandalo, ma una metastasi. E’ la prova del fuoco dello squilibrio che l’apertura dei confini delle economie ha indotto nei grandi principi della politica: libertà e giustizia sociale. Come difendere davanti a 80 milioni di tedeschi la tesi secondo cui la globalizzazione impone dolorose riforme, lavori non più sicuri, servizi pubblici meno generosi, il trasferimento all’estero delle imprese e dell’occupazione, se come risultato i «ricchi», i privilegiati del capitalismo, approfittano dei confini aperti per sottrarsi perfino al fondamentale dovere civico di pagare le tasse e consentire in tal modo una parziale redistribuzione? Ma non è solo l’apertura dell’economia a finire sotto accusa. Come può essere credibile la politica delle riforme faticose o quella che ha accettato l’inevitabilità di una società più diseguale, se al riparo dalle luci pubbliche «la bianca casta dei liberali della finanza», come la chiamava Nietzsche, riesce a occultare enormi ricchezze personali? Non poteva esserci testimone più imbarazzante di Zumwinkel. Il manager ha trasformato Deutsche Post da carrozzone pubblico in efficiente complesso della logistica, proprietario di una banca e del gruppo Dhl. Seppur quotata in Borsa, Deutsche Post è per il 31% di proprietà dello Stato, il suo presidente è di fatto confermato dal ministro delle Finanze e dal cancelliere. Zumwinkel aveva infatti ottimi rapporti con la politica e un’eccellente reputazione, in fondo è accusato di aver evaso solo un milione di euro a fronte di una liquidazione stimata in venti milioni e un Castello che ne vale sei. Per l’immagine di probità era diventato presidente di Telekom e consigliere Lufthansa. Solo due mesi fa, proprio per «proteggere» il gruppo semi-pubblico, il cancelliere Merkel ha dovuto accettare la proposta socialdemocratica di introdurre un minimo salariale nel settore, che ha costretto almeno un concorrente privato a uscire dal mercato. La protezione ha salvato qualcuno dei 520 mila posti di lavoro, ma ha lasciato elevati i costi per la clientela. Una scelta caratteristica dei modelli sociali corporativi e controversa in termini sia di equità sia di efficienza, ma addirittura assurda, se a capo del gruppo c’è un individuo che sottrae i propri guadagni agli obblighi fiscali. I tedeschi in pratica pagano di più perché il governo chiude i confini alla concorrenza e pagano di più perché il capo abusa dei confini aperti per non versare le tasse. Che il fenomeno abbia un respiro globale è testimoniato da quello che sta succedendo in Gran Bretagna, dove si cerca di far pagare le tasse a chi non è residente, e in Italia dove si è intensificata con successo la lotta agli evasori. Il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha ricordato ieri gli sforzi della comunità internazionale per limitare gli abusi dei paradisi fiscali. «Solo tre Paesi rimangono nella lista dei paradisi fiscali non cooperativi: Liechtenstein, Andora e Monaco». Il problema tedesco però può assumere dimensioni paragonabili a quelle della crisi finanziaria americana. L’élite del Paese potrebbe teoricamente finire in galera, se non autodenuncerà i propri abusi e ne pagherà finanziariamente il costo. In teoria gran parte del capitalismo tedesco potrebbe crollare su se stesso. Ieri la città di Francoforte è rimasta come paralizzata dalla notizia che dopo la Metzler Bank anche le istituzioni bancarie più emblematiche del Paese sarebbero coinvolte nello scandalo, accusate di aver organizzato e forse perfino istigato il trasferimento di fondi privati della propria clientela privata migliore verso il Principato del Liechtenstein. Centinaia di perquisizioni domiciliari sono pronte a scattare da Amburgo a Monaco e forse anche all’estero, al punto che un banchiere svizzero ha accusato ieri la polizia tedesca di usare «metodi degni della Gestapo». Dal dopoguerra, l’evasione fiscale porta su di sé uno speciale stigma in Germania. L’atteggiamento è però molto cambiato all’inizio degli Anni 90, dopo l’apertura dei movimenti bancari di cui molti hanno approfittato per sottrarsi alla tassa sui rendimenti finanziari minacciata e poi ritirata dal ministro delle Finanze Theo Waigel. In un solo anno si stimava che fossero scappati 600 miliardi di marchi. Il «condono» tentato dall’ex ministro Hans Eichel per rimpatriarli era sostanzialmente fallito per la sua onerosità punitiva, senza la quale il provvedimento avrebbe suscitato ribellione nell’opinione pubblica. In questi giorni lo scandalo dei tedeschi è infatti enorme. I partiti politici si sono lanciati in campagne morali contro l’élite dei «cavalieri predatori». Inizialmente il ministro delle Finanze aveva concesso poche ore agli interessati per autodenunciarsi ed evitare le manette. Ma lo choc era tale che pochissimi finora lo hanno fatto, non potendo nemmeno chiedere consiglio ad alcuno senza implicarlo penalmente. L’effetto politico potrebbe essere clamoroso: nel Paese è già in atto uno spostamento retorico verso sinistra e una riscoperta del socialismo. Brecht diceva «che cos’è mai un grimaldello a confronto di un’azione di Borsa». Lo scandalo potrebbe modificare profondamente la riluttante accettazione del capitalismo da parte dei tedeschi. La cancelliera Merkel è dovuta intervenire ufficialmente con il principe del Liechtenstein che, dopo aver veemente reagito contro l’attacco al Principato da parte di un Grande Stato, ha spedito il primo ministro a Berlino e annunciato una riforma del sistema delle fondazioni utilizzate dagli evasori. Che cosa si siano detti il delegato del principe e la cancelliera non è dato sapere. Ma i più maliziosi dubitano che nel Principato non siano a conoscenza dei segreti canali di finanziamento di cui hanno beneficiato i partiti politici tedeschi, a cominciare da quello che la Merkel ha ereditato da Helmut Kohl. Un eccesso di violenza e di luce nella penombra finanziaria avrebbe potuto ritorcersi su Berlino, così Angela Merkel avrà pensato alla frase preferita di Zumwinkel e da lui ripetuta continuamente, una citazione del vecchio Johann Buddenbrook nel romanzo di Thomas Mann: «Concludi solo quegli affari che ti permettono di dormire di notte». A costo di far dormire la morale. Carlo Bastasin