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 2008  febbraio 23 Sabato calendario

Il sudore (vero) degli scrittori. Corriere della Sera 23 febbraio 2008. Quattro ore di scrittura. Dieci chilometri di corsa

Il sudore (vero) degli scrittori. Corriere della Sera 23 febbraio 2008. Quattro ore di scrittura. Dieci chilometri di corsa. La giornata di Haruki Murakami è inchiostro e sudore. In fondo ai dieci chilometri ci sono le maratone che a 59 anni si ostina a correre e i romanzi che lo hanno consacrato come uno dei grandi narratori giapponesi contemporanei. «Finire una storia è come dar vita a un figlio. Un autore fortunato può creare forse una dozzina di romanzi nella sua vita, e non so quanti buoni libri ci siano dentro di me, ancora. Spero quattro o cinque. Correndo invece io questo limite non lo sento», spiega. A gennaio ha corso la sua ventisettesima maratona, «la 28, la 29, la 30 verranno naturalmente». Haruki Murakami ha cominciato a correre nell’82. Doveva perdere peso. Aveva fumato sessanta sigarette al giorno, «denti gialli, unghie gialle» rimpiazzati da «rotoli di grasso». Si mise a correre, «soluzione a portata di mano». I suoi fan, che lo hanno seguito attraverso Dance dance dance o L’uccello che girava le viti del mondo (Einaudi) e ne esplorano gusti e abitudini, conoscono la sua passione per la corsa. Adesso è lui che entra nei dettagli, con un volume tradotto in tedesco e, fra poco, in inglese, un titolo che suona Di cosa parlo quando parlo di corsa. A «Der Spiegel» Murakami dice molte cose, che un veterano riconosce lo stile di un altro runner «come si riconosce lo stile di uno scrittore», parla della musica («solo in allenamento, e allora è rock, adesso è il momento dei Manic Street Preachers, se è mattina i Creedence Clearwater Revival»). A proposito, La solitudine del maratoneta di Alan Sillitoe, del ’59, non gli è piaciuto: «Noioso. Si vede che Sillitoe non correva». Perché non è detto che scrivere di sport nei romanzi significhi praticarlo. Ma il pugilato, la pesca, la caccia sono i cimenti – esistenziali, più che sportivi – che Ernest Hemingway ha preso di petto e poi riversato nelle sue opere, e Norman Mailer i pugni li ha assestati e presi, prima di farne storie, ma loro avevano dietro di sé il vitalismo tutto americano di Walt Whitman e di Henry David Thoreau, camminare per aprirsi al mondo (ma forse lo aveva già capito Petrarca, in solitaria sul Monte Ventoso). Però la corsa è un’altra cosa. «Dà la misura di te, è conoscenza di te. Come la scrittura è disciplina interiore e assenza di autoindulgenza», conviene Mauro Covacich ( A perdifiato, Einaudi 2003, tra l’altro), e il giapponese Murakami non è poi così lontano: «La maratona la considero un’arte marziale, non uno sport», aggiunge lo scrittore triestino, cinquanta chilometri alla settimana d’allenamento, cinque o sei maratone alle spalle. Susanna Tamaro resta in zona, è cintura nera di karate, le arti marziali – spiegò – servono a scrivere perché incrementano la concentrazione e mi aiutano a portare sul foglio la frase giusta, decisiva, come nel combattimento si porta la mossa giusta». L’intreccio fra esperienze vissute e trame narrative nelle opere d’esordio è spesso scontato, c’è dell’autobiografia nelle piscine di Rane (Frassinelli), debutto di Margherita d’Amico, così come nei Pugni (Sellerio) del giovane Pietro Grossi (il primo dei tre racconti era su un acerbo boxeur). Per tornei regionali, racchetta in mano, aveva vagato un David Foster Wallace ragazzino, che poi il tennis ha impastato nel caleidoscopico caos di Infinite Jest (Einaudi). Nel 2006 scrisse per il New York Times un fluviale elogio di Roger Federer: «Praticamente chiunque ami il tennis e segua i tornei maschili in tv ha sperimentato quelli che si potrebbero definire i Momenti Federer. Capita, quando vedete giocare il giovane svizzero, che caschi la mandibola e vi si strabuzzino gli occhi e cacciate fuori suoni che fanno accorrere dalle altre stanze le vostre compagne a vedere se sia tutto a posto», eccetera, e si capiva che forse solo un tennista, o un tennista mancato, poteva attaccare così. Passioni di gioventù. Un bianco e nero sgranato ci restituisce un Pasolini adulto correre dietro a un pallone, ma sappiamo che la febbre calcistica dell’autore delle Ceneri di Gramsci (Garzanti) risale alla giovinezza friulana: una vita, davvero. La campionatura è parzialissima. Tuttavia c’è poco gioco di squadra per gli autori-atleti. Scrittura e cimento fisico sono due solitudini. «Ma solitudini festive, solitudini scelte», ci dice Erri De Luca, che va ad arrampicare due volte la settimana. «In parete penso intensamente a quello che faccio, prese, appoggi, soste. distrazione, è il corpo che comanda». In questo si sente vicino a Mauro Corona, altro scrittore alpinista (la via fu aperta da Dino Buzzati): «Veniamo tutt’e due da storie parallele di lavoro fisico », alpinismo e scrittura sono l’alternativa a quello. Correndo, Murakami diventa uno scrittore migliore, «è così», spiega al reporter tedesco. Un corpo più forte permette di incanalare «il veleno che un autore ha dentro» e senza il quale «la tua storia sarà noiosa e senz’ispirazione». E comunque, se scrivere «è un divertimento», correre è «un inevitabile tormento». Gli è capitato di credere di morire, o quasi. Come al 55esimo di un’ultra-maratona da 100 chilometri, per poi rinascere al 75esimo e vivere al traguardo in una estasi felice, «un’esperienza religiosa ». Cento chilometri. Sudore, non inchiostro. Tempo: 11 ore, 42 minuti. MARCO DEL CORONA