Il Manifesto 22 febbraio 2008, Michele Giorgio, 22 febbraio 2008
Nuove case, Israele batte Palestina. Il Manifesto 22 febbraio 2008. «Occupazione benevola», così per un buon numero di anni le autorità israeliane hanno descritto l’occupazione dei territori palestinesi
Nuove case, Israele batte Palestina. Il Manifesto 22 febbraio 2008. «Occupazione benevola», così per un buon numero di anni le autorità israeliane hanno descritto l’occupazione dei territori palestinesi. E «benevola» senza dubbio lo è stata, ma solo nei confronti dei coloni israeliani che hanno potuto espandersi a piacimento sulle terre strappate con la forza ai palestinesi. L’ultimo rapporto di Peace Now, diffuso ieri, rivela che nel periodo 2000-2007 le autorità di occupazione hanno respinto il 94% dei permessi di costruzione richiesti dai palestinesi nella cosiddetta «area C», ovvero il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo amministrativo di Israele, dove vivono circa 70 mila palestinesi (l’Anp ha piena giurisdizione solo sull’«area A», meno del 20% del territorio). Non solo, ma l’«Amministrazione civile» israeliana ha proceduto, con particolare efficienza, a demolire il 33% delle costruzioni illegali palestinesi mentre si è mostrata «comprensiva» verso l’abusivismo dei coloni. Sono stati emanati in totale 4.993 ordini di demolizione contro i palestinesi a fronte dei 2.900 per le costruzioni israeliane e sono stati abbattuti 1.663 edifici arabi e 199 case israeliane. Vale la pena di ricordare che per la legge internazionale le colonie ebraiche sorte in Cisgiordania dopo il 1967 sono illegali e rappresentano una violazione dei diritti palestinesi. Peace Now ha calcolato che negli anni presi in considerazione per ogni permesso di costruzione concesso ai palestinesi sono stati emessi in media 55 ordini di demolizione e 18 edifici sono stati successivamente abbattuti. In sette anni ai palestinesi sono state concesse complessivamente 91 autorizzazioni edilizie mentre negli insediamenti colonici israeliani sono state costruite oltre 18.472 case. «In queste condizioni i palestinesi non hanno alternativa che costruire senza permesso» ha scritto il movimento pacifista «e il 33 per cento di quelle abitazioni, vengono in seguito demolite». Dati che, sottolinea Peace Now, «confermano la discriminazione compiuta dalle autorità israeliane nei confronti dei civili palestinesi: il principio è che in Cisgiordania possono costruire solo i coloni». A riprova delle accuse di Peace Now c’è anche l’atteggiamento del governo israeliano verso gli oltre 100 avamposti eretti autonomamente dai coloni e che sono illegali anche per la legge dello stato ebraico. Ogni tanto il premier Olmert e il ministro della difesa Barak ne annunciano l’evacuazione, ma sul terreno non accade nulla. E a rendere ancora più evidenti le politiche dell’occupazione, le autorità israeliane ieri hanno prorogato di altri sei mesi la chiusura di alcune istituzioni palestinesi a Gerusalemme est - tra cui la Camera di Commercio e l’Orient House - la cui riapertura invece era stata data per certa all’indomani dell’incontro di Annapolis. Gli uffici palestinesi più rappresentantivi vennero chiusi tra il 2001 e il 2002, nella fase più acuta della seconda Intifada. Israele annunciò che il provvedimento sarebbe stato rivisto ogni sei mesi e, di proroga in proroga, si è giunti fino ad Annapolis, dove Olmert ha promesso la revoca della chiusura. Invece il governo israeliano ha riconfermato la sua linea di annullamento delle istituzioni palestinesi a Gerusalemme Est. Il ministro della difesa israeliano invece concederà a 4.495 palestinesi e stranieri di poter vivere finalmente con i loro familiari in Cisgiordania dai quali, in qualche caso, sono rimasti separati per anni. Altre 50mila persone attendono che Israele conceda loro il permesso per entrare o rimanere in Cisgiordania. Michele Giorgio