La Stampa 23 febbraio 2008, Gianfranco Quaglia, 23 febbraio 2008
Addio risaie. La Stampa 23 febbraio 2008. L’Europa allargata ha fame di riso ma i risicoltori italiani preferiscono coltivare mais
Addio risaie. La Stampa 23 febbraio 2008. L’Europa allargata ha fame di riso ma i risicoltori italiani preferiscono coltivare mais. Nessuno avrebbe mai profetizzato che nel Terzo Millennio neo-consumatori dell’Est europeo e le forti presenze di minoranze etniche potessero mettere in crisi il sistema produttivo. Non è tutta colpa del nuovo scenario demografico. In realtà i cinque Paesi produttori (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Grecia) sembrano andare controcorrente: i coltivatori stanno rispondendo con una contrazione della superficie, a favore del mais e del grano tenero. I prezzi del riso, benché competitivi e spinti dalla domanda, sono insidiati da quelli degli altri cereali, più produttivi nel rapporto con l’ettarato e meno costosi sotto il profilo aziendale, con una minore incidenza anche dal punto di vista dell’utilizzo dell’acqua. Negli ultimi due anni i prezzi internazionali sono aumentati sensibilmente ma con una differenza marcata: +75 dollari a tonnellata per il mais, +27 per cento per il riso. La brusca inversione di tendenza ha costretto il consiglio d’amministrazione dell’Ente nazionale Risi (che tutela le cinquemila aziende italiane) a correre ai ripari. Meglio: a lanciare un appello specifico, con un invito che da lunedì sarà affisso sulle principali piazze di contrattazione del cereale (Vercelli, Novara, Mortara, Pavia e Milano). Il titolo è esplicito: «Non perdere l’occasione, semina riso». Slogan semplice per ricordare ai risicoltori che i prezzi, malgrado tutto, sono sempre remunerativi, proprio per il gioco della domanda-offerta. Piero Garrione, presidente dell’Ente, non nasconde le preoccupazioni e parla di «inquietante riduzione dell’ettarato», di «una ritirata dei risicoltori che emerge dai sondaggi sulle semine della prossima primavera. Mentre i grandi esportatori mondiali riempiono i loro silos e i listini, i nostri produttori si muovono in controtendenza. L’offerta è deficitaria, malgrado la produzione cerealicola mondiale stia aumentando del 4,6%. Nell’Unione europea i consumi aumentano e non possono attingere all’esterno perché i grandi esportatori asiatici stanno bloccando le vendite, avendo loro stessi problemi di approvvigionamento e preferiscono mercati vicini». Tradotto in cifre, l’Europa produce solo il 60% del riso che consuma. L’Ue può disporre di 1,6 milioni di tonnellate, ne consuma 2,4. Occorrerebbe produrre altre 800 mila tonnellate. Obiettivo difficilmente raggiungibile. Tutti gli occhi sono puntati sull’Italia, maggior produttore con un milione e 400 mila tonnellate di riso greggio. Per far fronte alle richieste l’industria di trasformazione (una sessantina di riserie) chiede di aumentare la superficie di circa 27 mila ettari nel 2008, per la maggior parte con varietà di tipo Indica, adatte al consumo in Nord Europa, consentendo alla risicoltura italiana di toccare i 260 mila ettari. Il «tradimento» a favore del mais produrrà una contrazione della risaia made in Italy, che dovrebbe passare da 232 mila ettari a 225 mila. Quirino Barone, presidente di Confagricoltura di Vercelli e Biella: «Stiamo pagando lo scotto dell’impennata dei prezzi dei cereali. Più che i piemontesi sono soprattutto i pavesi e i milanesi a ridurre, perché in Lombardia i terreni sono più adatti al mais e perché il mix prezzo-aiuto della Pac è molto favorevole. Ma di questo passo la risaia italiana soffre dell’effetto fisarmonica. Un anno diminuisce e l’altro cresce, con il rischio di un’instabilità dei prezzi». Gianfranco Quaglia