Affari e finanza 25 febbraio 2008, SALVATORE TROPEA, 25 febbraio 2008
La formula dei Marcegaglia. Affari e finanza 25 febbraio 2008. La leggenda che si racconta dalle parti di Gazzoldo degli Ippoliti, nella pianura tra il Chiese e il Mincio, vuole che il consiglio di amministrazione si riunisca in cucina dopo la colazione del mattino e che nessuno dei suoi componenti sia tormentato dalle notizie sull’apertura di Piazza Affari perché il Gruppo Marcegaglia in Borsa non c’è mai andato e non sembra intenzionato ad andarci
La formula dei Marcegaglia. Affari e finanza 25 febbraio 2008. La leggenda che si racconta dalle parti di Gazzoldo degli Ippoliti, nella pianura tra il Chiese e il Mincio, vuole che il consiglio di amministrazione si riunisca in cucina dopo la colazione del mattino e che nessuno dei suoi componenti sia tormentato dalle notizie sull’apertura di Piazza Affari perché il Gruppo Marcegaglia in Borsa non c’è mai andato e non sembra intenzionato ad andarci. La ragione? Steno Marcegaglia, fondatore e presidente, la spiega così, senza tanti giri di parole: "Non vedo perché debba farlo. L’azienda lavora, guadagna, reinveste per svilupparsi e quando ha bisogno di soldi va in banca. Non c’è motivo di faticare tutti i santi giorni dell’anno, rischiare in proprio perché poi venga uno che non fa niente di tutto questo a staccare le cedole". C’è sicuramente un vezzo da operosa provincia di altri tempi in questo "interno di famiglia con cda" che però rende perfettamente l’idea della natura di un gruppo che il prossimo anno doppierà la boa del primo mezzo secolo di vita. Esso offre l’immagine quasi visiva di una di quelle storie che fanno da contrappunto all’Italia in viaggio verso e il boom economico tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Perché è il 1959 quando Steno, classe 1930, geometra mezzo autodidatta del Mantovano, comincia la sua marcia di imprenditore in un magazzino di 120 metri quadrati. Lo fa piegando ferri a U per le tapparelle delle finestre che vanno tanto nell’edilizia dell’epoca in sostituzione delle vecchie gelosie non più di moda. L’incipit è tutto qui e spiega in qualche modo la leggenda che tradotta oggi vuol dire il decimo posto nella top ten dei gruppi industriali italiani. Uno dei pochi esempi di capitalismo familiare che sopravvive felicemente alla straripante e in qualche caso pericolosa epoca dei manager: un gruppo industriale e finanziario, 4,2 miliardi di euro di fatturato nel 2007, 6.500 dipendenti, 47 insediamenti produttivi nel mondo, 49 sedi commerciali, 150 rappresentanze. Nelle brochure ufficiali e nelle reti online viene presentato come leader nella lavorazione dell’acciaio con oltre 4 milioni di tonnellate di prodotto trasformato. Ma è ancora una volta un’altra immagine quella che s’impone e che passa attraverso un primato da Guinness stando al quale negli stabilimenti Marcegaglia si producono ogni giorno 5.500 chilometri di tubi d’acciaio pari, in un anno, a cinquanta volte la circonferenza del Pianeta. Tutto questo avviene in Italia, nel resto dell’Europa, in Sud America (Brasile), negli Stati Uniti. E intanto si guarda alla Cina dove, come si dice oggi, non si può non essere presenti. Negli ultimi tre lustri il gruppo è cresciuto a un ritmo del 15% all’anno con un’accelerazione fino al 20% da cinque anni in qua. C’è quanto basta per pensare anche all’espansione geografica. Nei piani dell’azienda di Gazoldo c’è anche questo come tassello di una strategia attenta alla crescita ma senza mai perdere di vista i conti. Fuori dalla leggende si racconta anche che nell’impero di Steno non si è fatta mai un’ora di sciopero e non ci sono mai stati licenziamenti. Può darsi che anche questa sia una delle ragioni del successo. E’ ragionevole pensare che il motore sia anche un altro e che ad alimentarlo sia una scelta strategica ben precisa. I Marcegaglia amano definirsi "imprenditori poveri di un’impresa ricca". E quando si chiede loro il segreto della costante crescita del fatturato rispondono che c’è da sempre la scelta di reinvestire tutti gli utili per svilupparsi e innovare. Che questo metodo li abbia ripagati è fuori di dubbio a giudicare non solo da come è andata e come va la casa madre ma anche da come il Gruppo ha potuto imboccare la strada della diversificazione. Il core business resta la trasformazione dell’acciaio: 83%. Il resto, fatta accezione per il turismo, promana dalla casa madre nel senso che ha a che fare con l’acciaio: edilizia (leggi anche Ponteggi Dalmine), prodotti per la casa, energia, servizi, assieme fanno l’altro 17%. L’incursione nel turismo, il settore che dopo l’acciaio sembra dare maggiore visibilità, risale agli anni Ottanta, quando Crédit Suisse mette in vendita l’isola di Albarella. Steno Marcegaglia l’acquista. Sembra un capriccio, un piccolo lusso. Il "giocattolo" viene affidato a Emma, ventitrenne al primo incarico di gruppo e laureata alla Bocconi come il fratello Antonio (entrambi in economia aziendale con tesi sul Gruppo Marcegaglia), che ne fa un gioiello nella Laguna Veneta. Poi è la volta di Pugnochiuso il complesso sul Gargano che viene acquistato dall’Eni e riportato all’onore del mondo fino a farne una meta turistica rinomata dove d’estate è facile incontrare, presenza discreta e confuso con gli ospiti, Steno che vi fa qualche puntatina assieme alla moglie Mira Bazzani. Un altro "recupero" di lusso è Forte Village a Santa Maria di Pula in Sardegna cui segue l’acquisto delle Tonnare di Stintino. Marcegaglia Tourism fattura oltre 100 milioni di euro: non è molto se rapportato al fatturato complessivo di Gruppo, ma quando si pensa alle mille persone che in stagione lavorano al Forte si scopre che si tratta della seconda azienda della Sardegna. Il cavaliere del lavoro Steno Marcegaglia, che come i non più giovani ricorderanno è stato vittima di un sequestro senza che per questo abbia rinunciato a investire anche in quel Sud, che fu terra della sua "prigionia", non ha mai avuto ruoli ai vertici di Confindustria. La sua attenzione è stata sempre per l’azienda da lui creata e che non ha mai smesso di pilotare anche quando ha deciso di distribuire le responsabilità. Naturalmente tutto in famiglia come il controllo dell’azienda: lui presidente, Emma, Antonio e la signora Mira amministratori delegati. Il capostipite si riserva la parte relativa all’acquisto della materia prima, antica passione, affidando a Emma l’amministrazione e la finanza e ad Antonio la produzione e il commerciale. Ma la giovane Emma scopre di avere una vocazione aggiuntiva.Il ruolo di "figlia del padrone" che si occupa dell’azienda di famiglia le sta stretto. E quando negli anni Novanta viene eletta presidente dei giovani della Confindustria si capisce che quella è una tappa. E che lei non interpreta il ruolo pubblico come un una gentile concessione alla quota rosa. Perciò s’impegna e procede passo dopo passo, con tenacia e con realismo: le stesse qualità che sono alla base dell’impero di Gazoldo degli Ippoliti che continua ad essere il suo vero punto di interesse e di riferimento assieme al marito, ingegnere informatico di Ferrara, e alla figlia Gaia, terza generazione Marcegaglia. SALVATORE TROPEA