La Stampa 25 febbraio 2008, PAOLO COLONNELLO, 25 febbraio 2008
La banda del buco tra i gioielli dei vip. La Stampa 25 febbraio 2008. Si fa presto a dire «banda del buco»
La banda del buco tra i gioielli dei vip. La Stampa 25 febbraio 2008. Si fa presto a dire «banda del buco». Ma i quattro italiani che ieri alle dieci del mattino hanno agito a volto coperto in corso Magenta, pieno centro, per svuotare i caveau della Casa Damiani, sono qualcosa di più di una semplice «banda del buco». Nel loro genere sono degli artisti: nessuna violenza, nessuna arma esibita, precisione nei tempi, ottima pianificazione. Bravi davvero, fin troppo. In fondo decidere di scavare un buco in cantina per rapinare una delle più importanti gioiellerie del mondo, senza far ricorso a laser o a elettronica, fa di questo colpo una rapina «vintage» quasi da record. Si parla infatti di milioni di euro, a tanto ammonterebbe il bottino di preziosi prelevato in quaranta minuti e di cui solo stamattina si farà un inventario preciso. E’ anche vero però che, come fanno notare in questura, il colpo perfetto non esiste e dunque, appena verrà individuato l’inevitabile errore - un’impronta, un’immagine ripresa per strada, un dettaglio non controllato - gli autori verranno scoperti. Gli uomini della scientifica sono già al lavoro e fior d’investigatori stanno tentando di risalire all’anello debole della catena, ovvero il bravo basista che fino all’ultimo deve avere guidato i passi della banda. Il basista La scelta di agire ieri mattina non è stata infatti casuale. Bisognava sapere che la gioielleria, che non dispone di vetrine in strada ma occupa l’intero edificio di un palazzo ottocentesco all’82, era aperta nonostante fosse domenica e aveva programmato una vendita a privati vip con tanto di rinfresco e dunque i forzieri erano stati riempiti a dovere. Inoltre che fino alle 11 almeno, non ci sarebbero state visite improvvise di estranei. Infine che entrando dalla porta al primo piano della «maison», senza passare dal portone principale e quindi dagli inevitabili e sofisticatissimi controlli della gioielleria, i rapinatori non avrebbero corso il rischio di essere ripresi da telecamere. Per entrare indisturbati nella sede della società di preziosi hanno approfittato delle cantine di un palazzo contiguo alla Casa Damiani, lavorando a quanto pare fin da prima di Natale tra le 7 e le 8, coperti dai rumori dei lavori di ristrutturazione di una parte della facciata del palazzo, per arrivare a scavare un buco nei mattoni pieni del vecchio palazzo, profondo un metro, largo 80 centimetri e alto 60. La scelta è caduta sulla cantina di uno dei condomini del civico 80, Salvatore Taras, 61 anni, che ha saputo solo ieri mattina dai giornalisti quello che avevano era successo. «Sono stato fuori Italia per una ventina di giorni, tra New York e Miami e sono tornato solo l’altro ieri», ha spiegato ai cronisti. La cantina, piena di polvere, era stata trasformata in cantiere. Il bello è che alcuni inquilini si erano lamentati nelle scorse settimane con il portiere dello stabile per quel rumore di trapani e picconate che li svegliava quasi ogni mattina. Ma in una città come Milano, dove l’inquinamento acustico compete con quello dell’aria, ci si rassegna sempre molto in fretta. Camuffati Una benedizione per i quattro «uomini d’oro» che ieri alle 10, con occhiali da sole, cappellini da baseball e finte pettorine della Finanza, dopo aver fatto crollare l’ultimo spessore del buco, si sono ritrovati nel sottoscala della Damiani, una specie di ripostiglio per le pulizie. Saliti al primo piano hanno suonato a una porta a vetri blindata. Ad aprire il cameriere del servizio catering convinto di far passare dei finanzieri. L’azione è durata una quarantina di minuti: dopo aver radunato tre impiegati, il direttore, una donna delle pulizie e il cameriere, quello che alle vittime è sembrato il capo della banda - unico particolare noto l’accento meridionale - si è fatto accompagnare dalla donna nel caveau. Dopo averlo svuotato con tutta calma, l’uomo è tornato dagli ostaggi che a questo punto sono stati legati mani e piedi con dei laccetti di plastica, come quelli usati dagli elettricisti e fatti accomodare nel bagno del salone. Quindi in silenzio i banditi hanno lasciato l’edificio passando di nuovo dal buco e dunque fuggendo dal palazzo contiguo. In questo modo, nessun altro ha potuto vederli. Tanto meno le telecamere della gioielleria. Alle 10,52, riusciti a liberarsi dai lacci, impiegati e direttore davano l’allarme al 113. Otto minuti dopo, puntuale, si presentava il primo cliente. PAOLO COLONNELLO