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 2008  febbraio 25 Lunedì calendario

Ecco i capolavori di Leonardo. La Repubblica 25 febbraio 2008. Sei pezzi di genio. Del nostro più grande genio

Ecco i capolavori di Leonardo. La Repubblica 25 febbraio 2008. Sei pezzi di genio. Del nostro più grande genio. Leggeri come ombrellini, esili come alberi sullo sfondo di un dipinto rinascimentale. Re, regina, torre, cavallo, alfiere e perfino l´umile pedone, eleganti, aerodinamici, marziani, mai visti su un tavolo da gioco. Un anno fa fecero rimanere di stucco gli scacchisti che trepidanti d´emozione li videro dipinti sulle pagine del De Ludo Schacorum overo Schifanoia, trattato rinascimentale sul gioco più famoso del mondo, che si credeva perduto e che invece era riaffiorato per caso, dopo mezzo millennio, tra gli scaffali di una biblioteca aristocratica di Gorizia. Quei disegni tradivano un´idea sicura d´artista. Non potevano essere usciti dalla mano dell´autore, frate Luca Bartolomeo Pacioli da Borgo San Sepolcro, matematico rinascimentale, intelligenza sopraffina, ma quanto a doti artistiche, a parere dei contemporanei, ahimé assai poco dotato. Chi è allora il designer strepitoso e misterioso a cui si deve uno dei più armoniosi set di scacchi della storia? «Leonardo da Vinci»: non c´è punto interrogativo nelle conclusioni di Franco Rocco, settantenne architetto e scultore milanese. Dopo un anno di confronti stilistici, riscontri cronologici, ricerca di fonti e comparazioni d´immagini, la sua perizia per la Fondazione Coronini Cronberg di Gorizia, proprietaria del manoscritto, è decisa. Attribuire a Leonardo ogni mistero irrisolto, dalla creazione della Sindone alle trame misteriosofiche di Dan Brown, è moda corrente e forse conveniente. Ma l´architetto Rocco è disposto a fronteggiare le prevedibili contestazioni, e così pure la Fondazione. La scoperta sarà sottoposta al vaglio accademico: «Abbiamo invitato Carlo Pedretti, il maggior esperto vivente di Leonardo, a darci un parere: s´è detto interessato», riferisce senza sbilanciarsi la direttrice Serenella Ferrari Benedetti, «ma le prove che già abbiamo sono convincenti». La Coronini è una onlus che dal ”90 amministra l´eredità della nobile famiglia omonima: villa, giardino botanico, galleria d´arte, archivio e la biblioteca dove, alla fine del 2006, quasi per caso, il bibliofilo Duilio Contin riconobbe nell´anonimo manoscritto la bibbia perduta della scacchistica rinascimentale. Ora si pensa a un convegno, per giugno, con torneo scacchistico, da giocarsi ovviamente con «gli scacchi di Leonardo». Ma lo sono davvero? La prova schiacciante non c´è. una paternità attribuita. «Ma se eliminiamo le opere attribuite, cosa resta nei musei?», non deflette Rocco. Attribuzione indiziaria. «Si ma guardi che indizi». La Fondazione si era rivolta a lui perché autore di una serie di scacchi firmati molto famosi nell´ambiente. Gli chiesero di ricavare un set di pezzi dai disegnini curiosi che affollano le minute pagine del libretto. Lui è andato fino in fondo. Partendo da un fatto accertato: Pacioli e Leonardo erano amici. Di più: collaboratori. Verso il 1497, mentre entrambi soggiornavano a Milano alla corte di Ludovico il Moro, il frate matematico e il genio poliedrico realizzarono assieme, il primo il testo il secondo le incisioni, un´opera celebre, il De Divina Proportione. Due anni dopo, conquistata Milano dai francesi, eccoli rifugiarsi, sempre assieme, a Mantova, dai Gonzaga, sotto le protettive gonne di Isabella d´Este. Grande appassionata di scacchi, la marchesa, modesta giocatrice però ricchissima, quindi in grado di scritturare i migliori giocatori dell´epoca e mobilitare i teorici come Pacioli, al quale chiese di dedicarle un trattatello. Pacioli di scacchi se ne intendeva. Il suo De Ludo in realtà non è un manuale, ma, oggi si direbbe, una raccolta di "problemi": finali di partita da risolvere con lo scacco matto in un certo numero di mosse. Ogni problema, uno schemino. Centoquaranta scacchiere, oltre millequattrocento pezzi, rossi e neri. Da secoli le figure dei problemi erano indicate con semplici lettere dell´alfabeto. Quelli invece erano profili di pezzi veri. E mai visti prima. Stranissimi. Elegantissimi. Da dove venivano mai? Qui cominciano le deduzioni. Leonardo era un giocatore di scacchi. Neanche lui pare fosse un fenomeno, però di sicuro conosceva le regole, sennò non avrebbe pensato come soluzione di un suo rebus (nel foglio 12692 di Windsor) l´espressione "io arrocco", mossa centrale del gioco. «Poteva il Pacioli, inabile al disegno, non chiedere un aiuto all´amico, collaboratore, artista e scacchista con cui ogni giorno passava lunghe ore di probabile noia di corte?». Naturalmente non poteva pretendere che Leonardo tracciasse personalmente le centinaia di figurine necessarie. Forse qualcuna sì, «in effetti alcune sembrano di mano più esperta», ma solo come modello per l´amanuense incaricato del lavoro. «E Leonardo quell´aiuto lo diede da par suo». Rocco ha misurato una per una le figurine, depurando dalle imprecisioni manuali una sorta di tipo standard per ciascuna delle sei figure. Poi cominciato a misurarli. Ovunque ha trovato la proporzione aurea, passione e religione di Leonardo: nel rapporto fra i dischi e le aste, fra la "testa" del pedone e il suo "corpo", tra l´altezza e la base. Poi ha sfogliato le anastatiche dei manoscritti leonardeschi, e ha trovato alcune possibili forme ispiratrici: per esempio le "fontane di Erone" dai fogli 293r-b e 212r del Codice Atlantico, molto simili al profilo della regina. Più in generale «si nota la suggestione dei grotteschi romani appena scoperti nella Domus Aurea, che Leonardo probabilmente conosceva». Pezzi troppo "pensati" insomma, per essere improvvisati. «Probabilmente Leonardo ne possedeva una serie vera e propria, forse fabbricata per uso personale. Pacioli può averli usati per mostrare ai disegnatori gli schemi da trascrivere». Obiezione: quei pezzi così fini e delicati, i rozzi torni quattrocenteschi non avrebbero potuto lavorarli senza spaccare il legno. Contro-obiezione: «Leonardo poteva averli fabbricati con quella mistura plasmabile che descrive in un foglio del 1510», un amalgama di argilla cera e ingredienti misteriosi con cui, scrive il genio di Vinci, si possono fare «manichi di coltelli, portapenne, « e appunto «scacchieri». Ancora un indizio. Tutti insieme fanno una prova? Forse la prova logica più convincente sta nel carattere del genio di Vinci: troppo eclettico e vanitoso per sottrarsi alla tentazione di misurarsi anche con il design ludico, avendone l´occasione. Del resto, non c´è stato artista appassionato di scacchi che non abbia tentato almeno una volta di disegnare la propria "armata" ideale. Lo hanno fatto Man Ray, Duchamp, Dalì, recentemente Baj e Cattelan. anche vero che nessuno di quegli estroversi battaglioncini di pedine ha avuto altra fortuna che quella collezionistica. Dall´Ottocento sulle scacchiere di tutto il mondo si gioca di preferenza (e di rigore nei tornei ufficiali) con gli scacchi Staunton, semplici, severi, facilmente identificabili, resistenti a ogni perfezionamento (il campione Kasparov era sicuro di avere disegnato «gli scacchi migliori della storia», ma non riuscì a farli adottare). «Gli scacchisti amano gli scacchi d´autore, ma quando giocano devono concentrarsi sulla strategia, senza distrazioni»: così Aldolivio Capece, direttore della centenaria rivista L´Italia Scacchistica, spiega il conservatorismo estetico della categoria. Anche lui però, quando curò la (costosissima) ristampa anastatica del De Ludo, rimase affascinato da quei pezzi leggeri come sogni. «I pezzi in uso all´epoca erano tozzi e squadrati, oppure erano lavori di gioielleria solo da sfoggiare». Ma lei ci giocherebbe, maestro Capece, con questi scacchi, chiunque ne sia l´autore? Esita: «Con gli amici, sì. In torneo, no. Gli scacchi di oggi sono sport, gara contro il tempo, tensione. Questi pezzi sembrano fatti per un´altra idea di scacchi: un gioco sereno, senza fretta, senza agonismo». Scacchi cortigiani, scacchi della leggerezza, della lentezza: slow-chess. Peccato per quei cinque secoli perduti nella polvere di una biblioteca. Forse gli scacchi di Leonardo erano fatti per un´altra epoca: ma l´hanno saltata a piè pari. MICHELE SMARGIASSI