La Repubblica 25 febbraio 2008, ELENA DUSI, 25 febbraio 2008
Speranza per i calvi. La Repubblica 25 febbraio 2008. La calvizie resta una fatalità. Non si sa da cosa dipenda e a combatterla non sempre si vince
Speranza per i calvi. La Repubblica 25 febbraio 2008. La calvizie resta una fatalità. Non si sa da cosa dipenda e a combatterla non sempre si vince. Ma laddove una persona comune vede uno scherzo della sorte, uno scienziato pensa subito all´azione di un gene. Ed è così che una ricerca condotta da due donne ha scovato una delle cause della perdita dei capelli nell´immensa tastiera del Dna. Regina Betz, dell´università di Bonn, ha trovato il gene che provoca una delle molteplici forme di calvizie maschile: l´ipotricosi semplice, che comporta la caduta dei capelli fin dall´età di uno o due anni. Angela Christiano, della Columbia University, a sua volta ha identificato una delle proteine che il gene in questione - nella sua variante normale - ha il compito di assemblare. E che ogni giorno per decine o centinaia di volte invia al follicolo del cuoio capelluto il messaggio "su questa testa è ora di far crescere un nuovo capello". Gli esperimenti di Betz e Christiano sono stati condotti su due famiglie numerose: una saudita e l´altra pachistana. Grazie all´abbondanza di figli, è stato possibile studiare tutte le variazioni del gene P2RY5 (che quando è alterato provoca l´ipotricosi) e collegarle alla presenza o meno della calvizie. I risultati degli studi sono pubblicati oggi dalla rivista scientifica Nature Genetics. «Ma la scoperta di un gene - precisa Stefano Calvieri, direttore della clinica dermatologica dell´università La Sapienza a Roma - è solo il punto di partenza per la messa a punto di un trattamento, non un traguardo. Serviranno ancora diversi anni per avere nuove cure». La conferma dell´origine genetica della calvizie (già suggerita da molti studi passati) spiega anche come mai i farmaci attualmente sul mercato funzionino solo su determinate persone. Fatalità - anzi Dna - anche in questo caso. Il punto chiave da cui dipende la sorte di una chioma non ha nulla a che vedere con il cuoio capelluto, bensì con gli ormoni in circolo nell´organismo, in particolare quelli maschili. A contare è la fase di trasformazione del testosterone in Dht (diidrotestosterone), un ormone derivato. Il passaggio da una forma all´altra della molecola viene mediato da geni che possono presentarsi in forme leggermente diverse. Minuzie, se si guarda al grande complesso di un organismo umano. Ma quanto basta (nel caso di una certa combinazione di geni) per inceppare il messaggio "su questa testa è ora di far crescere un nuovo capello". «Il meccanismo del Dht - spiega Calvieri - fu scoperto per caso alla fine degli anni ”80, quando gli studi genetici ancora non c´erano d´aiuto. Qualcuno osservò che fra gli abitanti di un´isola del Pacifico la calvizie e l´ipertrofia della prostata erano fenomeni sconosciuti. L´accoppiamento non deve stupirci: già Ippocrate aveva notato che fra ormoni e perdita dei capelli c´era un legame. Ma per arrivare al primo farmaco frutto di questa scoperta fu necessario aspettare il ”97 negli Stati Uniti e il ”98 in Italia. Ora, la scoperta di un gene è una buona notizia. Ma armiamoci di un po´ di pazienza, oppure sfruttiamo i trattamenti medici e chirurgici che sono già disponibili oggi». Solo le ricerche fra Germania, Stati Uniti, Arabia Saudita e Pakistan per individuare i geni responsabili dell´ipotricosi hanno impegnato i ricercatori per sei anni. «La condizione che abbiamo studiato è effettivamente molto rara - ha spiegato Regina Betz - ma questo non è importante. Ciò che conta è capire nei dettagli il fenomeno della calvizie». Solo conoscendolo, sarà possibile sconfiggere il nemico senza più affidarsi alla sorte. «E soprattutto non tiriamo in ballo la vanità maschile - raccomanda Calvieri tra il serio e il faceto - perché Sansone ci insegna quanto importante sia una chioma fluente». Anche Giulio Cesare stava ben attento a nasconderla. Falliti gli unguenti di Clepoatra a base di midollo di cervo e grasso di orso, non rimase che la corona di alloro. ELENA DUSI