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 2008  febbraio 25 Lunedì calendario

GLI USA IN MARCIA VERSO EST

Corriere della Sera 25 febbraio 2008.
Sulla faccenda della dichiarazione di indipendenza del Kosovo ho sentito, in Italia, pareri differenti anche da «professionisti» della politica estera, mentre fra gli esponenti della politica in attività mi pare rilevare una certa uniformità. di qualche giorno fa la dichiarazione marcatamente bipartisan di Fini, secondo cui riconoscere il Kosovo sarebbe nell’interesse dell’Italia. A me l’affermazione lascia perplesso. Mi domando che cosa di positivo possiamo aspettarci – l’Europa in generale e l’Italia in particolare – da una entità statuale, non vitale e generalmente considerata un «santuario» di malavitosi, sull’altro lato dell’Adriatico, che, fatalmente, costituirà per anni una ennesima causa di contrasti e confrontazioni nei Balcani.
Mi domando anche perché, sia i favorevoli che i contrari, non facciano mai menzione di Camp Bond Steel, la base militare che gli americani hanno costruito sul territorio kosovaro (credo per il controllo delle vie di trasporto delle risorse energetiche del Caspio) e che costituisce la sola cosa di un certo rilievo nella ex provincia serba.
Giovanni Castellani Pastoris
Avevo accennato a Camp Bond Steel in un’altra risposta, qualche tempo fa. Ma è giusto ricordare che l’esistenza di una grande base degli Stati Uniti in Kosovo serve a meglio comprendere la loro politica in Europa centro-orientale e nell’area danubiano- balcanica. Camp Bond Steel si estende su una zona di circa 500 ettari nei pressi del confine macedone, ha un perimetro di circa 14 chilometri ed è attraversato da 25 km di strade. Oggi, dopo la chiusura di alcune installazioni militari in Germania, è probabilmente la più grande base degli Stati Uniti in Europa. Ed è anche un indice della nuova configurazione che la presenza militare americana nel continente è andata progressivamente assumendo dopo la fine della guerra fredda, il crollo del sistema sovietico e la disintegrazione della Jugoslavia.
Vi sono stati alcuni ridimensionamenti, per esempio alla Maddalena, ma nell’ambito di una strategia che ha spostato verso oriente la forza militare degli Stati Uniti. Penso all’accordo che il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha concluso nell’aprile del 2006 con il ministro degli Esteri bulgaro per la creazione di una base militare destinata ad accogliere complessivamente 2500 uomini. Penso all’esistenza di una base dell’aeronautica militare americana nella città romena di Costanza sul Mar Nero. Penso al raddoppio della base militare di Vicenza. Penso alla presenza di contingenti americani in Asia Centrale e in Georgia. E penso infine alle due iniziative degli Stati Uniti che hanno maggiormente contribuito a peggiorare negli ultimi mesi i rapporti fra Washington e Mosca: la creazione di una base anti-missilistica in Polonia e la installazione di una stazione radar nella Repubblica ceca. Qualcuno sperò che le elezioni polacche e l’uscita di scena di uno dei gemelli Kaczynski avrebbe permesso al nuovo governo di Varsavia di adottare un diverso atteggiamento.
Ma il Primo ministro Donald Tusk, pur desiderando migliorare i rapporti con la Russia di Putin, sembra deciso a proseguire le trattative con gli americani. Questi esempi dimostrano che gli Stati Uniti hanno approfittato della fine della guerra fredda per disegnare una nuova mappa della loro presenza militare in Europa. Hanno spostato in avanti il loro dispositivo strategico e allargato considerevolmente verso oriente l’area della loro influenza. Come ho detto rispondendo a una domanda sul Kosovo, posso tentare di comprendere, senza giustificarli, gli appetiti politici degli Stati Uniti. Ma gli europei sembrano non essersi resi conto delle reazioni che queste mosse avrebbero suscitato a Mosca dove i russi hanno oggi l’umiliante sensazione di avere perso non soltanto la guerra fredda, ma anche la Seconda guerra mondiale.
Sergio Romano