Corriere della Sera 26/2/2008; la Repubblica 26/2/2008; La Stampa 26/2/2008, 26 febbraio 2008
Articoli su Sanremo. MARTEDI’ Sanremo di gag e allusioni Corriere della Sera, martedì 26 febbraio SANREMO – A sorpresa è Gianni Morandi ad aprire il Festival di Sanremo
Articoli su Sanremo. MARTEDI’ Sanremo di gag e allusioni Corriere della Sera, martedì 26 febbraio SANREMO – A sorpresa è Gianni Morandi ad aprire il Festival di Sanremo. Canta «Volare » e la celebrazione dei 50 anni della canzone che ha cambiato la musica italiana è compiuta. Ma il Festival è di Pippo Baudo e Piero Chiambretti, conduttori in stile «coppia di fatto» – come dicono loro – che ieri sera hanno aperto la 58ª edizione del Festival di Sanremo. Altro che festival a-politico. Altro che rispetto ferreo della par condicio. tutta un’allusione, una battuta, un rimando a partiti, personaggi, votazioni. Come era immaginabile il gioco funziona, Pippo imperatore, Piero disturbatore, e pure qualcosa di più. Chiambretti scende per primo la scalinata: giacca bianca e scarpe tricolore. Annuncia: «Baudo, come Fidel Castro, ha fatto un passo indietro e si è ritirato. Grazie Pippo ». Arriva la presentazione vera, anzi no. Dovrebbe scendere Baudo. Al suo posto arrivano uno alla volta dei «tarocchi», ben dodici sosia del conduttore siciliano. « spaventoso, terribile, allontanate i bambini dal video – urla Chiambretti ”, Baudo si riproduce più velocemente della Ventura. Basta è un incubo. L’invasione degli ultrabaudi mostruosi». Spiazzante la trovata del conduttore di Markette. Ma divertente, la gente ride in sala. Il palco del Teatro Ariston si riempie di orribili cloni. «Sono i 12 Pippi Baudi che hanno presentato i 12 Festival di Sanremo dal 1968 a oggi» declama Piero che ha preso chiaramente in mano la situazione (altro che spalla, altro che disturbatore). Arriva sua Maestà «Pippo tredicesimo»: spunta da una botola e sale come il Profeta della kermesse. Dice chiaro Baudo che «noi non siamo né da una parte né dall’altra, ma in cielo». Ecco è l’inizio dei doppi sensi e degli equivoci politici. Chiambretti estrae dalla tasca la liberatoria che tutti hanno dovuto firmare prima di salire sul palco del teatro Ariston per garantire il rispetto delle regole della par condicio. «Firmi Baudo – lo incalza Chiambretti – sia Clemente, non faccia Casini». E ancora: «Faccia il Cavaliere fino in fondo ». Non ha mezzi termini Piero: «Questo è stato etichettato come Festival comunista. Abbiamo le prove del passato di Baudo». Insomma, il gioco è fin troppo svelato. Ma funziona. Chiambretti riesce a trascinare sua Maestà nell’ironia, nell’eccesso, nel paradosso. E funziona soprattutto quando Piero interrompe la liturgia che Baudo – per piacere e per dovere – non smette di celebrare. Alle 21.40 arriva la bionda (la mora comparirà stasera). molto bella, si chiama Andrea Osvart, fa l’attrice, veste Dior: è incantevole nel suo abito fucsia. Forse più attraente di lei, in questi ultimi Festival, solo Laetitia Casta. Canta una canzone, ma la voce non è per nulla esaltante. Accenna un balletto, ma i passi non sono affatto convincenti. Dice pure che per entrare in Italia dall’Ungheria si è fatta passare per domestica. Poi piagnucola e si commuove per la gioia di essere lì, al fianco di Pippo. A Baudo è piaciuta fin dal primo incontro, inutile discutere. Ficcante e cinico, Piero sentenzia: «Assomiglia alla Ricciarelli magra per questo l’hai presa ». Baudo con lui è pronto a tutto e per portare a casa il risultato (oggi l’enigma ascolti), lui, uomo di spettacolo, accetta battute d’ogni tipo. stato pronto pure a risparmiare come gli ha chiesto la Rai. Ha rinunciato alle grandi star internazionali, e ha detto sì a tutti quelli disposti a venire gratis in cambio di una bella promozione. E così ieri sera si è esibito Lanny Kravitz cui è bastato un rimborso spese, e Carlo Verdone cui sono bastate le arance siciliane inviategli da Pippo. E soprattutto un grande spottone al suo film in uscita Grande grosso e Verdone. Ma tra una gag e una canzone, un ospite e una valletta, inutile allontanare il fantasma: si affaccia sempre e comunque lei, la par condicio. Anzi, la «San condicio». I due conduttori ricordano al pubblico che «stasera si vota, anzi si televota ». Appare un muro «elettorale » con tanto di manifesti. «Abroghiamo i ritornelli» strilla il poster di Baudo. «Io canto da solo» annuncia quello di Chiambretti. Non c’è fine al gioco chiambrettiano. La lettura scelta per questa kermesse post-crisi di governo, non poteva essere che questa. «Non facciamo giri di Walter» ridacchia Pierino... Maria Volpe La mia par condicio nell’Italia dei "ma anche" Corriere della Sera, martedì 26 febbraio SANREMO – Neppure mezzora per la vestizione del guerriero, un po’ di coprente per le occhiaie, un ritocchino di cipria, lo smoking nuovo di zecca firmato Piattelli, nessun rito scaramantico. Anche se – precisa – le scarpe, di vernice brillante, sono vecchie. Stress da par condicio? «No, e poi bisogna essere elastici, se scappa una battuta non sarà la fine del mondo». Vuol dire che la battuta ci scapperà? «La battuta, lo dice la parola stessa, è vera quando è spontanea. E’ un festival di canzoni, non di testi politici. Noi tendiamo a seriosizzare tutto, un po’ di leggerezza!» . Sanremo più che mai metafora dell’Italia, luogo dove si sperimenta sempre più la convivenza dei contrari: il «giovane» Chiambretti (almeno nell’accezione nostrana) e la vecchia volpe Baudo, il bravo presentatore alto alto e il piccolo guastatore, la bionda di severo aspetto Andrea Osvart e la bruna mediterranea Bianca Guaccero. A Sanremo sono precipitati gli umori di un anno a suo modo innovativo sul fronte politico, la casta e l’anticasta, i laici e i baciapile, il nuovo e il reducismo: nel grande circo del festival (solo i giornalisti sono 1500) è sempre più difficile incontrare un debuttante assoluto. «L’Italia è così, perché rappresentare il Paese o solo con il giovanilismo o solo con i vegliardi? Bisogna tener conto di tutte le gamme». Pippo Baudo, che ha debuttato su pista sanremese nel mitico ”68 (a soli 31 anni) si è ringiovanito di colpo in coppia con Chiambretti (che sul tema dell’età ha ironizzato parecchio anche a colpi di cloni): ma il suo amico Ciriaco De Mita, con i suoi 80 appena compiuti, è caduto per la parola d’ordine del rinnovamento veltroniano. «E mi è dispiaciuto moltissimo. Credo che un ruolo nel nuovo partito avrebbero potuto darglielo ». Mentre un altro ultraottantenne di valore, Umberto Veronesi è stato valorizzato perché, dice lui, «si può essere vecchi ma con idee». «Condivido – ribatte Baudo – anche se mi pare che De Mita faccia parte della categoria». Il bravo presentatore e il guastatore giocano a scambiarsi i ruoli e il festival si annuncia, pur nel rispetto doveroso della par condicio, come la saga del «ma anche». Chiambretti ha paragonato se stesso a Pannella ma anche ad Obama, e Baudo a Hillary ma anche alla Binetti. Lei chi preferisce fra le due? «Beh, la differenza è notevole… ». Nel senso che voterebbe Hillary se fosse americano? «Sono molto indeciso, lei è notevole, ma Obama è una figura prepotentemente nuova, mediatica, che potrebbe far partire dall’America un bel rinnovamento ». Ancora una volta il ma anche, in puro stile veltroniano: e la par condicio? Qui scoppia la risata baudiana. «Ma è l’Italia che è: ma anche!». Serafico, non demonizzante, proprio come i due candidati gemelli della politica italiana, Walter e Silvio, anche Baudo si aggira dietro le quinte sanando conflitti. E’ riuscito così a placare le smanie di un’indemoniata Loredana Bertè che non voleva cantare alle prove (lamentava che le avevano rubato due microfoni), e soltanto quando lui le ha riservato il riguardo di salire sul palco e di annunciarla come una gran diva, si è arresa; e al termine di tre repliche da applauso gli ha baciato le mani, docile come un agnellino, sussurrandogli lungamente all’orecchio. Ma cosa le raccontava Loredana in quei momenti? «Mi riversava addosso un sacco di frammenti di discorso; è una ragazza che a volte soffre un po’ di confusione mentale, ma è una donna sola, che va aiutata. Ha bisogno di affetto» . La vestizione è finita, Pippo Baudo si alza, esce dal camerino disadorno e va verso il Sanremo numero 58, funestato (o rinvigorito?) dal turbine elettorale. Maria Luisa Agnese Lucilla Agosti: scelta perché maliziosa e zen Corriere della Sera, martedì 26 febbraio SANREMO – Bella è bella: occhi verdi, lineamenti rinascimentali, capelli biondi e gambe che hanno molti fan su Internet. Nonostante azzecchi pure i congiuntivi e scelga con cura le parole, Lucilla Agosti non si sente sacrificata al DopoFestival: «Non farei cambio. Ci sono scale che è giusto fare passo dopo passo: per sentirsi sicuri professionalmente e perché mi sento zen e credo agli eventi che si inanellano. Insomma, se l’anno prossimo Baudo mi chiama all’Ariston ci vado ». Lucilla ha studiato teatro ed è stata uno dei primi veejay di AllMusic (ai tempi si chiamava Viva) dove ha intervistato decine di cantanti italiani: «Mi ha sorpreso Allevi, un puro. Zampaglione-Tiromancino invece non è stato molto disponibile». E qui per chi tifa? «Nell’ordine: Gazzè, L’Aura e Tricarico ». Al DopoFestival l’hanno voluta Elio e le Storie Tese: «Credo che abbiano avvertito la mia capacità di fare discorsi seri senza perdere l’ironia, di essere presa in giro ma saper essere allo stesso tempo maliziosa». Come in «Tutti nudi», il programma di AllMusic dove perfetti sconosciuti improvvisano spogliarelli caserecci. O come nei filmati – uno dal titolo equivoco: «Divini incontri d’orgasmo » – che girano su Internet: «In quei corti non ci sono scene di nudo: mi si vede una volta di spalle senza vestiti. Sono inquadrature pertinenti al racconto. Le rifarei. Troverei più ridicolo fare un calendario». Cinema ( La febbre di D’Alatri e Il mercante di pietre di Martinelli) e teatro sono il suo sogno: «Recitare è il mio grande fuoco: è un’arte. La tv è solo intrattenimento». Agli esordi ha fatto mille lavoretti. «Anche l’aiuto cuoco. Mi piace cucinare: dolci e riso con verdure in stile sud-est asiatico. Per cucinare e recitare servono gli stessi elementi: estro, creatività e bilanciamento degli ingredienti ». Dalla tv di nicchia al grande circo mediatico. Sente il peso? « un’esperienza importante ed è giusto che mi agiti. Però non prendo nessuna pastiglia per calmarmi. Non voglio perdermi l’emozione». Una definizione per i colleghi. Pippo? «Un signore che sa mettere chiunque a proprio agio». Chiambretti? «Sagace e tagliente». La Guaccero? «Se fossi un uomo perderei la testa: è una bellezza profondamente italiana». Andrea Osvart? «Si fa conoscere meno. Sembra una bambola». Trovato con chi fare il cambio. Andrea Laffranchi *** E Sanremo si prende in giro la Repubblica, martedì 26 febbraio il Festival del "ma anche". L´incertezza politica è massima – il "distacco colmabile", che ansia – e Sanremo non si sbilancia, tiene insieme per non sbagliare, nessuno si senta escluso. il festival dell´incognita politica prossima ventura pronto ad andare avanti o tornare indietro: l´unica posizione possibile quando mancano 49 giorni al voto in un anno per giunta bisestile. tutto è possibile e nessuno è in grado di dire quale sia la direzione giusta, ovviamente quella di chi vince. tutto in bilico, qui, fra un timido accenno di rinnovamento e una potente dose di amarcord. C´è la ragazzina bionda del dopofestival, Lucilla Agosti, stessa faccia senza trucco della Marianna capolista nel Lazio del Pd di Veltroni e stessa parte in commedia - porta "in dote" la sua spontaneità - ma c´è anche Little Tony che ha solo due anni meno di Paolo Cirino Pomicino e come lui ha patito un infarto. Lucia Ocone imita Mina e Loretta Goggi, gioca il ruolo della in fondo graziosa ma soprattutto intelligente che per qualche ragione tocca sempre alle brune, Victoria Cabello e Paola Cortellesi, per dire. Ci sono i figli d´arte tipo Daniele Battaglia (il padre Dodi, chitarrista del Pooh) che come Matteo Colaninno sono "bravi nonostante il cognome" ma anche i veterani fuoriclasse tipo Loredana Bertè, che strilla perché le hanno sottratto il "suo" microfono (l´aveva segnato col pennarello indelebile) e chiama nella notte insonne il 118 perché ha avvistato non si sa quale pericolo, la vita del resto ne è colma. Il bambino prodigio di nove anni che suona Beethoven come un piccolo Mozart ma anche Toto Cutugno, qui al suo quattrordicesimo festival reduce da un cancro alla prostata perciò migliorato dalla sofferenza. Soprattutto ci sono Pippo Baudo e Piero Chiambretti, incarnazione fisica della differenza (anche politica, ma sì), uno alto uno basso, uno attempato uno più giovane, Baudo accolto sul palco da tredici cloni: uno per ogni edizione presentata dal sessantotto ad oggi, quarant´anni esatti. Uno che «vuole il palco tradizionale uno che ha bisogno di spazio per muoversi e di sorprese», spiega lo scenografo Gaetano Castelli, ma alla fine funzionali e necessari uno all´altro, perfettamente compatibili come tanti antagonisti apparenti della politica nostrana, appunto, in fondo simili. C´è un clima da anni Ottanta riverniciato di nuovo, certe pellicce di visone lunghe fino ai piedi non si vedono da vent´anni ma anche il "socialmente impegnato" che fa tanto moderno: Anna Tatangelo, la favorita dei pronostici, canta di un amore gay "in fondo" non diverso dagli altri. In fondo, però. Il suo fidanzato Gigi D´Alessio, mingherlino boss della canzone napoletana incongruamente acclamato da fan in tempesta ormonale ("che ti farei", gli urlano sotto la finestra) pranza con un cappello da baseball in compagnia di dieci persone dello staff. Anche Al Bano tiene il cappello a tavola, si vede che fa status. Cappon, il direttore generale della Rai, dice che «non ha mai visto una vigilia così tranquilla», il sindaco della città vede rispetto agli anni scorsi «un clima più sereno e rilassato, speriamo non troppo». E´ come la campagna elettorale voluta da Veltroni e Berlusconi: toni smussati. Speriamo non troppo. Si firma, come da molti anni a questa parte, andando in tv sotto elezioni, una liberatoria che mette la Rai al riparo da violazioni della par condicio. Jovanotti si asterrà dal cantare l´inno del Pd, è evidente. Anche le minacce di suicidio si aggiornano allo spirito del tempo: ogni anno c´è qualcuno che approfitta delle telecamere accese su questo set open air per farsi sentire. All´inizio denunciavano "il festival è truccato", che meravigliosa ingenuità. Qualche anno fa chiedevano un lavoro. Ieri l´aspirante suicida diceva dal megafono che non è vero che ha picchiato la convivente ucraina. Abbondano vedove e orfani, come in ogni lista elettorale. La vedova Modugno fa da madrina all´annullo del francobollo "Volare" omaggiata come una regina. Sul corso passeggiano in splendida solitudine Adriano Aragozzini, Gianni Ippoliti. Uno dei miracoli di Sanremo è quello di far rivivere per una settimana persone che esistono solo qui. All´aeroporto di Nizza atterrano aerei privati come se piovesse. Da uno scendono solo due bambini e un cane: uno spettacolo da soap dell´era Dallas. Il foyer del Royal, albergo altrimenti destinato a miliardari (anche italiani) che svernano sotto i sontuosi lampadari di Murano con badante e maggiordomo, si popola di superstar di colore e di faccendieri abbronzati fuori stagione, pochette di leopardo e forte accento regionale, sovente del Sud. Ci si chiede, nella hall, come sarà la prima "stagione del dopo Lele Mora". L´impressione è che sia uguale a quella del prima, un po´ come per il dopo Moggi. Elisabetta Gregoraci, protagonista dello scandalo di mezz´ora chiamato Vallettopoli e oggi futura signora Briatore, è qui che inaugura come star ospite il Sanremo Expo Music. I manager in gessato sono tutti gli stessi. Ci sono alcuni brani sui tagliatori di teste e sugli emigranti, è vero, ma la leggera maggioranza sta sul del tutto - per così dire - inoffensivo tema dell´amore. Lenny Kravitz è venuto in autobus per non inquinare. Canta "It´s time for a love revolution": purtroppo per la campagna del Pd non era pronta. Concita De Gregorio L’invasione degli ultra Baudi la Repubblica, martedì 26 febbraio La corazzata Baudomkin è salpata tra le acque burrascose della par condicio. Ma con Pippo al timone, il varietà televisivo non fa acqua. Se ci sono bulloni lenti, un portellone cigola e qualcuno della ciurma non rispetta le consegne, fa solo parte del bello della diretta. Quest´anno ci sono anche i 50 anni di "Nel blu dipinto di blu" da celebrare e Modugno è un affidabile santo protettore. E uno scoppiettante Chiambretti a far da Pierino, pronto a fronteggiare l´invasione dell´Ultrabaudo e disimpegnarsi in una manifestazione concepita sotto il governo Prodi, «già etichettata come Festival comunista. Pippo sia Clemente, non faccia Casini, sia Cavaliere fino in fondo. Inutile fare giri di Walter», azzarda la peste di "Markette". Poi al sindaco e all´assessore, che per ovvi motivi non possono essere inquadrati, propone d´indossare la maschera di Diabolik per poter consegnare il premio al vincitore nella serata finale. Come pretendere che il Signor Sanremo, a 58 anni, non abbia qualche acciacco, che non sia un po´ azzimato o con il riportino? Ne risentono le canzoni e ci guadagna quella parte dello spettacolo deputata a far ridere, il varietà. Da Bagaglino in quell´inutile balletto della stonata valletta Andrea Osvart, attrice di professione, il cui sogno è «diventare come le grandi attrici "vere" di un tempo». Quest´anno quello che Piero Chiambretti ha chiamato «il pacchetto Baudo-classics», ha creato qualche perplessità sulle selezioni. E´ passata la linea che una canzone "buca" più facilmente se parla di sesso o ha un contenuto a sfondo sociopolitico (secondo quest´ottica "Volare", con cui ieri sera Gianni Morandi ha celebrato Modugno, sarebbe un motivetto da quattro soldi). Ecco perché, già nella prima di cinque serate, dove si sono esibiti la metà di giovani e big in gara, ci sono piovute addosso canzoni sull´amore gay (ieri Anna Tatangelo, domani la giovane Valeria Vaglio), sull´Italia dei furbetti (il rap «di sinistra» di Frankie Hi-Nrg Mc addomesticato da un´intro spaghetti western), sul Novecento di Moro e Berlinguer, condensato in una canzone-Bignami dal colto esordiente Valerio Sanzotta. No, "Il falco chiuso in gabbia", di Cutugno, non è un doppio senso. Non è da Toto, festivaliero integralista, gentiluomo della canzone. Osa di più Max Gazzè con "Il solito sesso", che allude a quella cosa che i ragazzi sempre vogliono dalle ragazze. Colpo di scena: Fabrizio Moro, che l´anno scorso vinse tra i giovani con "Pensa", la canzone sulla mafia, è sceso in gara tra i big con una ballata d´amore, "Eppure mi hai cambiato la vita". Che, anche se parla della sua love story andata in frantumi, sa di Vasco in tutto e per tutto. Lo sforzo di non ripetersi è encomiabile, ma la canzone non "buca". Al leghista Borghezio sarà venuta l´ulcera, quando Eugenio Bennato ha elencato, a ritmo di taranta, le magie del "Grande Sud". O ascoltando il contagioso ritmo balcanico, sporco e gitano, di "Para parà ra rara", del trio Frank Head. Di ovvietà festivaliere è piena la serata, canzoni che già dalle prime note scatenano violente reazioni di noia «Ommammamia, chi le ha scelte?». Inutile protestare, del pacchetto Baudo-classics fanno parte anche Michele Zarrillo, Paolo Meneguzzi, L´Aura. E, tra i giovani, Daniele Battaglia, 26enne figlio di Dodi dei Pooh, che tutto è tranne che un nuovo paladino dell´italica melodia. Dei sette giovani in gara, solo quattro, scelti da una giuria demoscopica, accederanno alla finale di venerdì, insieme ad altri quattro selezionati nella serata di domani (il vincitore dei big sarà invece proclamato sabato conteggiando i gradimenti della giuria demoscopica, della giuria di qualità e delle televoto, in percentuale del 20, 30 e 50 per cento). Arriva in chiusura di serata, dopo la presentazione di "High School Musical", l´esibizione del superospite Lenny Kravitz e il siparietto comico di Carlo Verdone (con i personaggi del film "Grande, grosso e verdone"; tornerà all´Ariston sabato con Claudia Gerini per ricostituire la coppia di «famolo strano»), "Vita tranquilla", il brano di Tricarico che quest´anno meriterebbe il primo posto. Che non parla né di politica né di sesso, è dichiaratamente antiVasco, e sogna e sospira, proprio come una canzone. Che sollievo, quando il mare si calma e la nave da guerra lascia andare nella notte la scialuppa del Dopofestival, condotto da Elio e le Storie Tese. Tra scherzi, parodie e jam session, si cerca di sciogliere il dilemma. Ma Gigi D´Alessio (autore del brano della sua Tatangelo) lo sa per esperienza che nel sesso tra uomini «il brivido è lo stesso / forse un po´ di più». O si tratta solo di un luogo, diciamo così, poetico Giuseppe Videtti Sempre meglio Pierino della musica la Repubblica, martedì 26 febbraio Appesi a Chiambretti – che per complessione fisica non ne può reggere moltissimi. Baudo compreso, nel Festival che vorrebbe tanto significare qualcosa, innescare polemiche, far parlare. Di che? Il primo approccio con le canzoni è desolante, l´ideale sarebbe che Chiambretti entrasse a metà fulminando il canterino di turno con una battuta. Pierino azzecca una gag su tre, ma è una percentuale comunque mostruosa. Dice cose terribili a Del Noce che è seduto in prima fila con la faccia di quello che pensa quello che pensava l´anno scorso (ovvero agli ascolti stratosferici di Bonolis). I cloni di Baudo, il vero Pippo che sale dalla botola devono essere farina del sacco del consulente Brachetti: ne esce una cosuccia passabile, finché non arrivano i cantanti, i giovani soprattutto, a richiamarci alla dura realtà. Le gentili parole su Sanremo ribadite ieri dal capo della discografia italiana, Mazza, su un Festival totalmente da rifare, aleggiano pesantissime. Soprattutto quelle sull´età media di chi segue il Festival, oltre i 50. Quella dei due conduttori supera i 60, se è per quello. Ma vista com´è combinata la discografia, farsi vituperare dai discografici è davvero il minimo della vita. Apoteosi per i cinquantenni e oltre a Blob. Che rivolge un pensiero deferente al Festival in apertura, ieri. Altro che Volare. Mandano Laura Luca, "Domani Domani", Sanremo 1978, testo e musica di Gian Pieretti. Antonio Dipollina Lenny Kravitz a Sanremo la Repubblica, martedì 26 febbraio «La sfida tra Obama e Hillary Clinton è il segno che oggi tutto è possibile in America. La gente è stanca e queste elezioni presidenziali rappresentano l´ultimo treno per un cambiamento nel nostro paese». un Lenny Kravitz sorprendente quello che arriva a Sanremo, primo tra gli ospiti internazionali a salire sul palco dell´Ariston. Nelle sue canzoni Kravitz ha sempre declinato l´amore, per anni è stato l´oggetto del desiderio di gossip e giornali rosa ma oggi, sulle ali del suo nuovo album It´s time for a love revolution, il musicista rivela una coscienza politica, ammette i suoi errori e dice basta al music business e ai suoi riti. Cos´è accaduto grazie a questo nuovo album? «Mi ha riportano sulla strada che avevo abbandonato e in cui invece dovevo restare. Ho messo da parte business, interesse per fama e soldi. Riconosco di aver fatto anche cose in cui non credevo solo per il mercato. Con questo album sono tornato la stessa persona che 19 anni fa fece uscire il primo album "Let love rule"». Perché una canzone politica come Back in Vietnam? «Perché la guerra non è necessaria, nessuna guerra lo è. Come esseri umani siamo stati in grado di sviluppare la tecnologia in modo sorprendente ma non riusciamo ancora a risolvere i conflitti senza ricorrere alla violenza. In America sembriamo uscire dagli anni 50, fino a tre anni fa non si poteva parlare contro il governo: all´inizio della guerra ho scritto We want peace e l´ho cantata con un cantante iracheno: il giorno dopo è stata messa al bando e il New York Post ha pubblicato una mia foto accanto a quella di Saddam Hussein, accusandomi di antiamericanismo. Ora ho scritto Back in Vietnam perché ci sono molte somiglianze tra la guerra in Iraq e quella in Vietnam e oggi come allora cambiare è possibile. Culturalmente le cose sono mutate: i trentenni di oggi sono cresciuti nell´hip hop, che ha cambiato il mondo come il rock´n´roll fece negli anni Sessanta». Anche i suoni di questo nuovo disco sembrano arrivare dagli anni Sessanta. «I critici dicono che faccio musica vecchio stile, il fatto è che amo usare strumenti veri. Avrei potuto usare strumenti digitali, sintetizzatori e computer ma non l´ho mai fatto: una drum machine suona sempre allo stesso modo, ma non potrà mai diventare riconoscibile come il tocco di Ringo Starr o di John Bonham». Carlo Moretti **** L’invasione degli ultrabaudi La Stampa, martedì 26 febbraio L’invasione degli ultrabaudi: si è prodotta ieri sera. In una illusoria velocità di svolgimento che è andata spegnendosi con il passare delle ore, e s’è trasformata in mortale stanchezza. Non ci aspettavamo che la prima serata del 58° Festival di Sanremo (regia di Gino Landi, luccicante, aerea scenografia di Gaetano Castelli) s’iniziasse con Morandi in versione neomelodica a reinterpretare Nel blu dipinto di blu. Eppure l’aveva detto, Baudo, che sarebbe stato l’anno delle sorprese. Buone. Essendo quelle cattive, cioè le polemiche inventate ad arte, soprattutto politiche, proibite dalla par condicio. Dopo Morandi, la voce fuori campo annuncia stentorea Superpippo. Invece salta fuori Chiambretti in smoking spezzato, giacca bianca, pantaloni neri e scarpe tricolore, viva l’Italia. Scherza con Del Noce (accanto al direttore di Raiuno in prima fila, Parietti scollatissima in rosso e Giletti in nero), vuole sequestrargli il telefonino, lo fruga, gli dice «me lo dia, so che si diverte». Non lo bacia, però, sulla bocca. Chiama un grande applauso al maestro Caruso «poiché è ancora vivo», gli dà dei fiori e gli dice «li metta sulla tomba». Poi arrivano tanti pippibaudi, i figuranti con le maschere zampillano e ruscellano da ogni dove, sono 12 come le edizioni del Festival condotte dall’eroe ormai eponimo. Finalmente ecco Pippo 13°: ascende dalle assi del palcoscenico sulle note della sinfonia della Norma di Bellini, catanese come il presentatore, fior di citazione. Battute: «Sia Clemente, non faccia Casini». «Io non faccio Casini, sono Clemente». «Faccia il Cavaliere fino in fondo». «Da mesi dicono che questo Festival è comunista, ma «siamo a Canterò, non a Ballarò. Pippo viene dal Circolo falce e Militello, è come Fidel Castro, solo che non si ritira». I cantanti cominciano, era ora, a cantare, saremmo qui apposta, i tempi si dilatano perché una parola buona non si nega a nessuno. Scoppiettii ideativi per l’introduzione della bionda ungherese Andrea Osvart in fucsia, poi in rosa antico e poi in rosso: la presentano come il frutto di una ricerca fatta da 007, lei ricorda di quando sul permesso di soggiorno aveva scritto «domestica», balla, purtroppo canta, è stonata ma autoironica, che fa tendenza; infatti in seguito stona meno, si dice tanto emozionata e piange e ricorda la cara mamma e fa uno spogliarello sul letto di un Chiambretti dormiente in camicione a righe bianche e rosse, intrattiene Lanny Kravitz in fluente inglese. Troppi, i momenti di spettacolo. Come se sempre meno si credesse nel potere attrattivo delle canzoni. Sul solido, nei secoli tosto albero di Baudo, ha fatto molto l’innesto operativo di Chiambretti, che a un certo punto è uscito dall’Ariston per andare a trovare un suo particolare, surreale gruppo di ascolto, prete compreso. Importante pure il ruolo parlante dei cantanti, che sarebbero anche i legittimi protagonisti. Solo che si dilata all’infinito la puntata: e d’altronde sulla brevità, e sulla speranza di avere 3 serate invece di 5, ci abbiamo messo una pietra sopra. C’è il tentativo di attirare pubblico più giovane: sia con le scelte artistiche, sia nella dinamica dello show, che ha un preciso modello negli Mtv Awards, per luci, movimenti di macchina, contenuti. Pubblicità massacrante: gli spot son soldi, ma abbassano tensione e qualità. Sempre debole il ruolo dell’ospite, che ieri era Verdone: ha rifatto il personaggio di un suo film in uscita, il candido Leo, con moglie Tecla (Geppi Cucciari) e due bambini, tutti vestiti da scout. Blande battute su sesso, chiesa e superstizione. Una conferma che gli ospiti sono superflui, si potrebbe proprio farne a meno. Sui titoli di coda esultano i quattro finalisti «Giovani» ammessi alla finale di venerdì: Giua, Valerio Sanzotta, Frank Head e Milagro. Alessandra Comazzi La Grande Baraccconata s’abbatte sull’Italia depressa La Stampa, martedì 26 febbraio La situazione è questa: ieri pomeriggio un pregiudicato fuori di testa, un certo Carmine, accusato di reati infamanti, si arrampica sul tetto di una casa in piazza Colombo, a un passo dall’Ariston, e minaccia di buttarsi se non avrà una giustizia giusta, ovvero la giustizia come piace a lui; il popolo - che gremisce la piazza per godersi gli spettacoli che il Comune ammannisce in tempo di Festival - si spassa moltissimo e fotografa il fuori di testa con i telefonini e gli grida «buttati!»; il mago Bellantuono, in piazza per lo spettacolo, prende in mano la situazione e tratta con il fuori di testa, chiamandolo ora Carmelo, ora Raimondo; le tivù locali si esibiscono in un’appassionante diretta; il fuori di testa ottiene un microfono per concionare il popolo. Alla fine non si butta. Pippo Baudo non interviene: lui ha competenza solo sui matti dentro l’Ariston. E poi dicono che Sanremo non è più la metafora del Paese. Il carrozzone è partito, e già gli scribi si pongono la rituale domanda: come riempire di parole il nulla che ci separa da sabato. E s’ingegnano di conseguenza. Si nota l’«oscuramento» di Arturo Brachetti: Baudo l’ha voluto come consulente, ma il Festival non lo ostenta come potrebbe, trattandosi dell’unica star internazionale che ha per le mani. Il cardinal Raveggi, funzionario Rai al cui confronto Richelieu era un sanguigno, glissa. Ne sentirà tante, e tante ne disinnescherà, nei prossimi giorni. Per dire: un tempo si sparava sulla Rai che scialava per ingaggiare inutili e costose star hollywoodiane; adesso, si critica il mancato ingaggio di Johnny Depp. Nessuno sa a che servirebbe, ma non importa. E’ il Festival, bellezza. Oggi va così, domani si vedrà. Domani magari vi intratterremo sulla rivalità fra Baudo e Chiambretti. Studiata a tavolino, s’intende, come quella fra la bruna e la bionda, per dilettare il popolo. Ma un pizzico di preoccupazione turba per davvero Pierino. Agli amici continua a ripetere, come un mantra: «Andrà tutto bene, farò del mio meglio, certo che Lui parla, parla, ti sovrasta...». Chi sia Lui, a Sanremo è risposta facile facile. Ai disperati cercatori di pimento torna utile anche la par condicio elettorale in versione locale, con i politici sanremesi confinati in un apposito settore dell’Ariston dove le telecamere non si spingeranno mai. L’angolino della Casta, insomma. Ciascuno s’arrabatta per quei cinque minuti di visibilità che a Sanremo non si negano a nessuno: neppure alla Gregoraci, se s’appalesa qua e là. Approfittando del Festival convocano una conferenza stampa persino i sostenitori della messa in latino, adducendo una contiguità fra il canto gregoriano e la canzonetta. Se vi sembra assurdo, state certi che ne vedremo di più straordinarie. Quest’anno c’è pure la Berté, che dà già segni d’insofferenza. Eppure oggi si avverte, all’ombra delle palme e tra le cosciallegre convenute in Riviera in cerca di fortuna, un senso di vago scoramento; come il sospetto che la Grande Baracconata stavolta non riuscirà. Non come in passato, almeno. Forse perché la Grande Baracconata s’abbatte su un’Italia depressa, sconcertata, povera; un’Italia che per la prima volta da decenni davvero stenta a tirare la fine del mese, a unire il pranzo con la cena. E non ha tanto la testa per le simpatiche buffonate di Pippo e soci. Il disagio del Paese, non la crisi del disco come qualcuno vaticinava, potrebbe mettere in ginocchio il Festival: e chissà che stavolta non ci ritroviamo per davvero tutti qui a fare il controcanto al cigno. Che muore quando meno te l’aspetti. Gabriele Ferraris Svecchiare il Festival? Yes we can la Stampa, martedì 26 febbraio Perché Sanremo è Sanremo, anche nel 2008? «Innanzi tutto - rubiamo le parole a Del Noce - per Chiambretti, che avrà un ruolo paritario rispetto a Baudo ma diverso». Bisogna riconoscere che il direttore di Raiuno prova da anni a rinnovare Sanremo, con esiti diversi: tutti ricordiamo le edizioni di Panariello con Victoria Cabello, di Simona Ventura e Paolo Bonolis. Ora, in perfetta sintonia con il clima politico, punta sul duo Pippo-Piero che evoca tanto le larghe intese Berlusconi-Veltroni. Il problema principale della tv di Stato è quello di riuscire a fare centro anche nel pubblico commerciale che interessa tanto ai pubblicitari, e cioè tra i 15 e i 54 anni. Vedremo se il Pierino «paritario», per dirla alla Del Noce, farà il miracolo di svecchiare un po’ la solita Raiuno jurassica di Baudo. Altrimenti per il prossimo anno si sta scaldando a bordo campo Carlo Conti. Al festival della prevedibilità la vittoria va a Napoli col neokitch filo-gay di Amico mio, così magari «munnezza scaccia munnezza»… Seconda Roma. Terza Milano. Dovrebbe vincere Anna Tatangelo, 21 anni e già 5 partecipazioni al Festival, una cantante col santino di Padre Pio in tasca, Gigi D’Alessio al fianco e Baudo dietro, che la spinge forsennatamente, fin dall’esordio a Sanremo giovani sei anni fa. Non bastasse quel pizzico di zapaterismo alle vongole della canzone sull’amico diverso della Tatangelo, si dice sia secondo in pectore il romano-veltroniano Fabrizio Moro, che ha vinto tra i Giovani l’anno scorso. Stavolta si presenta con una canzone d’amore. Per terzo possibile classificato i bookmaker danno l’ottimo Tricarico, prodotto dal Clan Celentano-Mori, che fa pure un po’ Milano: Vita tranquilla, sorta di anti-canzone della celeberrima Vita spericolata di Vasco Rossi, gioca proprio su quella serenità che fa tanto momento politico elettorale d’oggi. Per una sorta di versione italiana dell’«Yes, we can» obamiano, ci si può attestare pure sul delicato rap di Jovanotti «io-lo-so-che-non-sono-solo». Very veltroniano. In ogni caso l’insieme canzonettistico, fa il paio con l’operazione Chiambretti per svecchiare Sanremo e Raiuno. Missione impossibile? Vista la controprogrammazione di Mediaset, molto scarsa, la risposta per questa prima serata non è certo un no assoluto. Paolo Martini Le Pagelle di Marinella Venegoni La Stampa, martedì 26 febbraio PAOLO MENEGUZZI: 4 «GRANDE» (Amore entusiasta). Nel semenzaio delle ballads d’amore c’è una zona riservata al modello Meneguzzi: vi si coltivano pezzullini pop per teenagers, di ampia melodia a pronta presa, dove gli archi salgono con la voce dello svizzerotto carino. Ma la musica non lascia segno. Spiace questa volta per l’autore, Gatto Pancieri. Alla prossima. L’AURA: 5 «Basta!» (No alle guerre). Libera come sempre da costrizioni di genere, L’Aura propone una melodia liquida che poi si apre ad atmosfere rock (come quasi tutto quest’anno) ma ti lascia un po’ così. Lo slancio pacifista giovanile, e l’eventuale freschezza dell’insieme, sono come affogati in un mare di suoni: è l’industria, bellezza. TOTO CUTUGNO: 5 «Un falco chiuso in gabbia» (Amore volato via). Triste autocritica amorosa di un innamorato agé, dopo che lei si è decisa per un altro. Non invecchia Cutugno, né di voce né di scatto: come sempre, è maestro di melodie contagiose e spesso gli sfugge la citazione di un collega (questa volta, tocca a «Tre settimane da raccontare» di Bongusto). FRANKIE HI NRG: 9 «Rivoluzione» (Ritratto italiano). Un omaggio a Morricone, e l’inequivocabile tromba messicana della revolution, aprono la strada a un mix di rap e canto del più «duro e puro» rapper storico italiano. Lo sfondo musicale cinematografico accompagna un ritratto acuto e spietato del Belpaese, fra tangenti, massoni, furbetti e vallette; ma l’invito a reagire trova il portone chiuso. FABRIZIO MORO: 5 «Eppure mi hai cambiato la vita». (Che fatica cercare un’altra donna). Dopo il successo dello scorso anno con il rap sulla mafia, il giovane Moro ha ripiegato su una canzone d’amore dove l’ombra di Vasco è talmente vasta e inquietante, da lasciare perplessi. Ma un Vasco basta (e avanza?). ANNA TATANGELO: 4 «Il mio amico» (Anche i gay hanno un cuore). Di Anna si apprezzano la bellezza e la voce, che lei tiene saggiamente contenuta qui, mentre spalanca in questa ballata la porta già aperta del rispetto per il mondo gay: «Dimmi che male c’è/Se ami un altro come te». Senza poesia, senza eleganza, senza un colpo d’ala: che peccato. MICHELE ZARRILLO: 5 «L’ultimo film insieme» (Amore sospettoso).La specialità di casa Zarrillo sono questi pezzi amorosi lievemente malinconici, pop, educati, cantabili, di grandissimo seguito, con alcuni step che mettono in rilievo il timbro vocale. Ma dopo tanti esemplari, si comincia a sentire una certa stanchezza. Tornasse con un rock, o un rap? EUGENIO BENNATO: 7 «Grande Sud» (Breve storia dell’emigrazione). Un vitale sabba che fa respirare la pizzica e ci fa saltare con la taranta: a Sanremo solo ora, dopo che l’ha imparata pure Madonna. Bennato canta la gara «a chi è più meridionale»: dal treno carico di «terroni», al ghetto che esporta orgogliosamente la propria musica, Bennato solletica il pensiero e l’allegria. MAX GAZZE’: 6 «Il solito sesso» (Corteggiamento). Un pezzo etereo e delicato, tanto che s’intravede il rischio dell’evanescenza: questo è un po’ il problema con il quale il buon Max Gazzè deve combattere. Lo stile musicale è il suo consueto, l’idea del testo è una gradevole ed educata telefonata a una ragazza appena conosciuta, per convincerla a un nuovo incontro. TRICARICO: 8 «Vita tranquilla» (Esistenziale). A chi ha buona memoria ricorderà un poco Franco Fanigliulo. Come lui, Tricarico ha sempre l’aria trasognata di chi si è appena svegliato; da lì, verrà forse il senso di sincerità che affiora in ogni verso della ballad semplice e accorata («è da quando son nato/Che sono spericolato»). In un Festival normale potrebbe pure vincere. I 7 GIOVANI Serata magra. Di un qualche spessore ci è parso il cantautore Andrea Bonomo, che canta la sua mamma in Anna; nella generale tristezza ci hanno un po’ tirati su con il loro saltellante ska i Frank Head con Para para’ Ra rara: certo vengono da una storia che va dagli Statuto ai Gogol Bordello. Reduci dai fasti di un inatteso successo giapponese grazie a My Space, i ragazzi di Settimo&Torino Melody Fall hanno mostrato una buona vivacità in Ascoltami, che guarda al mondo di Blink 182 & c. Un po’ deludente Daniele Battaglia, figlio di Dodi eroe della chitarra con i Pooh: manca di impronta personale. Valerio Sanzotta, il Pietrangeli de noantri, non ha sufficiente carisma dal vivo nella ballata Novecento; da riascoltare infine Giua, in Tanto non vengo.