boh, 25 febbraio 2008
TESSERATI
Cgil (2006)
Totale tesserati 5.650.942
Di cui attivi 2.637.913 - pensionati 2.993.584 - disoccupati 19.445
Rispetto al 2005 (5.617.825) ci sono 33.117 tesserati in più (+0,59%).
Rispetto al 2005 ci sono 5.800 pensionati in meno (- 0,19%).
La categoria che rappresenta il lavoro precario (NidiL) segna una crescita del 31,76 per cento (+7000 iscritti).
Crescono gli iscritti sotto i 30 anni (+16%), concentrati nelle grandi aree metropolitane e in alcuni poli industriali.
In calo i settori dell’industria: Filtea (tessili) – 4,9%; Filcem (chimici ed elettrici) – 1,32%; Fiom (meccanici) – 0,22%
Cresce il tesseramento tra le donne (+11% del totale della crescita degli iscritti) e gli immigrati (+18%). Le donne in tutto rappresentano il 45% degli iscritti e sono soprattutto in Filtea, Filcams, Flai, Flc, NidiL, Funzione pubblica.
Gli immigrati sono oltre 240.000 sul totale delle categorie attive.
La crescita di tesseramenti è particolarmente forte in Molise (+3,98%), Liguria (1,51%) e Sicilia (1,13%).
Uil (2006)
Totale tesserati 1.935.925 (nel 2005: 1.923.885)
Di cui pensionati: 552.713
Lavoratori attivi: 1.180.662
Rispetto al 2005 diminuiscono i lavoratori dell’industria: da 348.425 sono scesi nel 2006 a 344.878
Distribuzione geografica: Nord 652.810; Centro 313.166; Sud 767.399
Cisl (2006)
Tesseramento 2005: 4.287.551
Tesseramento 2006: 4.346.952
I pensionati tesserati nel 2006: 2.173.431
Qualche dato in più sugli immigrati
Milano - Circa il 20% degli iscritti alla Cgil, ovvero uno su cinque, è immigrato. D’altra parte circa il 72% degli immigrati regolari è iscritto ad un sindacato e il numero di stranieri sindacalizzati cresce ad un ritmo impressionante, oltre 100mila nuove tessere all’anno, tanto che negli ultimi cinque anni più del 30% di nuove iscrizioni sono arrivate proprio da loro. La penetrazione del sindacato tra i lavoratori stranieri varia molto da regione a regione, a seconda della forza del sindacato, della presenza di immigrati e dello stato di salute di settori produttivi che tipicamente impiegano manodopera straniera. In Lombardia, per esempio, ha spiegato ieri la segretaria confederale della Cgil Morena Piccinini durante la «Conferenza regionale dei migranti», la percentuale media di iscritti non italiani scende al 10%, ma con punte del 25% nell’edilizia. Il picco massimo di stranieri tesserati Cgil si trova invece in Emilia Romagna, regione rossa e ad alta occupazione, seguita a distanza da Campania, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Lazio (altre statistiche si trovano nel IV rapporto Ires su «Immigrazione e sindacato»).
Sono dunque loro, i lavoratori immigrati, il nuovo bacino di consenso del sindacato e della Cgil in particolare, che non a caso ha sposato la causa della regolarizzazione degli extracomunitari facendone la propria bandiera multicolore. Il congresso della Cgil, a marzo, si è aperto con un annuncio del segretario Guglielmo Epifani che suonava come un programma politico per gli anni a venire: cittadinanza ai figli dei lavoratori immigrati che nascono in Italia, senza bisogno di aspettare il raggiungimento del 18° anno d’età per fare domanda. «La maggior parte degli stranieri - ha detto la Piccinini - sono qui da tanti anni, lavorano, pagano le tasse e devono avere gli stessi servizi dei cittadini italiani a partire dai diritti legati alla cittadinanza». E per questo la Cgil si schiera per un cambiamento «radicale» della legge nazionale e anche regionale. «Ad esempio la Bossi-Fini è frutto di una cultura del controllo, del sospetto e anche della sopraffazione - dice la responsabile Cgil -. improntata allo scontro di civiltà».
Recentemente il governo ha fatto un grosso regalo alla Cgil, permettendole di acquistare un enorme credito tra i lavoratori stranieri e metterlo a frutto per la sua «campagna iscrizioni».
A dicembre l’esecutivo ha infatti modificato le procedure per il rilascio dei permessi di soggiorno, assegnando ai patronati sindacali (cioè alle strutture, in gran parte legate alla Cgil, delegate all’assistenza diretta dei lavoratori) un ruolo centrale per l’ottenimento del documento. Al patronato Inca-Cgil spetta così il compito di assistere gli immigrati nella compilazione della domanda e nella individuazione dei documenti da allegare e in tutte le successive fasi burocratiche, prima riservate esclusivamente agli uffici pubblici. E succede spesso - come si può leggere su stranierinitalia.it, il portale degli immigrati in Italia - che i sindacalisti offrano oltre all’assistenza anche informazioni sui altri servizi disponibili agli iscritti della Cgil e che insomma cerchino proseliti tra gli stranieri. I numeri sembrano dare ragione ai sindacati, ma gli immigrati lamentano che l’interesse per l’iscrizione non sia poi ripagato con un adeguato impegno in fase di contrattazione, dove le esigenze dei lavoratori stranieri - sostengono molti utenti del sito - sono scarsamente rappresentate. Eppure i nuovi iscritti immigrati sono una doppia fonte di ricchezza per il sindacato. Politica, ma anche finanziaria. Perché le iscrizioni fruttano. Da una parte ci sono i rimborsi che lo Stato assegna ai patronati sindacali per l’assistenza agli immigrati. E poi le ritenute pagate dagli immigrati iscritti, che messe insieme fanno una somma tutt’altro che modesta: 43,5 milioni l’anno.
(Paolo Bracalini, il Giornale 2/10/2007)
Statistiche generali lavoro e istruzione in Italia
SETTORE DI OCCUPAZIONE: Nei servizi lavorano 14,67 milioni di italiani, nell’industria 6,9.
PROFESSIONE: Lavoratori dipendenti: sono 16,5 milioni, gli autonomi sono 6 milioni
TIPO DI CONTRATTO: Tempo indeterminato. Ha questa forma contrattuale l’87% dei lavoratori
LA PENSIONE: 58 anni. l’età media nel settore privato. Nel pubblico si sale a 59 anni
GIORNATE LAVORATE: 248. In media la settimana lavorativa va da 31 a 40 ore
SINDACATI: 33,7% la percentuale di iscritti a una delle organizzazioni sindacali
Scuola in Italia
TITOLO DI STUDIO: Licenza media Sono il 35,2% degli italiani con più di 15 anni
SCUOLE SUPERIORI: 887.700 Iscritti agli istituti tecnici nel 2006 UNIVERSIT: 70,7% Percentuale di chi si iscrive dopo le scuole superiori
Numero operai in Italia
1960: su 50.045.000 abitanti, lavora il 38,7% per cento, di cui in agricoltura 29,1%, nell’industria 40,6%, servizi 30,3 %
1970: su 53.745.000 abitanti, lavorano in 18.703.000 (34,8 %), di cui in agricoltura il 17,2%, industria 44,4%, servizi il 38,4%
1980: su 56.336.000 abitanti, lavorano in 20.618.000 (36,6 %), di cui in agricoltura il 12,8%, industria 36,3%, servizi il 50,9 %
1990: su 56.125.000 abitanti, lavorano 19.448.000 (34,6 %) di cui in agricoltura il 6,7%, industria 32,9% (in numero assoluto erano 7.393.000), servizi il 60,4 %
1995: il 32,7% dei lavoratori è nell’industria
2000: il 32,1% dei lavoratori è nell’industria
2006: il 30,1% dei lavoratori è nell’industria
Per chi votano le tute blu (dati 2006, post elettorali)
Una ricerca dell’Ires, l’ufficio studi della Cgil, sul voto dell’aprile 2006 rivela che nel Nord il 45,7 per cento delle ”tute blu” ha votato per la Casa delle libertà e soltanto il 37,5 per cento ha dato il suo consenso all’Unione. Il legame storico fra classe operaia e partiti della sinistra si è dunque incrinato proprio nelle regioni – soprattutto Lombardia e Veneto – dove più qualificata è la presenza degli addetti all’industria metalmeccanica e manifatturiera in genere.
Anche fra gli operai del Sud quelli che hanno votato per il centrodestra sono più di quelli che hanno votato a sinistra: il 41,4 contro il 40,9 per cento.
Nelle aree del centro-nord e del centro-sud, invece, fra le ”tute blu” risultata più votata l’Unione, rispettivamente col 52 e col 47 per cento, contro il 30 e il 33 per cento della Casa delle Libertà.
Un altro dato interessante riguarda le casalinghe e i disoccupati: in tutta Italia il 60 per cento di questi cittadini ha dato il voto alla coalizione guidata da Berlusconi.
Fra gli artigiani, imprenditori e commercianti il 65 per cento ha votato per la Casa delle Libertà.
A vantaggio del centrosinistra si sono espressi il 55 per cento degli insegnanti, degli impiegati pubblici e di quelli privati.
Articolo tratto da Indymedia:
La ”batosta” del 2001 era stato solo un assaggio dello scenario a cui i sindacati stavano andando incontro. Le tute blu e i pensionati votano il centrodestra dimenticandosi nel portafoglio la logora tessera della Cgil. I dati delle scorse elezioni politiche hanno dato un chiaro segnale: lo strapotere dei sindacati rossi scricchiola.
Nel Nord Italia il 44,4 per cento delle tute blu tesserate Cgil ha votato per il centrodestra contro il 38,6 per la sinistra. Se la passano leggermente meglio Cisl e Uil, anche se la differenza a favore della coalizione di Prodi risulta di pochi punti percentuali: nel primo caso il 40,4 per cento contro il 41,5, nel secondo il 37,3 per cento contro il 47,6. I dati segnano una chiara inversione di marcia, come a dire: tesserati ai sindacati rossi per tradizione, tute blu e pensionati votano la Casa delle Libertà per convinzione politica. «Gli iscritti alla Cgil sono ancora numerosi, anzi: nulla da obiettare sulla loro potenza numerica - spiega Rosi Mauro, consigliere regionale in Lombardia e segretario del Sin.Pa. - ma l’iscrizione non ha più valore ideologico». Si tratta, quindi, di un tesseramento di comodo legato ai servizi che il sindacato offre. Niente di più sbagliato. «Il sindacato - spiega il consigliere leghista - non nasce come un ente che dà servizi ai propri tesserati, ma come un organo che si batte per difendere i diritti dei lavoratori. Il sindacato padano nasce nel 1990 proprio con questo spirito e, a differenza di organi come Cgil, Cisl e Uil, si cura dei problemi dei lavoratori e non di garantirsi la propria sopravvivenza».
Un’analisi delle politiche di aprile ha dimostrato che, su scala nazionale, ogni cento voti dell’Ulivo solo il 9,5 per cento proviene dalle tute blu. Sulla stessa scala sale invece la percentuale di preferenze per Lega Nord (12,5 per cento), Alleanza nazionale (9,9) e Forza Italia (8,6). Mentre alcuni politologi ritengono che a sfavorire l’Unione abbia pesato il catastrofismo economico su cui Romano Prodi e compagni hanno puntato parte della loro campagna elettorale, altri imputano lo scetticismo dei lavoratori per la sinistra come il riflesso dello scontento che questi hanno per i propri sindacati. «All’interno delle aziende si registra una forte crisi di rappresentanza e di rappresentatività - continua la Mauro - non è un caso che il Sin.Pa. raccolga gran parte dei nuovi iscritti tra le fila dei giovani lavoratori». Una crisi che si registra sin dagli inizi degli anni Novanta, quando fu siglato, sotto l’egida di Carlo Azeglio Ciampi, allora capo del governo, un accordo di concertazione tra le parti sociali. L’accordo interconfederale, firmato il 23 luglio del 1993, sanciva ai sindacati rossi una garanzia di soppravivenza: «Al fine di assicurare il necessario raccordo tra le organizzazioni stipulanti i contratti nazionali e le rappresentanze aziendali titolari delle deleghe assegnate dai contratti medesimi - si legge nel testo dell’accordo - la composizione delle rappresentanze deriva per due terzi da elezione da parte di tutti i lavoratori e per un terzo da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il Ccnl, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti». «Quello preso in comune accordo con Confindustria e Governo nel ”93 - spiega la Mauro – è un patto antidemocratico che garantisce ai sindacati rossi un 33 per cento base di rappresentanza».
I lavoratori non si sentono più rappresentati dalla sinistra. «Si stanno accorgendo che il sindacato non deve perdersi in accordi inutili ma lavorare per dare più garanzie ai lavoratori», spiega la Mauro ribadendo l’importanza per le imprese italiane di inasprire i dazi «al fine di proteggere i nostri prodotti» dai mercati asiatici. Un problema che, negli ultimi anni, si è fatto stringente soprattutto al Nord. Così l’avere tanti tesserati non garantisce più alla triplice un appoggio cieco e incondizionato da parte dei propri iscritti. Ma l’inversione di marcia non arriva solo dalle tute blu. Se infatti il leader dell’Unione mantiene gran parte dei voti di insegnanti e impiegati pubblici, la Casa delle libertà si aggiudica il voto dei pensionati sia nel Nord del Paese (il 45,7 per cento contro il 37,2) sia nel Centro-Sud (il 42,7 per cento contro il 34,7). «La Cgil appare come il sindacato complessivamente più lanciato a sinistra con il 70 per cento degli iscritti - spiega il politologo Paolo Feltrin - ma il 16 per cento circa dichiara di votare per il centrodestra, in particolare il 7,9 per cento per Forza Italia». Un dato non da poco, si calcola, poi, che in Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia - regioni in cui la Cdl ha ottenuto un risultato eccellente - «queste percentuali raddoppiano». Dopo decenni di egemonia incontrastata Cgil, Cisl e Uil si vedono scippare da sotto il naso il sostegno dei loro tesserati più importanti, le tute blu e i pensionati. «Hanno perso di significato - continua la Mauro - il Sin.Pa. combatte, invece, per la gente: a noi non interessa essere uno dei tanti sindacati».
Qualche opinionista ha poi sottolineato che se la Cdl si accaparra il voto popolare, le imprese si sono schierate con l’Unione. «Di certo non la piccola e media impresa né, tanto meno, gli artigiani - conclude la Mauro -, Probabile che i grandi imprenditori si siano schierati con il centrosinistra perché questo gli garantisce da sempre un sistema assistenzialista che gli fa comodo. Ma non credo proprio che le piccole e medie imprese, che conoscono la minaccia asiatica, possano essersi schierate per Prodi dal momento che quest’ultimo non ha mai protetto il Paese, a livello economico, con l’introduzione dei dazi».
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Commenti
Ho intervistato Oscar Marchisio*, sociologo, autore del libro ”Bologna operaia”, sui cambiamenti del modo operaio:
La nuova era del lavoro nelle fabbriche è caratterizzata da tre aspetti che lo rendono completamente diverso a quello di trent’anni fa, anche in relazione alle relazioni con i sindacati:
1) la fabbrica non occupa più un ruolo centrale nella vita dell’operaio: negli anni ”60 e ”70 occupava un ruolo centrale nella vita dell’individuo, creando una sorta di sovrapposizione tra coscienza e identità. Si è allargata la frattura fra tempo del lavoro e tempo libero, che io chiamo il tempo del consumo. Nel primo resistono ancora forme di cooperazione e di solidarietà collettiva, mentre nel secondo l’atomizzazione, la ”solitudine”.
2) i problemi legati al consumo (le rate da pagare, per esempio) fanno perdere all’operaio il controllo sulla spesa.
3) L’aumento di tesseramenti di pensionati che durante la vita lavorativa non erano mai stati iscritti ai sindacati, cioè casalinghe e lavoratori autonomi (l’incremento registrato dalla Spi-Cgil di questi pensionati mai iscritti è del 57%).
Alla domanda: ”I nuovi operai sono più istruiti rispetto a quelli di 30 anni fa, anche per questo sono diversi?”, ha risposto: ”la cosa che più colpisce, e che sicuramente costituirà a breve una rivoluzione, è il fatto che i più acculturati sono in genere gli immigrati, specialmente quelli dell’est e del sud”.
* Esperto di organizzazione del lavoro, sociologo e ricercatore, vive tra l’Italia e la Cina, dove lavora come consulente per alcune imprese italiane e rappresentante della Regione Toscana. docente a contratto presso le università di Urbino e di Pisa e collabora con la Cgil in molti studi e ricerche. Oltre a ”Bologna operaia” ha pubblicato ”China news”.