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 2008  febbraio 19 Martedì calendario

"Ru486, processate Viale, Massobrio e Campogrande". La Stampa 19 febbraio 2008. Trentotto donne hanno abortito a casa e non in ospedale nel corso della sperimentazione della pillola RU486 al Sant’Anna: il Consiglio Superiore di Sanità l’aveva autorizzata a condizione che le pazienti sottopostesi all’aborto farmacologico venissero ricoverate per i tre giorni previsti fra l’assunzione della prima e della seconda pillola

"Ru486, processate Viale, Massobrio e Campogrande". La Stampa 19 febbraio 2008. Trentotto donne hanno abortito a casa e non in ospedale nel corso della sperimentazione della pillola RU486 al Sant’Anna: il Consiglio Superiore di Sanità l’aveva autorizzata a condizione che le pazienti sottopostesi all’aborto farmacologico venissero ricoverate per i tre giorni previsti fra l’assunzione della prima e della seconda pillola. Ciò non è avvenuto per l’83 per cento delle donne. La maggioranza è tornata in tempo utile al Sant’Anna per abortire sotto controllo medico. L’interruzione di gravidanza a casa, in molti casi da sole - parecchie donne non ne avevano parlato in famiglia - è stata ritenuta dal pm Sara Panelli violazione della legge che, nel 1978, ha autorizzato l’aborto in Italia. E un rischio per le 38 donne, per quanto sia poi intervenuto solo in pochi casi un principio di emorragia. La novità sta nella scelta del pm di ritenerle tutte e 38 parti lese e come tali sono state indicate nell’avviso di conclusione delle indagini inviato nei giorni scorsi al professore universitario Mario Campogrande, al primario ospedaliero Marco Massobrio e al dottor Silvio Viale, vero motore della sperimentazione. Il magistrato suddivide le responsabilità dei 4 indagati in modo netto: per i 2 professori, unitamente al direttore generale dell’epoca, Gian Luigi Boveri, l’accusa è limitata al primo periodo della sperimentazione (estate 2005), quando il protocollo del Sant’Anna non prevedeva il ricovero ospedaliero per le donne. Per Viale, invece, il pm ha esteso la contestazione al periodo successivo. Il 21 settembre 2005 il ministero sospese la sperimentazione ritenendola non conforme alle indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità: «Alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi dell’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti a quelli dell’interruzione chirurgica, solo se l’aborto avviene in ambiente ospedaliero». I due primari e Viale riscrissero il protocollo in quel senso. Tuttavia Viale, in una successiva intervista, annunciò che dopo la somministrazione della prima pillola, di mifepristone (blocca l’azione del progesterone necessario alla gravidanza), autorizzava le pazienti a tornare a casa, invitandole a condurre una vita normale. Una ballerina di tango ha riferito al pm che il ginecologo le avrebbe consentito di partecipare a uno spettacolo. Ha abortito a casa. Prima di assumere la seconda pillola (di misoprostolo, una prostaglandina), quella «espulsiva». Viale può affermare che non vi sono state complicazioni. Ma avrebbe violato il protocollo da lui stesso firmato. E la sperimentazione è stata bloccata a 332 interruzioni di gravidanza (ne erano previste 400). Per questo motivo il pm ritiene che solo per lui l’addebito sia da estendersi a tutte le donne che hanno abortito a casa. Per gli altri indagati si ferma ai primi 2 casi. Viale è pure accusato di falso e di tentata truffa alla Regione: sulle schede di dimissioni ospedaliere delle 289 pazienti «in permesso temporaneo» non ha attestato che erano state ricoverate solo in day hospital e conseguentemente, per la procura, sarebbe incorso nel secondo reato: il ricovero ordinario prevede un rimborso di 725 euro al giorno, il day hospital la metà. La Regione Piemonte non ha effettuato i relativi rimborsi al Sant’Anna perché la procura l’ha informata tempestivamente. Il vero caso giudiziario investe solo le modalità di applicazione di una sperimentazione. Negli ultimi due anni le pillole abortive sono state utilizzate su larga scala in Italia e si attende la loro registrazione, da parte dell’Agenzia del farmaco (Aifa), per varare l’aborto medico, meno cruento per le donne. ALBERTO GAINO