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 2008  febbraio 19 Martedì calendario

Il Vasari dimenticato. La Stampa 19 febbraio 2008. La proprietaria della casa atelier non ha fondi per i restauri Provate a chiedere a bruciapelo, anche ad un raffinato intellettuale fiorentino, ma pure ad un cultore dell’arte, che magari per tutta la sua vita ha compitato con pedanteria le Vite del Vasari, ove sta a Firenze la Casa del Vasari, ebbene è molto probabile che vi guarderà con sufficienza, replicando stupito: «Ma come! Ma la casa del Vasari è ad Arezzo»

Il Vasari dimenticato. La Stampa 19 febbraio 2008. La proprietaria della casa atelier non ha fondi per i restauri Provate a chiedere a bruciapelo, anche ad un raffinato intellettuale fiorentino, ma pure ad un cultore dell’arte, che magari per tutta la sua vita ha compitato con pedanteria le Vite del Vasari, ove sta a Firenze la Casa del Vasari, ebbene è molto probabile che vi guarderà con sufficienza, replicando stupito: «Ma come! Ma la casa del Vasari è ad Arezzo». Dove infatti sta, ben pasciuta, quale nido natale del grande cortigiano-storigrafo, che s’era imbandito una degna culla del Mito, affrescata a puntino e con tutto un calcolato programma iconografico, per eroicizzarsi. Ma invece, incredibile, a pochi passi dalla storica Chiesa di Santa Croce, in un elegante palazzo mediceo, leggermente in trascuratezza, lo studio-atelier di questo complesso personaggio del Rinascimento, più citato che conosciuto davvero, esiste, nel silenzio colpevole e tra le ragnatele minacciose d’un restauro interrotto, che è un’ennesima testimonianza del nostro patrimonio in disarmo e della trascuratezza di strangolate latitanti Sovrintendenze. Vent’anni di silenzi Scandalo indignato vero, ma anche felice sorpresa, tra gli illustri conferenzieri che sono convenuti da tutto il mondo a Firenze, al Kunsthistorisches Institut Max-Planck, che sotto la vigile guida di Alessandro Nova, ha dedicato un vivace convegno alle Vite del Vasari e alla sua perenne vitalità (già lui, a suo modo, si occupava, in pieno Cinquecento, del problema della conservazione di beni che la Storia si preoccupa di cancellare). Quasi una visita scolastica-premio, dopo tante ore di parole e teoria e diapositive, ed un brulicare di lingue le più diverse e fitte, a magnificare questo testo-pittorico ai più sconosciuto (e si tratta di specialisti capillari) e a deplorare con lamenti di debite prefiche il degrado inqualificabile in cui questa meravigliosa stanza-scrigno, trasformata da Vasari in corte di rappresentanza del suo magistero, langue da troppi anni, e tutti che tacciono complici. Il solito problema all’italiana: l’«appartemento», potremmo dirlo così, alla Palazzeschi, è di proprietà privata, prima è stato una Sartoria alla Sorelle Materassi, poi son subentrati degli architetti poco interessati, che si son fatti dare la buonuscita pur di andarsene, la vecchia signora s’è stufata di attendere fondi dallo Stato che se ne frega e l’unico a soffrirne è il restauratore, che con un nome delicato sulle spalle, come Botticelli, una ventina d’anni fa ha iniziato un bel lavoro di pulitura, sotto i vigili occhi di Umberto Baldini e che ormai da anni attende nuove, vedendo con dolore progredire il degrado e le macchie di umidità. Era anche uscito un bel volume di monito, da Polistampa, preoccupantemente in inglese, «Frescoes di Casa Vasari», come se a noi queste cose non riguardassero. Poi Baldini è morto, la signora s’è stufata, Botticelli torna ogni tanto, come un nobile pensionato, alla sua «panchina» e non resiste alla tentazione di dare un tocco al suo lavoro interrotto, «e dire che basterebbero centocinquantamila euro!», ripete disincantato, una bazzecola, davvero, rispetto alle cifre impressionanti che circolano nella giornata del referendum sulla tranvia che pugnala il Duomo (ogni passeggero che va al Mugello, pare, costerebbe venti euro a corsa al Comune). Comunque, alla porta del convegno sta affissa una lettera bruciante al Sindaco Dominici, ove ogni firma d’illustri nomi, che vengono da Università di New York, Heidelberg, dal Louvre a Santa Barbara, insomma da tutto il mondo, suonano come coltellate mortificanti alla nostra ignavia. Anche perché il programma iconografico della Casa è quanto mai stimolante. Vasari, oltre che autoritrarsi come signore di casa, attorniato dai medaglioni dipinti dei suoi eroi, da Cimabue a Rosso Fiorentino, l’unico fiorentino che sopra il suo cammeo possa suffragare la sua statura medicea, si presenta pure sotto le fattezze di Zeusi, e si lascia sorprendere mentre dipinge una fanciulla nuda, in uno studio povero ma dignitoso, la modesta tavolozza ai suoi piedi, i delicati pennellini di martora, il pestello per mantecare i colori, una modella che sta spogliandosi, gli allievi che s’accaniscono nello studio del disegno, in una camera posta in prospettiva. Secondo un’allegoria alla Plinio, l’Invenzione del Disegno rappresenta un ragazzo che tracopia sul muro il contorno dell’ombra, che la sua figura proietta sulla parete. Quanto Vasari sia ancora ricco e da approfondire, lo ha mostrato il brillante convegno, ove si è parlato anche della recente ri-traduzione delle «Vite» in tedesco, con un successo che ci fa impallidire. Marco Vallora