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 2008  febbraio 19 Martedì calendario

La prima verità. La Stampa 19 febbraio 2008. Pare affascinante Olindo che prende il microfono di una Corte d’Assise e - come Vasco Rossi o gli Stadio - lo guarda e domanda forte: «Si sente bene?»

La prima verità. La Stampa 19 febbraio 2008. Pare affascinante Olindo che prende il microfono di una Corte d’Assise e - come Vasco Rossi o gli Stadio - lo guarda e domanda forte: «Si sente bene?». Non pare ma è interessante Olindo che in quel momento è in buona fede. Racconta il «lavaggio del cervello». Racconta la nuova strategia della difesa per la strage di Erba. Erano state respinte le eccezioni procedurali sulle ore degli interrogatori, sull’accavallarsi e dividersi e sdoppiarsi di un avvocato? Quando in aula deve entrare il luogotenente Gallorini a rivedere mesi, giorni e ore, Olindo domanda con rispetto al presidente di dire la sua. E la sua è che gli hanno estorto la confessione. Ore di attesa, ore di dialogo, ore di confidenza aspettando un sostituto procuratore che lo ascolti e gli dica che finalmente può vedere la moglie. Per i legali questo è un giro di boa. Come dire: davanti alla promessa di stare insieme avrebbero confessato pure l’assassinio di Moro e il disastro di Ustica. Nella personalità contorta e galleggiante sul mondo dei due ci sta pure quello. Ma per i pm non ci stanno le parole, i dettagli, le minuzie di quel dialogo che il maresciallo Gallorini prima e il maresciallo Finocchiaro (quello che gli fece compagnia in attesa dei magistrati) frantumano in aula: nessuna induzione, dice Finocchiaro, lui parlava a ruota libera «e io, non lì per indagini, lo distraevo parlando di camper, vacanze e amenità. Lui insisteva». Olindo che si sfoga. Però Olindo che vede soltanto uno sbocco. Quello stare con Rosa, non lasciare Rosa da sola. Mai odio verso qualcuno, nemmeno verso quelli che ritiene abbiano fatto loro dei torti. «Ero combattuto in carcere. Dicevano che lei sarebbe andata subito fuori, io avrei preso cinque anni tra attenuanti e abbreviato. Però, per avere questo, non avrei detto la verità ed ero disperato per quei cinque anni». Alla fine confessare è «il minore dei mali». E il minore dei mali ha un impatto emotivo forte con il tono con il quale proprio Olindo - calmo, preciso nei termini, con un unico affanno - apre la sua confessione ai giudici dopo quell’ «aver parlato del più e del meno, armi usate, incendio, acceleratori di fiamma» con i carabinieri mentre aspetta di vedere Rosa. Entrerà qui la perizia psichiatrica? Olindo vive nel pianeta Rosa, morti e vivi di questo pianeta sono come scene di film. Se ieri, in aula, ha chiesto con la delicatezza di un uomo preoccupato e non di una rock star se «si sente bene» l’audio, il microfono, ecco i suoi minuti con i magistrati in carcere. PM. «Lei intende rispondere? Ha ben chiaro che cosa è accaduto?». OLINDO: «Ho fatto una deposizione». PM: «E’ presente il difensore. Dica». OLINDO: (calmo, come fra compagni di lavoro incuriositi da una novità di giornata): «Io vi racconto tutta la verità, poi qualche piccolo particolare lo rivediamo magari dopo, perché...». PM: «Sentiamo». OLINDO: «Quello che ci tengo a dire io adesso è questo. Ho sbagliato, lo so devo pagare. Però io voglio vedere mia moglie». PM: «Questo è un aspetto che si deve vedere, magari un po’ più in là». OLINDO: «Per il resto pago quello che ho fatto. Quella sera là eravamo in due. Io ero fuori che fumavo e mia moglie era in casa. Quando è arrivata la macchina della Castagna... Poi le racconterò perché avevo le chiavi». Il magistrato chiede come è avvenuta l’aggressione. Olindo è preciso. E si ripresenta in contrasto con tutta la ricostruzione di ferocia. Racconta e racconta ancora della «stanghetta», la sbarra di ferro, ma tiene a precisare che non ha picchiato. Con la sua erre gentile dice: «Non sono uno che tira pugni». E’ una carta del mistero quella che la difesa deve mettere sul tavolo della Corte: Olindo che parla negli interrogatori registrati, Olindo che parla in aula chiedendo se si sente bene e non si sovrappone all’orco di Erba. La Procura li sovrappone, invece. I Pm, dopo l’udienza: «Le registrazioni raccontano com’è andata, l’assenza di pressioni. E la confessione? Come faceva addirittura costretto dopo l’incendio a dire dove stavano i libri? O dov’erano le ferite della Cherubini?». Alla Corte lui ribadisce, così quieto e innocuo, la sua mansuetudine. Nel codice, quello a freccine, è scritto che «uccidere è una cosa istintiva». In questa registrazione spiega perchè portava quel coltellino nel giubbetto, abitudine, piccolo amuleto («non taglia, bisogna infilarlo»). E spiega che la «stanghetta», la sbarra di ferro, si tiene sempre con sé, «non sai», dice mite «puoi sempre incontrare qualche deficiente». Una stanghetta e uno scontrino. Quando vanno da loro i carabinieri lui è tranquillo, acqua passata. Rosa mostra subito la prova del Mc Donald. Romano ai Pm: «Siamo tornati cercando di tranquillizzarci. Prendiamo lo scontrino. Era importante prenderlo». Marco Neirotti