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 2008  febbraio 20 Mercoledì calendario

LA SINISTRA CHE NON MI PIACE

La Stampa 20 febbraio 2008.
Lunedì questo giornale ha pubblicato un mio articolo in cui criticavo la politica del governo Prodi e invitavo sia Berlusconi sia Veltroni a non fornirci una ricostruzione insincera della storia di questa legislatura. Ieri, sotto forma di lettera al Direttore, è uscita una piccata e assai prolissa risposta di Romano Prodi, in cui mi si accusa di scorrettezza, mancanza di scrupoli, faziosità, mistificazione.
L’Italia è una democrazia, e La Stampa è un giornale indipendente, che ospita opinioni, analisi, valutazioni di persone che pensano con la propria testa. stupefacente che il presidente del Consiglio, non gradendo un articolo uscito su un quotidiano, non trovi di meglio che accusare l’editorialista che l’ha scritto di «sostenere le proprie tesi in vista della competizione elettorale», o di farsi veicolo di una «mistificazione elettoralistica». Naturalmente si può e si deve discutere e contro-argomentare, polemizzare e opporre cifre a cifre, analisi ad analisi, ma è ben triste vedere la massima autorità politica del nostro paese che si riduce ad accusare di malafede uno studioso che, su un giornale libero, riferisce dei risultati delle sue analisi e scrive quello che pensa.
Quanto al merito della controversia, qui posso dire soltanto che l’autodifesa di Prodi non mi ha convinto per niente, e che il lettore interessato a conoscere la mia risposta può trovarla sul sito della rivista Polena (www.polena.net). Anzi, visti gli argomenti del presidente del Consiglio, sono ancora più persuaso di prima del punto centrale della mia analisi: il governo Prodi ha perso un’occasione d’oro per correggere in modo apprezzabile i conti pubblici, e lascia un’eredità difficile al governo che verrà.
Quel che vorrei fare qui, invece, è una breve riflessione su me stesso e sulla cultura politica della sinistra. Prodi può non saperlo, ma non ho mai partecipato ad alcuna competizione elettorale, né intendo farlo oggi o in futuro. Letteralmente non capisco in quale competizione sarei impegnato, quali interessi vorrei difendere, e perché mai vorrei farlo. Fra noi due, ho l’impressione che sia più il presidente del Consiglio uscente ad avere qualche interesse a «sostenere le proprie tesi in vista della competizione elettorale»…
Quanto a me, sono solo un cittadino che si riconosce in molti valori della sinistra, anche se questa sinistra mi piace poco. E non già per le sue idee, che spesso condivido, ma per la sua refrattarietà al lavoro degli studiosi indipendenti. Il mio lavoro è analizzare i dati, cercare di capire che cosa succede, provare a raccontarlo con parole comprensibili, nei libri come sulla stampa. Ma quando mi azzardo a farlo, i miei amici di sinistra si adombrano, e i politici si irritano. I primi, i miei amici, hanno un’insaziabile volontà di aver ragione, di sentirsi sempre e comunque dalla parte giusta, di dare sempre e comunque torto agli avversari politici. I secondi, i politici di sinistra, non sono abituati ad ascoltare, e vedono come un traditore chiunque dica qualcosa che sembri dannoso per la causa. Non si chiedono mai: è vero? è falso? come lo sai? Preferiscono domandarti: perché lo dici? a chi giova? da che parte stai?
Così, a 55 anni dalla morte di Stalin, e a quasi 20 dalla caduta del muro di Berlino, troppo spesso la cultura di sinistra rimane quella di sempre: chiusa anche quando predica il dialogo, arrogante anche quando è gentile, resistente ai fatti anche quando è colta. Peccato, sarebbe bello vivere in un mondo in cui chi ha qualcosa da dire (o da ridire) si limita a esporre i suoi argomenti. Senza offendere il prossimo. E soprattutto senza accusarlo, solo perché pensa diverso, di essere passato con il nemico.
Luca Ricolfi