Il Sole 24 ore 16 febbraio 2008, Leonardo Maisano, 16 febbraio 2008
Mosca: ne terremo conto in Georgia. Il Sole 24 ore 16 febbraio 2008. Vladimir Putin lo ha promesso: la Russia reagirà al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte della comunità internazionale
Mosca: ne terremo conto in Georgia. Il Sole 24 ore 16 febbraio 2008. Vladimir Putin lo ha promesso: la Russia reagirà al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte della comunità internazionale. Il ministro degli Esteri Serghej Lavrov, invece, si barrica da settimane dietro un avverbio. Quell’«immediatamente» che aggiunge al messaggio che di tanto in tanto invia al mondo. «La Russia non riconoscerà, immediatamente, i territori secessionisti della Georgia» qualora altri Paesi accettassero la separazione del Kosovo dalla Serbia. Nessun automatismo quindi, come lo stesso Putin ha ribadito dopo aver promesso un’indefinita «reazione». certo, dunque, che il semaforo verde a Pristina non accenderà anche quello che regola le relazioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, territori del Caucaso meridionale che Mosca controlla grazie a governi nazionalisti amici. Non «immediatamente», almeno. La Russia ci tiene a farlo sapere al punto da aver corretto, seccamente, un dispaccio dell’agenzia Interfax che ieri annunciava «il cambio» della politica russa nei confronti delle regioni separatiste georgiane. I responsabili della diplomazia di Mosca hanno infatti precisato che non ci saranno svolte, ma che la nuova situazione sarà solo «presa in considerazione». Sul bisticcio lessicale di queste ore, così come sui toni più radicali espressi da Putin rispetto alla prevalente sensazione di appeasement offerta da Mosca si sono moltiplicate le interpretazioni, immaginando una svolta moderata in politica estera. In realtà è presto e forse inutile ipotizzare svolte. Mosca, promettendo reazioni e giocando con l’equivoco di un avverbio, tiene sotto schiaffo la comunità occidentale. Il Kosovo rappresenta, comunque, un precedente e un giorno potrebbe ripetersi in Abkhazia, molto più che in Ossezia del sud. David Bakradze, nominato due settimane fa ministro degli Esteri del governo di Tbilisi in un’intervista al Sole 24 Ore poco prima delle elezioni di gennaio aveva espresso l’assoluta convinzione di un’evoluzione positiva per l’Ossezia. «Ci sono due governi, il territorio è diviso - aveva detto - ma il dialogo è più facile perché le comunità (georgiani, osseti e russi, ndr) sono integrate, non c’è mai stato nessun episodio di pulizia etnica». di due giorni fa la notizia che il leader separatista osseto Eduard Kokoyty ha richiesto un incontro con il presidente georgiano Saakashvili in un ulteriore segno che sembra indicare maggiore distensione. A Sukhumi, la capitale dell’Abkhazia, la situazione è diversa. Non solo perché la regione affacciata sul Mar Nero ha un’importanza strategica primaria, né per le dimensioni del territorio, ma soprattutto per le ferite lasciate dalla guerra su una popolazione spezzata. Circa 300mila georgiani hanno abbandonato l’Abkhazia e ora la maggioranza dei cittadini sono di etnia russa. La minaccia di una recrudescenza del conflitto è permanente e per questo le Nazioni Unite tengono sotto monitoraggio costante gli sviluppi delle relazioni fra Tbilisi, Sukhumi e Mosca che ha in Abkhazia migliaia di uomini a titolo di peacekeeping. L’ultimo rapporto dell’Onu è di qualche giorno fa e ha soddisfatto tutti mostrandosi ecumenico abbastanza per offrire letture diverse. Il Governo secessionista sostiene che gli inviati dell’Onu abbiano negato persecuzioni contro i cittadini georgiani come Tbilisi va denunciando; il Governo di Saakashvili ha invece salutato con favore un rapporto che ribadisce l’integrità territoriale georgiana. Ognuno dunque ha letto quanto gli era funzionale, ma la realtà è che le vicende del Kosovo sull’Abkhazia avranno ripercussioni anche se è difficile stabilirne la portata. significativo che Sukhumi abbia annunciato di non voler dialogare con Tbilisi se sarà creato un ministero per la «reintegrazione territoriale». E proprio così è stato chiamato il ministero che dovrà misurarsi con i casi di Abkhazia e Ossezia all’interno del nuovo Governo votato due giorni fa dal Parlamento georgiano. Ogni speranza resta comunque legata alla Russia che controlla interamente le fazioni secessioniste. E il fronte degli ottimisti non si stanca di ripetere che Ossezia del Sud e Abkhazia saranno sempre usate da Mosca come minaccia, ma non diventeranno un nuovo Kosovo. Solleticare le voglie separatiste nel Caucaso del Sud, sostengono, finirebbe per accendere anche quello del Caucaso del Nord che è parte della Federazione russa. leonardo.maisano@ilsole24ore.com Reazioni a catena? Focolai nell’ex Urss: il Caucaso Regione autonoma della Georgia, come l’Ossezia del Sud, l’Abkhazia ha già dichiarato nel 1992 un’indipendenza non riconosciuta da nessuno. Ma ha l’appoggio di Mosca, che mantiene forze di interposizione. Anche gli osseti del Sud hanno combattuto per staccarsi dalla Georgia: oggi è in vigore una tregua instabile. Tbilisi spera di negoziare un accordo Transdnistria una fetta sottilissima di terra distaccata dalla Moldavia nel 1990. Dopo una breve guerra, Mosca ha inviato truppe rimaste fino a oggi. La maggioranza della popolazione è composta da slavi russofoni che temono l’unione della Moldavia alla Romania Nagorno-Karabakh Gli scontri tra armeni e azeri per il controllo del Nagorno-Karabakh sono iniziati nel 1988, per continuare fino alla tregua del 1994. Trentacinquemila i morti, centinaia di migliaia i profughi. La popolazione è a maggioranza armena, il territorio resta un’énclave nell’Azerbaijan ma è controllato da truppe armene Leonardo Maisano