Corriere della sera 21 febbraio 2008, Fabrizio Caccia, 21 febbraio 2008
«Eroina? No, complice». Corriere della sera 21 febbraio 2008. C’erano altri tre nomadi, quella sera, la sera del 30 ottobre scorso, quando la signora Giovanna Reggiani, 47 anni, moglie dell’ammiraglio Giovanni Gumiero, dopo essere scesa dal treno alla stazione di Tor di Quinto, fu assalita e uccisa da Romulus Nicolae Mailat, romeno di 24 anni, oggi in carcere a Regina Coeli
«Eroina? No, complice». Corriere della sera 21 febbraio 2008. C’erano altri tre nomadi, quella sera, la sera del 30 ottobre scorso, quando la signora Giovanna Reggiani, 47 anni, moglie dell’ammiraglio Giovanni Gumiero, dopo essere scesa dal treno alla stazione di Tor di Quinto, fu assalita e uccisa da Romulus Nicolae Mailat, romeno di 24 anni, oggi in carcere a Regina Coeli. Quei tre, però, non fecero niente per salvarla. Anzi... La polizia di Bucarest ha interrogato nei giorni scorsi Dorin Obedea, suocero del presunto assassino. Il suo racconto è agghiacciante: sulla scena del delitto, Mailat non era solo. Insieme allo stesso Dorin, c’erano Emilia Neamtu e suo figlio Vassili. Già, proprio Emilia, 45 anni, la supertestimone dell’accusa, quella che riconobbe l’assassino e aiutò la polizia a rintracciarlo, la donna che il gip Claudio Mattioli alla fine dell’incidente probatorio del 12 novembre scorso ringraziò «per il suo coraggio». In realtà, secondo Dorin Obedea, quella notte, quando Emilia vide Mailat trascinare la vittima nel fango, gridò al romeno: «Buttala nel fosso, buttala sotto al ponte», invitandolo a disfarsi di quel corpo, straziato ma ancora vivo. Lei un’eroina? Complice, piuttosto, secondo Dorin. La sua testimonianza, però, «non sposta niente», dicono gli inquirenti. Il caso è chiuso e, allo stato, il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il pm Maria Bice Barborini non hanno intenzione di riaprirlo: non risentiranno, dunque, la superteste, che tuttora vive protetta in un luogo segreto. Il fatto che l’interrogatorio in Romania non sia stato eseguito per rogatoria, peraltro, non gli attribuisce alcun valore formale in Italia. Eppure il racconto del suocero di Mailat appare molto preciso: «Io non sono mai stato convocato dalla polizia italiana, ma quella sera c’ero. Mailat era ubriaco, strappò la borsa alla donna, lei resisteva e lo graffiò sul volto. Lui la colpì con tutte le sue forze con un bastone alla fronte e mi gettò la borsa: "Prendila e sparisci", mi disse. Io allora andai alla baracca di sua madre, Leana. Poi arrivò anche lui sporco di sangue e disse: "Credo di averla uccisa"...». Nella baracca di Leana, seguirono la spartizione e l’occultamento del bottino. Un «branco » affamato, feroce, indifferente: la vecchia e suo marito, Doru, presero i soldi (2800 euro secondo Dorin Obedea) da mandare in Romania alla compagna di Mailat, Aurica; Leana tenne per sè una collanina e un paio di orecchini; il cellulare di Giovanna Reggiani invece fu dato a Dorin, il padre di Aurica, che poi lo vendette a un suo connazionale. Proprio grazie al cellulare, Dorin è stato rintracciato e ora è indagato per ricettazione insieme a un suo compaesano, Nicolaie Clopotar, che ha confermato anche lui la storia. «Pare che fino al 2005 Emilia Neamtu fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico di Sibiu – osserva l’avvocato Piero Piccinini, difensore di Mailat ”. La giustizia italiana, però, non ha mai ritenuto utile accertarlo ». Il romeno, dal carcere, continua a proclamarsi innocente e ad accusare dell’omicidio invece proprio Vassili, il figlio ventiduenne di Emilia. Gli inquirenti, però, non gli credono e oggi il Gip si pronuncerà sulla richiesta d’archiviazione nei confronti di Vassili per il reato di concorso in omicidio. Il giudice deciderà anche se archiviare o meno l’accusa di violenza sessuale nei confronti di Mailat. L’autopsia l’ha esclusa. Fabrizio Caccia