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 2008  febbraio 21 Giovedì calendario

I TURCHI IN GERMANIA

Corriere della sera 21 febbraio 2008.
Non credo che le affermazioni pubbliche del Primo ministro della Turchia in Germania siano state delle più felici. Forse suggestionato dalle migliaia di suoi conterranei riuniti in uno stadio, Erdogan li ha invitati a integrarsi senza però farsi assimilare.
Assimilazione che ha dichiaratamente giudicato «un crimine verso gli stranieri». Con questa esternazione, Erdogan ha però dato un contributo chiarificatore a un equivoco.
 luogo comune infatti equiparare l’odierna immigrazione verso i Paesi europei a quella dei nostri nonni o bisnonni verso le Americhe. Prendendo a confronto questi due movimenti migratori dimentichiamo di contestualizzarne, non dico i bisogni, ma quelli che potremmo definire i «supporti tecnologici».
Allora chi oltrepassava gli oceani o le Alpi, aveva difficoltà a intrattenere contatti continui con il proprio Paese d’origine. E nel tempo, pur mantenendo le loro tradizioni, diventavano necessariamente americani.
Oggi chi arriva in Italia, e in Germania o in Europa, può tenere saldi contatti con la propria terra di origine. questo, secondo me, il rischio che spaventa molti dei miei connazionali. Avere cioè vicino qualcuno che appartiene a un gruppo sociale e culturale che rimane autosufficiente e che quindi non abbia alcuna intenzione di subire la «criminale» assimilazione, anzi!
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani,
Fino a qualche anno fa la parola «giusta», nei dibattiti sull’accoglienza degli immigrati stranieri in Europa, era integrazione, e quella «sbagliata» assimilazione. Non bisognava costringere gli immigrati ad abbandonare i loro costumi e le loro tradizioni per meglio somigliare agli indigeni. Occorreva anzi aiutarli a custodire e a coltivare la loro originalità. Alcuni Paesi, come la Germania, riformarono i programmi scolastici per consentire ai ragazzi stranieri di approfondire la conoscenza della lingua materna. Alcune radio e televisioni pubbliche dettero alle comunità degli immigrati un piccolo spazio settimanale per trasmissioni indirizzate ai loro connazionali. Si costituirono circoli e associazioni. Nacquero all’interno delle comunità giornali e piccole case editrici. Per molti anni il nostro ministero degli Esteri collaborò con i governi dei Paesi in cui esistevano forti e recenti comunità italiane per stimolare e sostenere finanziariamente le iniziative che avrebbero permesso ai nostri connazionali di mantenere un forte legame con il loro Paese. A me sembrò che molti di quei finanziamenti avrebbero soprattutto stipendiato piccole nomenklature di professionisti dell’immigrazione. Ma era necessario riconoscere che Germania e Svizzera (a differenza della Francia) erano molto avare in materia di concessione della nazionalità e che era quindi giusto permettere ai nostri connazionali di non bruciarsi i ponti alle spalle.
Non si può quindi rimproverare al Primo ministro turco Recep Erdogan, di avere adottato nel suo discorso di Colonia una linea sbagliata. Può darsi che i suoi toni fossero un po’ troppo nazionalisti. Può darsi che sia stato un errore fare a meno della traduzione del discorso in tedesco, come se quelle parole fossero indirizzate a una comunità extraterritoriale. Ma non bisogna dimenticare che l’incontro di Colonia ha avuto luogo pochi giorni dopo il drammatico incendio di una casa a Ludwisgshafen nel quale hanno perso la vita nove turchi.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che anche la Germania in questi anni è cambiata. Grazie al governo Schröder, il Paese ha una legge che rende meno difficile la naturalizzazione dello straniero. Ma in alcuni ambienti sociali si è fatta nuovamente strada la convinzione che esistano una identità tedesca da difendere e una leit-kultur (una cultura guida o, peggio, dominante) che gli stranieri debbono apprendere e assorbire. Nelle recenti elezioni dell’Assia, il rappresentante della Cdu, Roland Koch ha fatto campagna contro la «criminalità straniera » e contro la concessione della doppia cittadinanza agli emigranti. Non è razzismo, ma ha un evidente odore di xenofobia. Il fenomeno non è esclusivamente tedesco ed è visibile anche in Paesi tradizionalmente liberali come la Gran Bretagna e i Paesi Bassi. Lei non ha torto, caro Taliani, quando osserva che l’immigrato d’oggi è molto meno lontano dalla madrepatria di quanto fossero i nostri nonni e bisnonni. Ma credo che questo passaggio dall’integrazione all’assimilazione sia dovuto soprattutto al fatto che gli immigrati d’oggi sono in buona parte musulmani, hanno una identità religiosa molto forte e vengono continuamente considerati nell’immaginario collettivo il brodo di coltura del terrorismo fanatico. Accade così che anche un governo intelligente, come quello di Angela Merkel, ceda alla tentazione di lusingare i sentimenti di una parte del proprio elettorato.
Un’ultima osservazione. Col passare degli anni l’antinomia integrazione-assimilazione potrebbe rivelarsi effimera ed inutile. Forse di qui a qualche tempo l’indigeno e l’immigrato avranno progressivamente riempito lo spazio che li separa e saranno ambedue diversi da ciò che erano all’epoca del loro primo incontro.
Sergio Romano