Corriere della sera 21 febbraio 2008, DAVID KUSHNER, 21 febbraio 2008
Il segreto di McCarthy. Corriere della sera 21 febbraio 2008. Una costruzione in mattoni cotti al sole sulle colline di Santa Fe
Il segreto di McCarthy. Corriere della sera 21 febbraio 2008. Una costruzione in mattoni cotti al sole sulle colline di Santa Fe. la sede del più improbabile club di geni al mondo. Il Santa Fe Institute (Sfi) è una sorta di super team di eccentrici scienziati, dove si sviluppano studi interdisciplinari in grado di dare risposte ai grandi quesiti del mondo. Perché crollano i mercati finanziari. Come si formano le cellule terroristiche. Perché si diffondono i virus... In questo assembramento di intelletti sopraffini c’è un vecchio ed energico cowboy. Ascolta con attenzione un biologo giunto da Berlino per parlare di economia evolutiva. Il neuroscienziato all’angolo della sala alza la mano e pone una domanda al gruppo: «Qualcuno conosce un altro animale oltre all’uomo che commetta suicidio?». il cowboy a parlare per primo. «I delfini», dice sommessamente. «I delfini lo fanno». La cosa più sorprendente è scoprire il nome dell’autore di quella affermazione: Cormac McCarthy, l’eremita più famoso della letteratura americana dopo J.D. Salinger. Prima di emergere nel salotto televisivo di Oprah Winfrey all’inizio dell’anno, il 74enne scrittore aveva concesso solo una manciata di interviste nel corso della sua quarantennale carriera. Vive a tal punto isolato e lontano da strade battute, da avere bisogno di un camioncino per spostarsi. Non ha mai votato («I poeti non dovrebbero votare»), non legge narrativa («Una cosa piuttosto stravagante da fare») e si astiene dal firmare copie di libri o dallo scrivere mail e usare il telefonino. Per anni di lui si è saputo poco, a parte la potenza e l’ampiezza del suo lavoro. Il suo violento western, Non è un paese per vecchi, è diventato uno dei film più apprezzati della stagione e il suo romanzo post-apocalittico La strada ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa. Pochi autori viventi sono altrettanto amati. Vent’anni fa, McCarthy comparve all’Istituto e sostanzialmente non se ne andò più. Traslocò perfino dal Texas per vivere nei pressi dell’Istituto. Tutte le mattine, dopo aver accompagnato a scuola il figlio di nove anni, McCarthy, Research Fellow del Sfi, si inerpica lungo i tornanti che portano fin quassù. E passa il resto della giornata impegnato in lunghe conversazioni con gli scienziati e gli studiosi che lavorano al suo fianco. L’attività scientifica nell’Istituto gioca un ruolo fondamentale per quella di scrittore, ancorando la sua narrativa a un contesto di estremo realismo. «Aiuta a pensare», dice a proposito della sua interazione con i «fuorilegge» dell’intelletto, come affettuosamente li chiama. «Bisogna risalire all’Inghilterra elisabettiana o alla Atene di Pericle per ritrovare un lavoro altrettanto straordinario». Ama gli scienziati dell’Istituto per una semplice ragione: gli argomenti su cui indagano, come la sua scrittura, mirano all’essenziale. «Tutto ciò che non riguarda la vita o la morte – dice – non è interessante». Le radici dei suoi temi apocalittici risalgono all’infanzia trascorsa in Tennessee. «Se cresci nel Sud conoscerai la violenza» dice. «E la violenza è ripugnante». Dopo aver abbandonato il college per scrivere e lavorare in una rivendita di automobili, McCarthy si mise in luce per la sua abilità nell’esprimere l’oscura anima appalachiana. In Figlio di Dio un necrofilo raccoglie corpi in una caverna. In Il buio fuori un ragazzo mette incinta la sorella e getta il bambino nel bosco credendolo morto. Non sorprende, considerando i soggetti delle storie, che i suoi primi romanzi non vendessero. Nel corso degli anni McCarthy si è sposato, è diventato padre per la prima volta, ha divorziato, ha viaggiato, ha vissuto a Ibiza, si è risposato. Il suo romanzo autobiografico, dice, è Suttree (ancora non tradotto), una storia di humour nero nella quale narra le vicissitudini di un ragazzo indigente che vive in una casa galleggiante sul Tennessee e frequenta dei poco di buono come il tizio arrestato per essersi scopato un’anguria nel campo di un agricoltore locale. Abbandonata la regione degli Appalachi, McCarthy si è rivolto al west americano. Per questo decise di trasferirsi in Texas. Il periodo compreso tra la guerra contro il Messico e la grande migrazione verso ovest della metà del XIX secolo, dice, «è il punto di svolta della storia americana ». Le sue ricerche sull’argomento si trasformarono in Meridiano di sangue. Harold Bloom salutò il romanzo come uno dei più grandi del XX secolo. Ma nello scrivere questa brutale epica del passato, McCarthy tenne un piede piantato nel futuro. «Se scrivevo di violenza in modo esagerato, lo facevo guardando al futuro che immaginavo ancora più violento», racconta. «Ed è andata così. Qualcuno ricorda di aver visto una decapitazione in televisione vent’anni fa? Io no». McCarthy si avvicinò per la prima volta all’Istituto nel 1981 quando ricevette la cosiddetta «borsa di studio del genio» dalla Fondazione MacArthur. Volò a Chicago assieme agli altri beneficiari dove evitò accuratamente la compagnia degli scrittori. «La combriccola di intellettualoidi era vestita di tutto punto, strafatta e pronta a divertirsi », ricorda. « stato lì che ho cominciato a bazzicare scienziati. Sono più interessanti ». Parte dell’attrazione esercitata su di lui dall’Istituto, oltre alla scienza, è l’anonimato. Qui passa facilmente inosservato. Il pranzo continua a essere il momento topico della giornata. «Ti siedi a tavola e non sai mai chi avrai a fianco», dice. «Arriva gente da tutto il mondo: premi Nobel, chimici, biologi. Sono molto generosi. Se chiedi loro qualcosa, smettono immediatamente di fare quello che stanno facendo e si dedicano a te. impagabile». Spesso McCarthy corregge le bozze di documenti o libri di un componente dell’estesa famiglia del Sfi. Lisa Randall, fisico di Harvard, fu sorpresa di sapere che McCarthy era interessato a leggere una prima stesura del suo Passaggi curvi (il Saggiatore), un saggio che affronta le dimensioni nascoste dell’universo. «Mi restituì il manoscritto per posta, era segnato in ogni pagina», dice la Randall. «Aveva letto tutto, editato e curato il testo in ogni particolare facendo piazza pulita dei punti e virgola ». L’interazione con la scienza, a suo dire, lo ha costretto a perfezionare il proprio lavoro. « una materia molto rigorosa. Quando frequenti gli scienziati e osservi il modo in cui ragionano, non puoi che sviluppare un profondo rispetto nei loro confronti. Anche per il rigore. Un’affermazione deve essere esatta. Non possono limitarsi a fare inutili speculazioni sulle cose». Alcuni anni fa, McCarthy entrò nell’ufficio del suo amico Doug Erwin. Gli chiese di parlare dell’idea di apocalisse, di estinzione. Poi, un giorno, l’anno scorso, Erwin si è seduto a leggere una bozza di La strada, libro che narra lo straziante viaggio post apocalittico di un padre e di un figlio. Ecco quello che aveva in mente! Dopo essersi sposato per la terza volta, nove anni fa McCarthy è diventato ancora padre. «Penso in continuazione a mio figlio John e a che cosa lo aspetta», dice. Una notte, durante un viaggio in Texas, si è raffigurato il futuro. Mentre suo figlio dormiva, guardando fuori dal finestrino ha immaginato dei fuochi sulle colline di fronte. Partendo da quella suggestione ha scritto un romanzo: era La strada. DAVID KUSHNER